Architetta in Brasile. “In Italia si fanno ristrutturazioni, qui si costruisce. E guadagno il doppio dei miei colleghi”
Ludovica Leone ha quasi 40 anni e sta aprendo il suo studio da architetto a San Paolo, in Brasile. “Guadagno il doppio dei miei colleghi in Italia e qui c’è dinamismo dal punto di vista urbanistico e architettonico – spiega a ilfattoquotidiano.it –. Ma ci sono pro e contro: la violenza è aumentata molto negli […] L'articolo Architetta in Brasile. “In Italia si fanno ristrutturazioni, qui si costruisce. E guadagno il doppio dei miei colleghi” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Ludovica Leone ha quasi 40 anni e sta aprendo il suo studio da architetto a San Paolo, in Brasile. “Guadagno il doppio dei miei colleghi in Italia e qui c’è dinamismo dal punto di vista urbanistico e architettonico – spiega a ilfattoquotidiano.it –. Ma ci sono pro e contro: la violenza è aumentata molto negli ultimi anni, ci sono ancora problemi di razzismo verso il colore della pelle e alcuni servizi pubblici come l’istruzione tendono ad arrancare rispetto al privato”. Il Brasile è il paese con la più grande comunità italiana e italo-discendente del mondo: sono circa 32 milioni su una popolazione totale di oltre 211 milioni. Ludovica, romana, classe 1985, ha studiato Architettura all’Università Roma Tre e dopo un Erasmus in Portogallo ha iniziato ad interessarsi dell’architettura modernista brasiliana. “Nel 2008-2009 si parlava molto di quello che aveva fatto Lula per lo sviluppo economico con il primo governo e di Lina Bo Bardi, che divenne l’architetta donna più famosa del Brasile nel dopoguerra”. E, neanche a dirlo, gli italiani vanno di moda. “Siamo ben visti, soprattutto nelle città che sono state costruite dagli immigrati italiani come San Paolo”. Per i giovani poi il Brasile risulta molto attrattivo: lo studio che Ludovica ha lasciato e in cui era socia, era stato fondato da un giovane architetto. “Quando sono entrata nel 2016 c’erano pochi dipendenti, oggi ci lavorano una quarantina di persone”.
L’inizio non è stato semplice, è il 2011 quando Ludovica arriva a San Paolo. “Mi sono buttata, ho usato i contatti che avevo e ho iniziato come assistente per la curatela di una mostra. I primi tempi guadagnavo poco e in nero. Anche nel primo studio con cui sono riuscita a collaborare era così: una dinamica, quella del non avere contratti che si ripeteva anche in Italia”. Poi arriva il primo. Ma la differenza con l’Italia è evidente sotto un altro punto di vista: in Brasile si costruisce e il lavoro non manca. “In Italia si fanno per lo più ristrutturazioni o restauri, qui costruivano fabbriche”, sottolinea Ludovica. “Un’altra importante multinazionale ci scelse per mettere a punto il laboratorio dove venne lanciata la loro cialda biodegradabile”. Gli anni passano e anche le responsabilità che le vengono affidate: “Diventare coordinatrice ed avere rapporti diretti con i clienti dà maggiori possibilità di carriera. Però bisogna lavorare. San Paolo si può paragonare a Milano, o forse di più, sentendo i miei colleghi i ritmi qui sono maggiori rispetto l’Italia. Più stressante, qui è raro che il primo anno che si cambia posto di lavoro si possa andare in ferie”. C’è poi un problema di razzismo, anche economico. “Nello studio in cui ero socia abbiamo aperto delle posizioni solo per persone nere perché spesso negli studi di architetti lavorano solo persone bianche”.
La decisione di rischiare diventando un’imprenditrice, puntando sull’architettura green, è dipeso da più fattori. “Voglio spingermi sempre di più nel campo delle nuove tecnologie di costruzione meno impattanti, come il legno lamellare, che viene dall’Europa, una grande soluzione dal punto di vista dell’impatto ambientale in un mondo che combatte contro il cambiamento climatico”. Anche le profonde differenze sociali presenti hanno influito. “Vorrei intraprendere anche progetti più sociali. In Brasile purtroppo si guarda meno all’impatto ambientale e climatico, sia per la numerosità della popolazione, sia perché il 2% è molto ricco. C’è difficoltà anche solo nel comunicare l’importanza della lotta al cambiamento climatico. Da questo punto di vista in Europa c’è più consapevolezza”. E problemi in una città di undici milioni di abitanti non mancano. “Dopo la pandemia è diventata più pericolosa. In generale il Brasile è un paese violento in cui avere un’arma è normale. Questo evidenzia maggiormente la frattura all’interno di una società dove i ricchi vivono blindati in aree con stretta sorveglianza. Ad esempio – racconta – io vivo in un quartiere del centro storico, giro con i mezzi o taxi, ho una vita normale ma sono costantemente in allerta. Se sei in strada qui magari eviti di tirare fuori lo smartphone per fare una chiamata”.
Certe volte, però, ci dimentichiamo alcuni pregi che ancora possiamo vantare come “un’istruzione pubblica di qualità”. “Se avessi dei figli – afferma Ludovica – nella società brasiliana dovrei pagare per averla”. Pentita di essere andata via? “No, mai”, confessa. “In Sudamerica la mia vita è migliorata, di fatto mi sono data una possibilità rispetto l’Italia. Io non credo che il problema del nostro Paese sia chi va via, ma la poca attrattività che ha nell’offrire lavoro e una prospettiva di futuro”.
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