Caligola, l'imperatore che voleva essere un dio

Figlio del carismatico generale Germanico e di Agrippina Mag giore, la nipote preferita dell’im peratore Augusto, Caligola salì al trono all’età di venticinque anni. Succedette al prozio adottivo Tiberio, che secondo alcune fonti avrebbe fatto assas sinare. Inizialmente accolto con entusia smo generale, l’imperatore riuscì a tenere viva questa popolarità offrendo una serie di feste e opere pubbliche. Tuttavia, secon do una famosa frase di Svetonio, autore della biografia più dettagliata dell’impe ratore – redatta all’incirca ottant’anni dopo il suo regno – se all’inizio Ca ligola si comportava come un principe, ben presto divenne un mostro.Nella biografia, il cronista romano rac conta gli atti abominevoli che avrebbe commesso l’imperatore: sperperi, omicidi, torture, incesti... Secondo lui, tutto ebbe inizio dopo le visite di alcuni re stranieri, questi «gli fecero notare che si era posto al di sopra dei principi e dei re, si arrogò la maestà divina», da quel momento Calligola inizió a credere di poter agire come un dio da venerare quando era ancora in vita.Lo stesso Svetonio cita numerosi esempi di questo apparente delirio dell’imperatore. Così, Caligola fece ampliare il palazzo im periale sul Palatino, trasformando il tem pio di Castore e Polluce, nel foro, nel suo vestibolo. In questo modo, poteva sedersi tra le statue dei due Dioscuri.Inoltre, come se volesse rivaleggiare con Giove, la divinità suprema, Caligola decise di costruirsi un altare tutto suo sul Pala tino e collocò una statua dorata a sua im magine e somiglianza, che veniva rivestita ogni giorno con gli stessi abiti indossati dall’imperatore. Caligola fece sacrificare sul suo altare ogni tipo di animale: faraone, fe nicotteri, pavoni, galli cedroni, fagiani, polli di Numidia e altre specie esotiche.Adulazione obbligataCaligola appariva in pubblico vestito con sete o mantelli ricoperti di pietre prezio se, indossava gioielli, parrucche e persi no barbe posticce dorate. Il suo aspetto dipendeva dalla divinità che intendeva rappresentare: se voleva essere Ercole, portava con sé una mazza e una pelle di leone; se voleva essere Bacco, mostrava un cratere e un tirso; oppure brandiva un tridente come se fosse Nettuno. Pretese che venisse portata a Roma la famosa sta tua di Giove che si trovava a Olimpia, non prima però di averne rimosso la testa per sostituirla con il suo volto.Durante il giorno Caligola si recava sul Campidoglio per conversare con la statua. Fece persino flagellare un attore di nome Apelle perché alla domanda su chi gli sem brasse più grande fra Giove e il suo impe ratore, l’uomo esitò a rispondere (anche se in seguito, sentendo i lamenti dell’attore, Caligola si placò affermando che trovava dolce la sua voce supplicante).Poi, di notte, invitava Luna a dividere il letto con lui perché lo illuminasse con il suo amorevole abbraccio. Si dice che una volta chiese al cortigiano Vitellio se l’avesse vi sta brillare accanto a lui; e quest’ultimo, abbassando lo sguardo come se si vergo gnasse e con un tremito falso nella voce, gli rispose: «Mio signore, solo a voi, gli dei, è permesso guardavi reciprocamente».Anche se queste storie erano in gran parte calunnie o frutto della fantasia e fu rono raccolte molti decenni dopo la morte dell’imperatore da storici come Svetonio, riflettono comunque un aspetto importante della politica di Caligola: la propaganda con cui comunicava la grandezza del suo potere attraverso il linguaggio visivo del mito.Da decenni ormai a Roma era consuetu dine che i politici ricevessero onori divini alla maniera dei sovrani dell’Oriente el lenistico. Già Giulio Cesare era stato pro clamato divo Giulio alla fine della sua vita, sebbene egli stesso accettasse tali onori divini solo come espressione di affetto da parte dei suoi sostenitori.Dopo l’assassinio di Cesare, Ottaviano, suo figlio adottivo, gli attribuí gli onori divini: una deci sione completamente ine dita nella storia di Roma. Anche Ottaviano, il fu turo imperatore Augu sto, fu divinizzato alla sua morte, e da quel momento iniziò a es sere raffigurato sulle monete come Sol-He lios, con dei raggi sulla testa e una stella sopra di lui, e talvolta con l’aquila di Giove.Il culto in tutto l’imperoPrima che Caligola salisse al trono, nei ter ritori orientali dell’impero erano già sta ti eretti templi in onore dell’imperatore e della sua famiglia, tutti strettamente legati al culto della dea Roma, divinità della re ligione romana che personificava la città. Era stato persino istituito formalmente un culto degli imperatori defunti divinizzati, assegnato a un collegio di sacerdoti di cui faceva parte Germanico, padre di Caligola. Seguendo questa tendenza alla divinizza zione dei sovrani, Caligola ordinò che nel santuario di Apollo a Didima (sulle coste dell’odierna Turchia) vi fosse anche un re cinto a lui dedicato.Anche la decisione di collegare la domus imperiale con il tempio di Castore e Polluce non era una novità, in quanto già Augusto aveva integrato il tempio di

Mag 6, 2025 - 17:27
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Caligola, l'imperatore che voleva essere un dio

Figlio del carismatico generale Germanico e di Agrippina Mag giore, la nipote preferita dell’im peratore Augusto, Caligola salì al trono all’età di venticinque anni. Succedette al prozio adottivo Tiberio, che secondo alcune fonti avrebbe fatto assas sinare. Inizialmente accolto con entusia smo generale, l’imperatore riuscì a tenere viva questa popolarità offrendo una serie di feste e opere pubbliche. Tuttavia, secon do una famosa frase di Svetonio, autore della biografia più dettagliata dell’impe ratore – redatta all’incirca ottant’anni dopo il suo regno – se all’inizio Ca ligola si comportava come un principe, ben presto divenne un mostro.

Nella biografia, il cronista romano rac conta gli atti abominevoli che avrebbe commesso l’imperatore: sperperi, omicidi, torture, incesti... Secondo lui, tutto ebbe inizio dopo le visite di alcuni re stranieri, questi «gli fecero notare che si era posto al di sopra dei principi e dei re, si arrogò la maestà divina», da quel momento Calligola inizió a credere di poter agire come un dio da venerare quando era ancora in vita.

Lo stesso Svetonio cita numerosi esempi di questo apparente delirio dell’imperatore. Così, Caligola fece ampliare il palazzo im periale sul Palatino, trasformando il tem pio di Castore e Polluce, nel foro, nel suo vestibolo. In questo modo, poteva sedersi tra le statue dei due Dioscuri.

Inoltre, come se volesse rivaleggiare con Giove, la divinità suprema, Caligola decise di costruirsi un altare tutto suo sul Pala tino e collocò una statua dorata a sua im magine e somiglianza, che veniva rivestita ogni giorno con gli stessi abiti indossati dall’imperatore. Caligola fece sacrificare sul suo altare ogni tipo di animale: faraone, fe nicotteri, pavoni, galli cedroni, fagiani, polli di Numidia e altre specie esotiche.

Adulazione obbligata

Caligola appariva in pubblico vestito con sete o mantelli ricoperti di pietre prezio se, indossava gioielli, parrucche e persi no barbe posticce dorate. Il suo aspetto dipendeva dalla divinità che intendeva rappresentare: se voleva essere Ercole, portava con sé una mazza e una pelle di leone; se voleva essere Bacco, mostrava un cratere e un tirso; oppure brandiva un tridente come se fosse Nettuno. Pretese che venisse portata a Roma la famosa sta tua di Giove che si trovava a Olimpia, non prima però di averne rimosso la testa per sostituirla con il suo volto.

Durante il giorno Caligola si recava sul Campidoglio per conversare con la statua. Fece persino flagellare un attore di nome Apelle perché alla domanda su chi gli sem brasse più grande fra Giove e il suo impe ratore, l’uomo esitò a rispondere (anche se in seguito, sentendo i lamenti dell’attore, Caligola si placò affermando che trovava dolce la sua voce supplicante).

Poi, di notte, invitava Luna a dividere il letto con lui perché lo illuminasse con il suo amorevole abbraccio. Si dice che una volta chiese al cortigiano Vitellio se l’avesse vi sta brillare accanto a lui; e quest’ultimo, abbassando lo sguardo come se si vergo gnasse e con un tremito falso nella voce, gli rispose: «Mio signore, solo a voi, gli dei, è permesso guardavi reciprocamente».

Anche se queste storie erano in gran parte calunnie o frutto della fantasia e fu rono raccolte molti decenni dopo la morte dell’imperatore da storici come Svetonio, riflettono comunque un aspetto importante della politica di Caligola: la propaganda con cui comunicava la grandezza del suo potere attraverso il linguaggio visivo del mito.

Da decenni ormai a Roma era consuetu dine che i politici ricevessero onori divini alla maniera dei sovrani dell’Oriente el lenistico. Già Giulio Cesare era stato pro clamato divo Giulio alla fine della sua vita, sebbene egli stesso accettasse tali onori divini solo come espressione di affetto da parte dei suoi sostenitori.

Dopo l’assassinio di Cesare, Ottaviano, suo figlio adottivo, gli attribuí gli onori divini: una deci sione completamente ine dita nella storia di Roma. Anche Ottaviano, il fu turo imperatore Augu sto, fu divinizzato alla sua morte, e da quel momento iniziò a es sere raffigurato sulle monete come Sol-He lios, con dei raggi sulla testa e una stella sopra di lui, e talvolta con l’aquila di Giove.

Il culto in tutto l’impero

Prima che Caligola salisse al trono, nei ter ritori orientali dell’impero erano già sta ti eretti templi in onore dell’imperatore e della sua famiglia, tutti strettamente legati al culto della dea Roma, divinità della re ligione romana che personificava la città. Era stato persino istituito formalmente un culto degli imperatori defunti divinizzati, assegnato a un collegio di sacerdoti di cui faceva parte Germanico, padre di Caligola. Seguendo questa tendenza alla divinizza zione dei sovrani, Caligola ordinò che nel santuario di Apollo a Didima (sulle coste dell’odierna Turchia) vi fosse anche un re cinto a lui dedicato.

Anche la decisione di collegare la domus imperiale con il tempio di Castore e Polluce non era una novità, in quanto già Augusto aveva integrato il tempio di Apollo nella sua residenza sul Palatino. In questo modo per gli imperatori era più facile gestire gli affari di Stato: non avevano più la necessità di recarsi nel foro in quanto disponevano già di uno spazio pubblico nella propria dimora, un tempio all’interno del quale amministra vano la giustizia.

D’altra parte, la divinizzazione di Ca ligola aveva a che fare con i rapporti con flittuali dell'imperatore con i membri del senato, il gruppo più ostile al suo potere. All’inizio del suo regno, quando Caligola si ammalò, i senatori iniziarono a pregare gli dei per la sua pronta guarigione, nono stante fossero stati proprio quegli stessi aristocratici ad applaudire la morte della madre e dei fratelli di Caligola che Tibe rio aveva condannato per tradimento con la connivenza del senato. Secondo Sveto nio, questo atteggiamento ipocrita suscitò in Caligola un disprezzo tale da portarlo a umiliare tutti i senatori con le armi dello scherno e del disprezzo, e una delle misure che adottò fu quella di costringerli a vene rarlo come un dio vivente.

Così, quando si sedeva tra le statue di Castore e Polluce, pretendeva che anch'essi andassero ad adorarlo come se fosse Giove. Questo atto, a volte, serviva anche a otte nere la grazia, come nel caso di Lucio Vi tellio, il governatore della Siria.

Caligola, inizialmente deciso a met terlo a morte, cambiò idea quando Vitellio si prostrò ai suoi piedi e iniziò a piangere e a implorarlo, promettendo di offrirgli sacrifici come a un dio. Caligola decise di graziarlo, godendo di questo servilismo frutto di costrizione. Tale comportamento potrebbe sembrare un gioco cinico con cui Caligola cercava di vedere fino a che punto erano disposti a spingersi l’aristocrazia e il senato nella loro abietta sottomissione, ma è bene ricordare che tutti gli imperatori ve nivano trattati con un misto di adulazione e paura. Come scrisse Plinio il Giovane nel suo Panegirico a Traiano, «A esco gitare adulazioni è più forte l’ipo crisia che la verità, la servitù che la libertà, la paura che l’amore».

Caligola non fu altrettanto spietato con coloro che non ap partenevano all’élite. In un’occa sione, un uomo si mise a ridere quando vide l’imperatore trave stito da Giove che pronunciava oracoli su un podio. Giunse ad dirittura a definirlo uno sciocco, ma l’uomo non fu punito perché era un semplice calzolaio della Gallia. Caligola tollerava di più la franchezza della gente comune che la falsità dell’aristocrazia.

In ogni caso, gli dei non ebbero pietà di Caligola. Si dice che quando gli àuguri va ticinarono che ben presto sarebbe giunta la morte dell’imperatore, la statua di Giove Olimpio scoppiò in una fragorosa risata. Alla vigilia del suo assassinio, Caligola sognò di trovarsi in cielo accanto a Giove e che questi, spingendolo con l’alluce, l’a vesse rimandato sulla terra. Sebbene avesse voluto giocare a fare il dio, Caligola morì per mano di alcuni cospiratori che lo pu gnalarono per ordine del senato.

Questo articolo appartiene al numero 195 della rivista Stroica National Geographic.