Certificazioni bio, eco, green: come orientarsi tra i green claims

Scopri come riconoscere i veri green claims ed evitare il greenwashing. Tutto sulla direttiva Ue che regola le dichiarazioni ambientali sui prodotti L'articolo Certificazioni bio, eco, green: come orientarsi tra i green claims proviene da Valori.

Mag 5, 2025 - 06:20
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Certificazioni bio, eco, green: come orientarsi tra i green claims

La crescente sensibilità verso la crisi ambientale è stata prontamente recepita anche dal mercato, che ha saputo trasformarla in un’opportunità di profitto. Da alcuni anni, scaffali e pubblicità si sono riempiti di prodotti con packaging compostabili, immagini naturalistiche e parole evocative come “sostenibile” o “eco-friendly”. Non mancano poi loghi e certificazioni che rimandano all’idea di rispetto ambientale.

Se da un lato è positivo che temi come la sostenibilità siano entrati nel mainstream, dall’altro cresce il sospetto che molte aziende utilizzino il “green” più come strategia di marketing che come reale impegno ambientale. È il fenomeno noto come greenwashing: un maquillage ecologico che svuota di significato parole e immagini, inducendo il consumatore a credere che un prodotto sia più sostenibile di quanto non sia in realtà.

I green claims: tra regolamentazione e ambiguità

Con “green claims” si intendono tutte quelle dichiarazioni, esplicite o implicite, che un prodotto o servizio usa per vantare presunti benefici ambientali. Secondo uno studio della Commissione europea, circa il 35% dei prodotti analizzati nei supermercati contiene claim espliciti (“amico dell’ambiente”, “eco”) e quasi la metà (45%) fa uso di riferimenti impliciti, come alberi, fiori o sfondi verdi​. Ciò perché quando si parla di claim non si ci si riferisce solo a parole, frasi o slogan ma anche a immagini e rappresentazioni.

Ancora più preoccupante è che quasi un quarto dei prodotti esaminati presenta almeno un claim ingannevole. Analizzando più a fondo 150 esempi, si è scoperto che oltre il 53% dei green claims era «poco chiaro, non verificabile o infondato»​.

In molti casi, inoltre, si utilizzano immagini che suggeriscono un legame con la natura senza che ciò corrisponda a reali pratiche sostenibili. Questa manipolazione sottile, spesso difficile da riconoscere, è una delle tecniche più frequenti di greenwashing​.

La risposta dell’Unione europea: la direttiva Green Claims

“Naturale”, “amico dell’ambiente”, “ecologico”, “100% sostenibile”, “eco”, “green”, “ecocompatibile”, “a impatto zero”, “zero emissioni”. Sono solo alcune delle parole che compaiono con insistenza sulle etichette dei prodotti di consumo facilmente reperibili nei supermercati. Spesso però, come abbiamo visto, è difficile capire se quelle parole hanno motivo di essere riportate sull’etichetta. O se, invece, fanno solo parte del nome del brand, della sua strategia pubblicitaria e del bisogno di diventare appetibile a un pubblico sensibile alla causa.

Per contrastare il dilagare delle affermazioni ambientali vaghe o ingannevoli, il 28 febbraio 2024 è stata approvata la direttiva Ue 2024/825. Una ​direttiva che vuole che le parole tornino ad avere un senso preciso. Per questo vieta l’uso di dichiarazioni ambientali generiche come “ecologico”, “responsabile” o “sostenibile”. Ma non solo. La direttiva ha incluso tra le pratiche commerciali sleali anche l’esibizione di un marchio di sostenibilità che non è stato comprovato e che non fa parte di un sistema di certificazione normato dalle autorità pubbliche.

Questo provvedimento integra il quadro della protezione dei consumatori e introduce una serie di vincoli precisi:

  • Divieto di dichiarazioni generiche come “ecologico”, “verde”, “sostenibile” se non accompagnate da prove concrete e verificabili.
  • Obbligo di chiarezza: ogni claim deve essere preciso, basato su dati scientifici affidabili e riferito all’intero ciclo di vita del prodotto, non solo a singole fasi o componenti.
  • Certificazioni riconosciute: saranno ammesse solo se rilasciate nell’ambito di sistemi di certificazione autorizzati o da enti pubblici. Non sarà più lecito esibire loghi di fantasia o auto-dichiarazioni.
  • Vietato il cherry-picking: non si potrà promuovere un prodotto come sostenibile evidenziando solo aspetti positivi e omettendo impatti negativi rilevanti.
  • Stop ai “carbon neutral” fittizi: dichiarare un impatto climatico nullo sarà permesso solo se si dimostra di avere realmente azzerato (e non solo compensato) tutte le emissioni di gas serra.

Un esempio pratico: non si potrà più scrivere che una padella è “priva di PFAS” se i PFAS sono già vietati per legge nell’Unione europea.​

Gli Stati membri dovranno recepire la direttiva nei rispettivi ordinamenti entro il 27 marzo 2026, ma alcuni Paesi, come la Francia, hanno già anticipato misure simili dal gennaio 2023​.

Come riconoscere un claim affidabile

Secondo il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria e le linee guida dell’Unione europea, un’affermazione ambientale credibile deve:

  • Essere specifica (es. “contiene il 50% di materiali riciclati” anziché “eco-friendly”).
  • Basarsi su evidenze verificabili, disponibili al consumatore.
  • Non creare falsa impressione su aspetti marginali del prodotto.
  • Non attribuirsi vantaggi che derivano da obblighi legali già esistenti.

Un cambio di paradigma necessario

La regolamentazione dei green claims non è solo una questione di correttezza pubblicitaria: riguarda anche la fiducia dei consumatori e la lotta alla crisi climatica. Come rilevato da numerosi studi, il greenwashing non solo disorienta chi vuole fare scelte più responsabili, ma ostacola anche il cambiamento sistemico di cui abbiamo urgente bisogno. La nuova direttiva europea è un passo decisivo per riportare verità e trasparenza nella comunicazione ambientale. Perché se vogliamo davvero un’economia più verde, non possiamo accontentarci di slogan: servono fatti.

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