Auto in Italia in crisi a causa dei dazi di Trump, ma c’è un piano
Il rischio che il settore auto italiano venga travolto dalla nuova ondata di dazi voluta da Trump è concreto: cosa dicono i dati e qual è il piano dell'Unione Europea

Il nuovo pacchetto di dazi annunciati da Trump, che prevede un’imposizione base del 10% su tutte le importazioni e tariffe maggiorate contro i cosiddetti “peggiori trasgressori” – tra cui figurano anche l’Italia e il resto dell’Europa, colpite da un dazio al 20% – ha immediatamente sollevato timori tra gli analisti e gli addetti ai lavori per il settore automobilistico.
In particolare il comparto auto italiano, stando a quanto emerge da un dossier pubblicato dalla Camera dei Deputati il 7 aprile 2025, rischia di essere uno dei più penalizzati.
Un settore vulnerabile e strategico per l’Italia
Partiamo dai fatti: dal 3 aprile sono entrati in vigore dazi del 25% su auto e camion leggeri di fabbricazione europea, mentre i pezzi di ricambio, fondamentali per la catena di assistenza e manutenzione, saranno colpiti entro il 3 maggio.
A tutto ciò si aggiungono tariffe già applicate sull’acciaio e sull’alluminio europei, anch’esse al 25%, aggravando ulteriormente il quadro per l’industria manifatturiera legata alla mobilità.
I dazi colpiscono l’Ue ma, rivolgendo il nostro sguardo al mercato italiano, come confermato dal Centro Studi di Confindustria, tutti i settori manifatturieri del nostro Paese godono di un surplus commerciale con gli Stati Uniti – cioè esportano più di quanto importano. Il comparto degli autoveicoli e degli altri mezzi di trasporto è tra i più esposti:
il 30,7% dell’export italiano di settore è diretto verso il mercato statunitense.
Questo dato rappresenta una criticità significativa: più alta è la quota di esportazioni dirette verso gli Usa, maggiore sarà l’impatto dei dazi sul fatturato delle imprese italiane coinvolte. Al contrario, le importazioni di autoveicoli statunitensi in Italia rappresentano appena il 3,5%, un disequilibrio che rischia di tradursi in un colpo secco per le nostre aziende, senza un vero effetto di compensazione sui consumatori interni.
In termini pratici, il danno potrebbe manifestarsi su più fronti:
- riduzione degli ordini;
- minori margini di profitto;
- revisione delle strategie industriali;
- tagli alla produzione;
- conseguenze sull’occupazione.
Le aziende italiane del settore auto – molte delle quali sono fornitrici di componentistica di alta qualità per marchi americani – potrebbero trovarsi costrette a spostare parte della produzione all’estero o a rinegoziare contratti a condizioni meno vantaggiose.
Il rischio sul piano globale per il settore auto
Non è la prima volta che gli Stati Uniti di Trump adottano misure protezionistiche, ma questa nuova tornata appare più aggressiva e sistemica e rischia di colpire pesantemente il Made in Italy. Definire l’Unione europea tra i peggiori trasgressori è un messaggio politico prima ancora che economico: si accusa Bruxelles di pratiche commerciali sleali, senza però entrare nel merito delle dinamiche di concorrenza, standard ambientali o sussidi alla produzione.
Ma tornando al settore auto, già sotto pressione a causa della transizione ecologica, della digitalizzazione e dell’aumento del prezzo dell’energia elettrica, il rischio è quello di perdere terreno non solo in termini di competitività globale, ma anche rispetto ad altri attori internazionali come la Cina, che ha saputo costruire un ecosistema di mobilità elettrica fortemente sostenuto dallo Stato.
Infatti, anche se la Cina subirà dazi ancora più pesanti (34%), grazie alla vastità del proprio mercato interno e alla crescente presenza in Africa e Asia, potrebbe attutire l’impatto meglio dell’Europa.
Il piano d’azione europeo contro i dazi
A pochi giorni dall’annuncio statunitense, la Commissione europea ha presentato il proprio Piano d’azione industriale per il settore automobilistico europeo, riportato nel dossier n. 91 della Camera dei Deputati.
Il Piano d’azione industriale della Commissione punta, tra le altre cose, a:
- rafforzare la resilienza della filiera automobilistica europea;
- promuovere gli investimenti nelle tecnologie green;
- sviluppare partenariati strategici intra-UE per contrastare la dipendenza da fornitori esterni.
In questo scenario, le parole della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen risuonano come un misto di fermezza e pragmatismo, dato che ha promesso
contromisure forti e proporzionate.
Non manca però la disponibilità a negoziare per evitare una guerra commerciale senza esclusione di colpi. Eppure, l’impatto delle scelte unilaterali americane è già evidente, non solo sul piano economico, ma anche su quello geopolitico: si tratta di una chiara torsione protezionistica che rischia di compromettere i già fragili equilibri del commercio mondiale.
L’Italia dovrebbe dunque farsi promotrice, in sede europea, di una risposta forte e coesa. Servono fondi straordinari per il sostegno agli esportatori colpiti, un rafforzamento degli strumenti di diplomazia commerciale e un’accelerazione verso l’autonomia industriale in settori chiave come l’automotive, la componentistica elettronica e i materiali critici.
Al contempo, appare urgente riaprire canali di dialogo con Washington, magari anche coinvolgendo i produttori statunitensi presenti in Europa – molti dei quali contrari ai dazi – in una pressione congiunta sull’amministrazione americana. Lo auspica anche Giorgia Meloni con la “zero per zero”, la strategia che prevede un confronto diretto con Donald Trump.
Il rischio che il settore auto italiano venga travolto dalla nuova ondata di dazi voluta dal Tycoon non è teorico, ma concreto e imminente.