Come si sta costruendo il bilancio pluriennale Ue

Bilancio pluriennale 2028-2034 della Ue in cantiere. L'approfondimento di Giuseppe Liturri

Feb 17, 2025 - 09:24
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Come si sta costruendo il bilancio pluriennale Ue

Bilancio pluriennale 2028-2034 della Ue in cantiere. L’approfondimento di Giuseppe Liturri

Mercoledì scorso si è avviato il lunghissimo processo che porterà alla definizione del bilancio pluriennale 2028-2034 della UE. Questa volta il sentiero che porterà al voto all’unanimità da parte dei 27 Stati membri entro dicembre 2027, si presenta davvero accidentato. Sono cresciuti gli obiettivi e le connesse esigenze di spesa (difesa in testa), scarseggiano le entrate e c’è pure da ripagare il debito contratto dalla Ue per finanziare il Next Generation EU per la ripresa post pandemica. «La bomba a orologeria del debito UE», per usare le parole del sito Politico.eu, non certo tacciabile di euroscetticismo.

Nulla che non fosse già noto e ampiamente documentato su questo sito sin dai primi vagiti del NextGenEU nel 2020, quando l’allora Presidente Giuseppe Conte tornò trionfante da Bruxelles promettendo una “pioggia di miliardi” a favore dell’Italia. Ora sta arrivando puntualmente il conto da pagare.

La Presidente Ursula von der Leyen, al netto della solita retorica farcita di obiettivi (ovviamente) “ambiziosi” non ha potuto fare altro che ammettere che per finanziare la lunga lista di spese, in cui agricoltura e fondi per la coesione pesano ancora per 2/3 del totale, e rimborsare i debiti del NextGenEU, non può che fare ricorso a maggiori «risorse proprie». Cioè maggiori versamenti a carico degli Stati membri e maggiori entrate tributarie, come già lo sono la compartecipazione all’Iva e i dazi doganali. In altre parole, ulteriori prelievi a carico di famiglie e imprese, da inviarsi direttamente a Bruxelles o via Roma. «Lo status quo non è un’opzione», ha concluso.

L’aspetto drammatico di tutta la vicenda è che sono gli stessi propositi manifestati dalla von der Leyen nel 2021, quando confidava proprio su un flusso di entrate aggiuntivo per circa 36 miliardi all’anno per ripagare i debiti del NextGenEU. All’epoca si parò di aumenti dei diritti sulle emissioni di CO2 (ETS), aumento della tassazione sulle importazioni di prodotti ad alta intensità di CO2 (CBAM), maggiori imposte sui profitti delle multinazionali. Tutto svanito nel nulla, o finito nelle casse degli Stati membri.

Ora mancano all’appello circa 30 miliardi all’anno che il bilancio Ue, a partire dal 2028, dovrà necessariamente destinare al rimborso dei bond emessi dal 2021 per finanziare i recovery plandi 27 Paesi. Ad oggi, si tratta di un esborso di 306 miliardi, di cui 122 a favore dell’Italia. Le soluzioni a disposizione per questa impossibile quadratura del cerchio sono poche e tutte foriere di aspre divisioni tra i partner europei.

La prima è quella di ridurre le altre spese in modo da fare posto ai 30 miliardi di rimborsi. Ma questo significa – a parità di entrate -tagliare la capacità di spesa annua di circa il 20%, quando invece i capitoli di spesa dovrebbero aumentare sia nel numero che nel livello della spesa. Una contraddizione che potrebbe far esplodere contrasti insanabili.

L’altra soluzione è quella, avanzata ufficialmente dalla Spagna, di rinnovare il debito in scadenza e, addirittura, di contrarre nuovo debito fino a raddoppiare le dimensioni del bilancio settennale da 1.200 miliardi. Ma questo sarebbe sale sulle ferite di Paesi come la Germania e la sua Corte Costituzionale, perché il NextGenUE è strumento una tantum e si configurerebbe una responsabilità illimitata e solidale di ciascun Paese per l’intero debito contratto dalla Commissione. Qualcosa che né il diritto interno tedesco né i Trattati potrebbero consentire. Come estrema ratio a Madrid sono andati a ripescare anche la possibilità che intervenga il sempiterno Mes – che tuttora dispone di una capacità di spesa di 422 miliardi, però a leva su debiti garantiti dagli Stati membri – per finanziare le ricadute economiche negative della guerra in Ucraina. Anche in questo caso, con non banali problemi giuridici da risolvere.

La soluzione più praticabile, per usare un eufemismo, sarebbe quella di aumentare l’utilizzo del più importante canale di finanziamento del bilancio Ue, cioè i contributi degli Stati membri proporzionali al Reddito Nazionale Lordo e pari a circa l’1% di quest’ultimo. Ma anche questa soluzione non è indolore. Innanzitutto l’Italia, come contributore netto, secondo una proiezione della Commissione pubblicata da Politico.Eu, vedrebbe aumentare il contributo annuo da 16,3 a 19,6 miliardi. Quindi una discreta quota dei soldi che abbiamo ricevuto come sussidi in questi anni, torneranno a Bruxelles come maggiori contributi al bilancio. Tutto già prevedibile e noto, tranne che per gli eurosognatori.

In secondo luogo, i Paesi proporzionalmente meno beneficiati dai sussidi del NextGenEU saranno penalizzati da questa ripartizione e potrebbero puntare i piedi chiedendo a loro volta una riduzione della dotazione del bilancio UE.

In attesa che questi nodi vengano presto al pettine, rischiando di romperlo, mercoledì la von der Leyen ha aperto una consultazione pubblica per ricevere proposte e soluzioni nelle prossime 12 settimane. In attesa di consegnare a luglio la propria proposta definitiva.

La novità in discussione, in attesa che si trovino i soldi, è quello di ridefinire la struttura del bilancio, oggi parcellizzata rigidamente in oltre 500 capitoli di spesa non intercambiabili. Il nuovo approccio è quello di definire con gli Stati un piano che contenga riforme e investimenti, il modello PNRR per intenderci. Oltre a questo, dovrebbero esserci cinque grandi capitoli di spesa (competitività, azioni verso l’estero, diritti sociali, protezione civile, mercato unico) all’interno dei quali muoversi con maggiore flessibilità.

Si stringerà così ancora di più la camicia di forza della Ue sull’autonomia della politica economica degli Stati membri, ridotti a meri esecutori del piano pre-concordato. Un modus operandi, la cui dannosità abbiamo già sperimentato in questi anni e che viene riproposto, perché nella UE quando una cosa non funziona è perché ce ne vuole di più.