Che cosa succede alle destre in Germania, Regno Unito, Romania e Francia?

In Germania, UK, Romania, Francia, alle destre non bastano i voti per ottenere il potere. In Italia sì: Meloni gongola. Il corsivo di Battista Falconi

Mag 3, 2025 - 08:43
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Che cosa succede alle destre in Germania, Regno Unito, Romania e Francia?

In Germania, UK, Romania, Francia, alle destre non bastano i voti per ottenere il potere. In Italia sì: Meloni gongola. Il corsivo di Battista Falconi

 

Colpisce il successo di Nigel Farage, del quale non sentivamo parlare da un po’, nel momento in cui giunge la notizia che gli 007 tedeschi intendono mettere fuori legge AFD in Germania. ReformUK ha trionfato alle elezioni locali: si votava per 1.600 seggi in 23 consigli comunali, sei cariche da sindaco e un seggio nazionale. Il peso parlamentare del partito resta irrisorio ma la popolarità del suo leader cresce, erode i consensi dei conservatori e insidia quella, in calo, del premier Starmer. I servizi segreti di Berlino, invece, additano Alternative fur Deutschland come partito estremista per le sue idee su stranieri e immigrati, che configurerebbero un razzismo inammissibile. L’Ufficio tedesco per la protezione della Costituzione l’ha detto chiaro: “Estrema destra incompatibile con l’ordinamento liberale e democratico”.

Le destre-destre, in Europa, continuano a dover faticare più del dovuto l’ammissione alla tavola democratica, non basta loro prendere voti. In realtà non serve nemmeno essere di destra: basta coltivare un pensiero eterodosso rispetto al mainstream politicamente corretto, per esempio essere filorussi, e un magistrato, una corte per annullare il consenso espresso dagli elettori si trova. La commissione elettorale di Bucarest, come noto, ha respinto la candidatura di Georgescu al voto di domani, confermando la decisione della Corte Costituzionale che annullò le elezioni di novembre. Secondo Salvini è un “euro-golpe in stile sovietico”.

Del resto cosa accade in Francia? Un satrapo francamente antipatico, tanto smanioso da imbucarsi persino a margine dei funerali, però abile nel confezionare tattiche e alleanze per rimanere in sella, protrae l’esclusione dalla barra di comando della destra “lepenista”, che da tempo sfiora il potere senza raggiungerlo. Una conventio ad excludendum anche la maggioranza tedesca guidata da Merz, la piccola-grande coalizione tra SPD e CDU-CSU, traballante già prima che il governo parta (e le elezioni si sono tenute il 22 febbraio!). Meglio stare assieme appiccicandosi con lo scotch che dare seguito alla volontà popolare, nel momento in cui rischia di diventare populista.

A fare eccezione sono Trump e Meloni. Donald ha strappato il secondo mandato differito con le unghie e i denti, il piglio rognoso e borioso, passando come un caterpillar sulle perplessità istituzionali, giuridiche e parlamentari sollevate contro di lui. Dopo tre mesi, i dati sono contraddittori, ripensamenti e segnali di crisi ci sono, l’industria pare in calo, ma si va avanti e vedremo se arriverà qualche risultato, che sarebbe in ogni caso storico. Ora siamo all’ennesimo dialogo, con la Cina ma anche con Bruxelles, gli accordi sulle terre rare con Zelensky sono stati firmati.

Quasi tre anni e non appena tre mesi abbondanti, invece, rendono il bilancio di Giorgia Meloni ben più chiaro e solido. Anche qui elementi controversi ci sono, perché è la situazione geo-politica ed economica globale è molto incerta, basti dire che FED e BCE non sembrano avere le idee chiarissime. Però l’occupazione va benino (nonostante l’ultimo calo di 16 mila unità il saldo annuo resta positivissimo a +673 mila posti a tempo indeterminato) e i salari sono così così: che poi, fino a quando continueremo a considerare posti e redditi da lavoro l’unico metro della salute socio-economica? Ha ragione Massimo Giannini a citare “La fine del lavoro” di Jeremy Rifkin.

Cose da fare ce ne sono ancora tante, dal premierato al ponte sullo Stretto, ma il bilancio meloniano è positivo, detratte le esagerazioni narrative ostili e amicali, abbastanza da confermare che a fine mandato si tenterà il bis. Il bilancio, nota a margine, è tratto con un’intervista alla Adnkronos condotta con la consueta abilità auto-promozionale (vedi stilettata alla misoginia che le ha fatto guadagnare qualche flebile plauso da sinistra), che immaginiamo quanto abbia imbestialito i giornalisti politicamente corretti che pressano la premier e che avranno gongolato per la retrocessione dell’Italia nella classifica della libertà di stampa redatta da Reporter senza frontiere.

Meloni sta compiendo un piccolo miracolo, considerata l’avversione degli establishment contro le destre, vedi in Italia la magistratura e il sistema mediale-intellettuale. Dimostra che si può, con molta pazienza e nonostante i problemi di adattamento alla realtà, lavorare in direzione del centrodestra, anche quando il centro conta poco come ora. Mai un esecutivo mantiene così il consenso alla boa di metà legislatura: da noi, per fortuna, questo significa ancora qualcosa.