"Basta tv in bianco e nero: e Dio creò i colori"

Donatella Di Pietrantonio, già vincitrice del Campiello e dello Strega, debutta con un libro di favole: "Funzionano anche per i grandi"

Mar 5, 2025 - 07:10
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"Basta tv in bianco e nero: e Dio creò i colori"

Prima odontoiatra, poi scrittrice, Donatella Di Pietrantonio, vincitrice del Campiello nel 2017 con L’Arminuta e dello Strega l’anno scorso con L’età fragile. Ora si è cimentata anche nello scrivere per i bambini, più difficile che per i grandi.

Dedica la recentissima opera, possiamo presumere, a qualcuno in famiglia? "Sì, Tommaso è mio figlio, ventiseienne, che mi ha proibito di parlare di lui".

Dentista pediatrica, oltretutto, con un genio particolare? "Ho spesso raccontato favole ai miei piccoli pazienti. Per distrarli o tranquillizzarli, attingevo dalle storie che componevo per mio figlio, mio primo ispiratore di fiabe. Credo nell’odontoiatria narrativa".

In Lucciole, squaletti e un po’ di pastina (Salani Editore), chi è il protagonista più coerente? "Pasquale, lo squaletto con certi dentini aguzzi che spaventano gli altri pesciolini, i quali lo rendono infelice, rifiutandosi di stare in sua compagnia".

Senza svelare come riuscirà a diventare direttore dei giochi, possiamo però anticipare... "Assaggiando un’alga, “Mamma, io mi sa che divento vegetariano!”, il finale".

Le fiabe sono rimaste nel cassetto a lungo? Scritte a mano? "Potevo già utilizzare tastiere più tecnologiche per raccogliere pensieri e fantasie che Tommaso stesso mi suggeriva".

Per esempio? "L’invenzione delle lucciole, ex-stelle stufe di stare sempre in cielo, ferme e zitte a osservare i traffici lontani degli uomini".

La loro decisione di preferire la vita, forte e breve solo un’estate, lasciando nel firmamento l’eternità, non è più comprensibile agli adulti? "La fiaba funziona anche per i grandi. Anzi, c’erano una volta le fiabe per adulti, nate come forma narrativa rivolta a un pubblico maturo. Racconti popolari davanti al caminetto, quando faceva buio, con un preciso messaggio educativo. Solo in tempi moderni, adattati per i più piccoli".

Da piccola cosa leggeva? "Rispondo sempre che I promessi sposi, appena li ho avuti tra le mani, a 9 anni, ho incominciato a leggerli".

Non a farseli leggere? "C’era una sorta di pudore reciproco tra me e mio padre. Libri, lui, non ne ha mai letti. Pochissimi giravano in casa nostra: “Leggiteli tu!”, mi diceva".

Lei ha un forte legame con la sua regione, l’Abruzzo. Ce la fa vedere in una fiaba? "C’era una volta una grande prateria dove pascolava il magnifico gregge del pastore Flint, custodito dal cane Brunt. Cento erano le pecore, tutte bianche, tranne Lola, una nera. Nel bosco vicino, un lunedì, il lupo Gions ebbe voglia di pecora... Troverete peraltro preziose tutte le illustrazioni di Andrea Tarella".

L’Abruzzo della sua “Pastorale mezza americana” è sconvolto da predatori. "A parte certi episodi recenti di violenza, sbandierati dalla cronaca, è una terra di paesaggi bellissimi, poco conosciuti, dove in pochi chilometri puoi passare dalla montagna al mare".

Nel Parco Nazionale d’Abruzzo si fanno pure “Ciaspolate Poetiche“. "Mi lasci ricordare, semmai, Fulcro Pratesi, fondatore del Wwf, appena scomparso. L’Abruzzo gli è grato per l’amore che ha dimostrato verso il nostro paesaggio e la straordinaria varietà florovivaistica della nostra terra, e anche per l’amore alla nostra gente".

Ha sempre la residenza a Penne, provincia di Pescara? "Sì, e sto completando gli ultimi lavori nel mio studio dentistico. Forse, mi riesce difficile staccarmi".

Non avrebbe voluto fare altro? "Letteratura e giornalismo, certo, ma sarebbe stato incomprensibile, nel senso dell’utilità, alla mia famiglia contadina".

Un bel coraggio, però, in una fiaba è riuscita a trovarlo. "Sì, mi sono permessa di scherzare con Dio. Che creò i colori, dopo aver passato il tempo a starsene in poltrona a guardare la televisione in bianco e nero, e mangiare patatine... Vivere la maternità mi ha fatto sentire a mia volta molto creativa".