Come (e perché) Trump sta ristrutturando tutte le agenzie governative Usa

Che Donald Trump abbia intenzione di riformare profondamente alcuni pezzi dell’apparato governativo americano, non è un mistero. E, da questo punto di vista, il presidente americano sta tirando dritto soprattutto per quanto concerne servizi, Pentagono e Dipartimento di Giustizia. La nuova direttrice dell’Intelligence nazionale, Tulsi Gabbard, ha licenziato già oltre cento funzionari appartenenti a 15 agenzie, revocando loro l’autorizzazione a trattare i documenti riservati. Sulla base di un’inchiesta condotta dal City Journal, tali funzionari avevano scritto messaggi controversi, oltreché sessualmente espliciti, in una chat interna della National Security Agency: in particolare, avevano parlato di politica, poliamore e chirurgia transgender. I siluramenti attuati dalla Gabbard si inseriscono nel piano di riforma delle agenzie promosso da Trump: un piano che, tra le altre cose, punta a sradicare dagli apparati le politiche di diversità e inclusione che erano state portate avanti dall’amministrazione americana precedente.Sulla stessa linea si sta muovendo il direttore della Cia, John Ratcliffe. Secondo la Cnn, a metà febbraio la sua agenzia ha deciso di licenziare più di dieci dipendenti che, in passato, avevano lavorato a questioni legate alla diversità. A tal proposito va considerato che, negli ultimi anni, i repubblicani avevano lamentato una progressiva politicizzazione della comunità d’intelligence, denunciando anche una sua eccessiva apertura alle politiche progressiste: un problema, questo, che anche alcuni settori degli stessi apparati hanno visto come deleterio sia in termini di selezione dei funzionari sia in termini di deterrenza. È sempre in quest’ottica che il capo del Pentagono, Pete Hegseth, ha vietato alcuni libri di testo nelle scuole legate al Dipartimento della Difesa. Non solo. Tira aria di cambiamenti anche all’Fbi, che è adesso sotto la guida di Kash Patel. Quest’ultimo ha già fatto sapere di voler trasferire un migliaio di dipendenti dalla sede centrale del Bureau alle filiali territoriali. Ricordiamo che, per Trump, la riforma dell’Fbi risulta particolarmente urgente, soprattutto dopo che, durante il suo primo mandato, questa istituzione svolse un ruolo fondamentale nel costruire il Russiagate: presunto scandalo poi risoltosi fondamentalmente in una bolla di sapone. Tra l’altro, il Bureau fa capo al Dipartimento di Giustizia: un dicastero alla cui guida il presidente americano ha posto Pam Bondi. Insomma, la ristrutturazione degli apparati prosegue. L’obiettivo non è soltanto quello di sradicare le politiche progressiste o di fare spending review. Lo stesso energico spoil system, caldeggiato da Trump, ha come fine quello di arginare l’opposizione interna che il diretto interessato dovette fronteggiare durante il primo mandato. Nel lungo termine, la Casa Bianca punta comunque a un rafforzamento degli apparati, in vista della competizione geopolitica con la Cina. Non a caso, quando presentò il Dipartimento per l’efficienza governativa, Trump lo paragonò significativamente al Progetto Manhattan. Certo, i critici del presidente americano continuano ad andare all’attacco, accusandolo di aver messo a capo degli apparati dei fedelissimi, che risulterebbero in realtà inesperti. Ora, è chiaro che bisognerà valutare col tempo i nuovi nominati. Nel frattempo, va tuttavia ricordato che i presunti “esperti” che furono designati da Joe Biden non hanno brillato particolarmente. L’allora presidente americano mise un generale, come Lloyd Austin, a capo del Pentagono, e una ex vicedirettrice della Cia, come Avril Haines, alla direzione dell’Intelligence nazionale. Ebbene, sotto la loro gestione, si sono verificate svariate ed eclatanti fughe di notizie: basti pensare allo scandalo dei Pentagon leaks, avvenuto ad aprile 2023. Lo stesso Biden, a maggio 2022, si lamentò con Austin e con la Haines per le fughe di notizie dell’intelligence americana sulla guerra in Ucraina. Senza trascurare quando, a ottobre scorso, i servizi americani si lasciarono scappare i piani della possibile ritorsione militare israeliana contro l’Iran. Tutto questo per dire che, prima di lanciarsi in giudizi affrettati sulle nomine di Trump, sarebbe meglio avere memoria migliore dei “competenti” che erano stati designati dal predecessore.

Mar 6, 2025 - 16:34
 0
Come (e perché) Trump sta ristrutturando tutte le agenzie governative Usa


Che Donald Trump abbia intenzione di riformare profondamente alcuni pezzi dell’apparato governativo americano, non è un mistero. E, da questo punto di vista, il presidente americano sta tirando dritto soprattutto per quanto concerne servizi, Pentagono e Dipartimento di Giustizia.

La nuova direttrice dell’Intelligence nazionale, Tulsi Gabbard, ha licenziato già oltre cento funzionari appartenenti a 15 agenzie, revocando loro l’autorizzazione a trattare i documenti riservati. Sulla base di un’inchiesta condotta dal City Journal, tali funzionari avevano scritto messaggi controversi, oltreché sessualmente espliciti, in una chat interna della National Security Agency: in particolare, avevano parlato di politica, poliamore e chirurgia transgender. I siluramenti attuati dalla Gabbard si inseriscono nel piano di riforma delle agenzie promosso da Trump: un piano che, tra le altre cose, punta a sradicare dagli apparati le politiche di diversità e inclusione che erano state portate avanti dall’amministrazione americana precedente.

Sulla stessa linea si sta muovendo il direttore della Cia, John Ratcliffe. Secondo la Cnn, a metà febbraio la sua agenzia ha deciso di licenziare più di dieci dipendenti che, in passato, avevano lavorato a questioni legate alla diversità. A tal proposito va considerato che, negli ultimi anni, i repubblicani avevano lamentato una progressiva politicizzazione della comunità d’intelligence, denunciando anche una sua eccessiva apertura alle politiche progressiste: un problema, questo, che anche alcuni settori degli stessi apparati hanno visto come deleterio sia in termini di selezione dei funzionari sia in termini di deterrenza. È sempre in quest’ottica che il capo del Pentagono, Pete Hegseth, ha vietato alcuni libri di testo nelle scuole legate al Dipartimento della Difesa.

Non solo. Tira aria di cambiamenti anche all’Fbi, che è adesso sotto la guida di Kash Patel. Quest’ultimo ha già fatto sapere di voler trasferire un migliaio di dipendenti dalla sede centrale del Bureau alle filiali territoriali. Ricordiamo che, per Trump, la riforma dell’Fbi risulta particolarmente urgente, soprattutto dopo che, durante il suo primo mandato, questa istituzione svolse un ruolo fondamentale nel costruire il Russiagate: presunto scandalo poi risoltosi fondamentalmente in una bolla di sapone. Tra l’altro, il Bureau fa capo al Dipartimento di Giustizia: un dicastero alla cui guida il presidente americano ha posto Pam Bondi.

Insomma, la ristrutturazione degli apparati prosegue. L’obiettivo non è soltanto quello di sradicare le politiche progressiste o di fare spending review. Lo stesso energico spoil system, caldeggiato da Trump, ha come fine quello di arginare l’opposizione interna che il diretto interessato dovette fronteggiare durante il primo mandato. Nel lungo termine, la Casa Bianca punta comunque a un rafforzamento degli apparati, in vista della competizione geopolitica con la Cina. Non a caso, quando presentò il Dipartimento per l’efficienza governativa, Trump lo paragonò significativamente al Progetto Manhattan.

Certo, i critici del presidente americano continuano ad andare all’attacco, accusandolo di aver messo a capo degli apparati dei fedelissimi, che risulterebbero in realtà inesperti. Ora, è chiaro che bisognerà valutare col tempo i nuovi nominati. Nel frattempo, va tuttavia ricordato che i presunti “esperti” che furono designati da Joe Biden non hanno brillato particolarmente. L’allora presidente americano mise un generale, come Lloyd Austin, a capo del Pentagono, e una ex vicedirettrice della Cia, come Avril Haines, alla direzione dell’Intelligence nazionale. Ebbene, sotto la loro gestione, si sono verificate svariate ed eclatanti fughe di notizie: basti pensare allo scandalo dei Pentagon leaks, avvenuto ad aprile 2023. Lo stesso Biden, a maggio 2022, si lamentò con Austin e con la Haines per le fughe di notizie dell’intelligence americana sulla guerra in Ucraina. Senza trascurare quando, a ottobre scorso, i servizi americani si lasciarono scappare i piani della possibile ritorsione militare israeliana contro l’Iran.

Tutto questo per dire che, prima di lanciarsi in giudizi affrettati sulle nomine di Trump, sarebbe meglio avere memoria migliore dei “competenti” che erano stati designati dal predecessore.