Auguri a tutti noi italiani, rilanciamoci sulla nostra intelligenza naturale

Caro Direttore, vivo ormai da tempo in una zona di confine, che poi vuol dire terra di nessuno, fra Italia e Cina, fra il nostro mondo, bellissimo ma irrimediabilmente decadente, ed un mondo lontano, sempre meno diverso ma certamente competitivo, anche aggressivo, modernissimo, con cui dobbiamo ma ancora non sappiamo fare i conti. Certamente non […] L'articolo Auguri a tutti noi italiani, rilanciamoci sulla nostra intelligenza naturale proviene da Economy Magazine.

Apr 19, 2025 - 10:00
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Auguri a tutti noi italiani, rilanciamoci sulla nostra intelligenza naturale

Caro Direttore,
vivo ormai da tempo in una zona di confine, che poi vuol dire terra di nessuno, fra Italia e Cina, fra il nostro mondo, bellissimo ma irrimediabilmente decadente, ed un mondo lontano, sempre meno diverso ma certamente competitivo, anche aggressivo, modernissimo, con cui dobbiamo ma ancora non sappiamo fare i conti. Certamente non a livello sistemico (e lo sappiamo) ma persino a livello individuale, in un normale confronto uno a uno come accade, per dire, ogni volta che si imposta una operazione di trading, o lo sviluppo di un progetto.

L’altro giorno la Presidente del consiglio è andata a Washington a fare un’ottima figura da Trump, (e non era impossibile, visti i recenti pessimi esempi di dialettica offerti da capi di stato dell’Asia di mezzo, come Zelensky, o il remissivo approccio cappello-in-mano del premier giapponese). Insomma, la signora è certo in gamba, ma l’asticella non era altissima. E l’ha saltata.

Ciò nulla toglie però ahimè alla nostra nazionale conclamata irrilevanza, perché non sono le simpatie epidermiche personali, che fra capi di governo, così come fra condòmini o colleghi di bocciofila possono accadere, che definiscono lo standing di un paese. E il nostro, nonostante i numeri (gli economics dico) in oggettivo miglioramento, in effetti non ne ha alcuno.

Nel “paese dei ciechi il guercio è re”, certamente osserverà qualcuno, quindi anche grazie all’inesistenza dei leader europei la nostra Presidente giganteggia, e certamente è vero, re comparativo ma pur sempre re, congratuliamoci già che se ne presenta l’occasione. Ma chi non è nato l’altro ieri si ricorda ancora dell’Italia ago della bilancia nello scenario est-ovest dell’Europa, e del mondo, e ancor più reale mediatore dei conflitti del Mediterraneo, che infatti non accadevano, o accadevano e poi potevano essere gestiti. Oggi di tutto questo non restano più nemmeno le macerie, ed appunto se ne è quasi perso il ricordo.

Il preservare con cura il guinzaglio della nostra schiavitù, pertanto, è un’operazione coscienziosa, ma non particolarmente nobile, né fautrice di progresso, crescita economica, emancipazione politica. Pazienza, ogni tempo ha i suoi parametri, e grane da risolvere in un tempo dato,

che non permette nostalgie.

Tuttavia, di fronte alla Cina che avanza, o accerchia, non credo abbia senso limitare la nostra risposta ad una serie di guaiti tremebondi, interrotti solo da arruffamenti di pelo degni di un micio da salotto. E’ chiaro che uno svantaggio competitivo accumulato in decenni di governi irresponsabili o irresoluti, quando non collusi con chi voleva programmaticamente demolirci, non si colma con il respiro di una maggioranza, fosse anche ben coesa e resiliente (e che l’attuale non è detto che sia). Come si fa a guardare avanti con fiducia e determinazione quando i giovani se ne scappano ancora all’estero, e i loro padri e madri, cioè noi, si arrendono alla meno peggio, se sono imprenditori chiudendo l’impresa, se sono dipendenti smettendo di sperare, limitandosi a galleggiare sulle mensilità garantite, agognando giusto la pensione come se fosse una bella cosa poter finalmente smettere di dare un contributo attivo e personale alla società. Mah, che strano paese, questo soggetto rinunciatario su tutto, tranne che sui viaggi vacanze e le chiacchiere sportive.

Inostro picco di orgoglio, ora che la Nazionale non ce lo consente più da molto tempo, è diventato solo un fantomatico made in Italy, a cui siamo inclini a riconoscere un’eccellenza anche quando non sia effettivamente tale, per il solo fatto che come le facciamo noi le cose non le fa nessuno, apoditticamente dichiariamo.

Magari allo stesso tempo lamentandoci perché i mobili non solo in Cina ma in Turchia e persino in Egitto li fanno bene tanto quanto (tant’è che alcuni importanti marchi nazionali si limitano ad apporvi un’etichetta, rivendicandoli poi come made in Italy), la medicina la gestiscono meglio di noi a Singapore, o la moda si fa per tre quarti in Cina e per un quarto in Sudamerica (stessa procedura di cui sopra, Italian labeling a mani basse). Il nostro ingegno, che misteriosamente continua ad essere tantissimo ed incredibilmente brillante, l’abbiamo già detto, si delocalizza, andando a portare lustro a paesi che talvolta si fingono amici, spesso nemmeno ci considerano alla pari, omologandoci a transfughi dalle colonie, come la Francia, il Regno Unito, e primo fra tutti ovviamente gli Stati Uniti.

Non so che cosa ci abbia preso, a piacerci farci trattare così, confondendo le menti dei giovani con l’idea che scappare sia essere internazionali. Tutt’altra cosa è girare i continenti facendo esperienza, senza mai smarrire il nostro senso di unicità, e tornare portando a casa quel qualcosa in più, da mettere a frutto per fare davvero, domani, invidia al mondo con qualcosa di nuovo e di serio. Ma si sa, questo costerebbe fatica, e allora meglio fingersi cosmopoliti, e farsi omologare da qualcun altro, che luccica essenzialmente perché ha capito prima e meglio di noi che ad assecondare la propria diaspora non si cresce nella stima di nessuno, e alla fine si passa per accattoni.

Eppure è proprio in questo ingegno che sta il nostro capitale migliore, la pila atomica di cui siamo alimentati tutti noi, che ci rende inaspettatamente resilienti di fronte a qualsiasi crisi, e capaci di dare risposte a domande che gli altri spesso non si sono nemmeno ancora fatte. Ma, di nuovo, questo approccio costerebbe fatica, e noi impigriti figli di gente che un tempo lavorava sodo ci sentiamo vittime delle circostanze, e perciò assolti nella nostra fragilità, per niente incolpevole.

Per questo sarebbe bello che ci svegliassimo da questo torpore oppiaceo, che ci ha resi lamentosi e rancorosi, e ci ricordassimo che, generino pure i due grandi motori del mondo tutte le intelligenze artificiali che vogliono, noi abbiamo sempre quella vera, e anche se siamo competitivi solo a macchia di leopardo nell’ambito delle tecnologie, la partita non è affatto disperata, se ci ricordiamo della nostra identità.

È per questo che, molto sommessamente, credo che il punto non sia tirarci il collo per cercare di guardare avanti, quando siamo rimasti indietro, ma semmai valorizzare ciò che abbiamo alle spalle, e ci ha fatti grandi, specialmente quando con umiltà ne avevamo stima e cura. E cioè il nostro grande patrimonio umanistico, di cultura strutturata e di pensiero critico, da cui sono nate la nostra arte, le invenzioni tecnologiche che hanno fatto (poi, in mano ad altri) grande il mondo e persino, sì, il nostro grande gusto estetico, che ha trovato una strada prima cadetta ed ora unica proprio in quell’appiccicoso made in Italy di cui siamo tanto orgogliosi.

Ritornare indietro, alle nostre radici, cristiane o no poco importa dire in questa sede, ma vive e robuste, e cioè recuperare tutta quella nutrita serie di meraviglie fuori moda, come studiare il latino, la musica, anche classica, la storia, fin da piccoli, tornare a nutrire le nostre menti e quelle dei nostri figli dell’alfabeto della bellezza e dell’equilibrio, dell’armonia, senza i quali non siamo che alunni ripetenti un po’ cialtroni che si buttano via, che “non si applicano”, si diceva un tempo, ad onta della nostra non comune intelligenza. Non troveremo mai la strada per competere e riaffermare il nostro buon diritto se non ritroveremo la stima per la grande cultura del Mediterraneo, di cui siamo compartecipi e coartefici, insieme agli altri grandi diseredati, i nostri vicini greci, se non sapremo ricominciare coltivando da lì la nostra unicità e anche la nostra forza.

Il momento, per strano che possa sembrare, è particolarmente propizio: man mano che si afferma, a velocità incrementale, l’intelligenza artificiale, generativa o no, appare sempre più evidente come il fattore chiave non sia l’ingegneria, pure preziosa, e che pure sappiamo dominare e manifestare, ma l’approccio olistico e profondo che solo una solida base culturale può esprimere, quella capacità di categorizzare il mondo che è indispensabile anche, ed anzi soprattutto quando, si vogliano superare le categorie per affermare una realtà fluida a piacere. Ma santo cielo sempre realmente complessa, che non può tollerare le semplificazioni prima che la sua complessità sia stata analizzata a fondo, a meno di rinunciare del tutto alla sua comprensione, a favore di una banalità che ci chiuderebbe tutti, inesorabilmente, nel carcere degli standard, facilmente replicabili dalle macchine digitali e non.

Noi non siamo soli, certamente, ma non siamo nemmeno come tutti gli altri, nessuno di noi lo è, nessuno anzi è nemmeno replicabile, né individuo ma nemmeno nessun popolo, e non c’è motivo di svendere l’identità per paura che ci faccia male averne troppa.

Ecco, se dovessi fare gli auguri di Pasqua davvero, specialmente alle nuove generazioni, augurerei che trovassimo la forza di risorgere una volta ancora, che non significa rianimare un cadavere, per dargli un altro breve tempo di vita irrilevante, ma per riaffermare, con giusto, solidale ma chiaro orgoglio, che noi siamo figli di una grande storia, e ancora perfettamente in grado di scriverne i prossimi capitoli. Nel nostro modo originale, lesto, e spesso anche divertente, che ha fatto di noi, in tutte le epoche, leader naturali e insieme grandi mediatori di culture ed identità, onnivori cultori della materia del sapere, specialmente quando ha a che fare con la libertà dello spirito, e l’architettura dell’immaginazione.

Torniamo a studiare, ragazzi, chi siamo e chi siamo stati, e negoziamo il nostro futuro, con chiunque, a partire da qui. Nulla di meno.

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