Andy Warhol, l’artista delle icone pop capace di trasformare il rifiuto in arte da milioni di dollari
A Truman Capote Warhol sembrò «Uno sfigato nato, senza speranza». Tra i geni incompresi del secolo scorso, l'artista americano ha faticato per farsi accettare nell'Olimpo dei pittori destinati a finire nei manuali, come ammise lui stesso: «Alcuni critici mi definirono il Nulla Personificato». Cosa lo ha spinto a perseverare? A lezione di fallimento oggi si tinge dei colori dei suoi lavori più noti

Nel 2013 è stata battuta all’asta da Sotheby’s la serigrafia dal titolo Silver Car Crash di Andy Warhol per 105 milioni di dollari. Solo le opere di altri 5 artisti contemporanei hanno raggiunto prezzi simili: quelle di Picasso, Rothko, Pollock, Bacon e De Kooning. Per molti esperti, il valore di quell’artista da 105 milioni di dollari all’inizio della carriera era zero.
«Alcuni critici hanno detto che sono il Nulla Personificato, questo non ha certo aiutato il mio senso dell’esistenza. Poi ho realizzato che l’esistenza in sé stessa non è niente e mi sono sentito meglio», ha affermato Andy Warhol in un libro confessione. La sua capacità di ignorare o assorbire le critiche e di continuare a produrre arte suggerisce una resilienza al potenziale fallimento percepito (dagli altri) particolarmente spiccato.
La storia, come sappiamo, è piena di esempi di persone che hanno ricevuto un no e di idee che sono state ostacolate con un diniego. Ed è facile attribuire la colpa a chi ci ha valutati, e giocare la carta dell’ingiustizia per proteggere la nostra autostima. Tutti prima o poi sono stati rifiutati in qualcosa, ma il punto, affermava Warhol, è «non creare un problema sul tuo problema».
Un rifiuto può sembrare devastante, ci fa sentire persone sbagliate, nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sperimentare il rifiuto non significa però che non si è talentuosi o capaci. Anzi, ci ricorda l’artista americano che è proprio nella divergenza, nell’imperfezione, nel rifiuto che si celano grandi opportunità.
«Di solito vale la pena di essere la cosa giusta nel posto sbagliato e la cosa sbagliata nel posto giusto perché accade sempre qualcosa di divertente. E questo, credetemi, perché mi sono fatto una carriera dall’essere la cosa giusta nel posto sbagliato, è l’unica cosa che so per certo». È in questo scarto tra le cose giuste e non giuste che sta il divertimento, da de-verto (cambiare direzione), che si trovano strade alternative, che nasce l’innovazione.
Trasformare il rifiuto in opera d’arte
Nel 2002 il Chronicle Books e l’Andy Warhol Museum pubblicano l’ Andy Warhol Pop Box: Fame, the Factory and the Father of American Pop Art. Al suo interno, riproduzioni fedeli di inviti, lettere di star, foto, vari oggetti pop e anche una lettera ricevuta dall’artista americano nel 1956.
Prima di arrivare a questa data, facciamo un passo indietro di qualche anno. Nel 1949 Warhol si laurea in Design Pittorico alla Carnegie Mellon University. Per farsi conoscere, autopubblica libri, stampe e biglietti. Li regala ad amici e clienti. Nel frattempo lavora nel reparto espositivo di un grande magazzino di Pittsburgh, dove si presenta con le unghie dipinte di colori diversi e le scarpe tinte di colori eccentrici.
È il Premio Pulitzer, Jerry Saltz, a ricordare il suo primo fortunato incontro quando, nel giugno dello stesso anno, Warhol, salì su un treno per New York con il suo amico artista Philip Pearlstein. «In una di quelle favolose storie di New York, il suo secondo giorno in città, ha incontrato Tina Fredericks, direttrice artistica della rivista Glamour. Non solo ha comprato uno dei suoi disegni per 10 dollari, ma gli ha detto: Ho bisogno di alcuni disegni di scarpe, per domani mattina alle 10. Puoi farli?»
Il ventenne di Pittsburg non si lascia sfuggire l’occasione. Il giorno dopo si presenta con le sue originali illustrazioni che non solo trovano il favore di Glamour ma gli valgono la commissione di altri lavori per la casa editrice Condé Nast, e per la televisione. Nonostante lavorasse costantemente, ricorda che il suo appartamento era un disastro e le caramelle erano la sua fonte di cibo primaria.
Nel giugno del 1952 la Hugo Gallery sulla 55esima Strada lo scelse per una mostra personale dal titolo Fifteen Drawings Based on the Writings of Truman Capote. Capote incarnava tutte le qualità che Warhol desiderava. Fece numerosi tentativi falliti di incontrare il suo idolo. Lo vide per la prima volta in una foto scattata da Harold Halma per la quarta di copertina del primo romanzo dell’autore, Other Voices, Other Rooms, nel 1948. Warhol inviò lettere e cartoline a Capote quotidianamente. Si presentava alla porta dello scrittore abitualmente. Capote lasciò che la posta si accumulasse, ignorando la sua richiesta di contatto.
«Andy Warhol aveva questa ossessione su di me e mi scriveva da Pittsburgh […] Quando è venuto a New York, era solito stare fuori casa mia, lì tutto il giorno ad aspettare che uscissi. Voleva diventare un mio amico, voleva parlare con me. Mi ha quasi fatto impazzire», dichiara Capote in una intervista rilasciata per Rolling Stone. Affermazioni confermate dallo stesso Andy. «Scrivevo a Truman ogni giorno per anni fino a quando sua madre non mi disse di smetterla».
Warhol non si arrese. Trasformò il rifiuto di Capote in opera d’arte. Lasciandosi ispirare dagli scritti di Capote, realizzò 15 disegni che la Hugo Gallery espose per una manciata di giorni, dal 16 giugno al 3 luglio. Nonostante le suppliche di Warhol, Capote non partecipò all’inaugurazione. La mostra fu un fiasco. Nessuno dei 15 disegni ispirati agli scritti di Truman Capote furono venduti.
Quando finalmente incontrò di persona il suo idolo, l’impressione di Capote su Warhol fu netta. «Sembrava una di quelle persone senza speranza a cui sai che non succederà mai niente. Solo uno sfigato nato, senza speranza, la persona più sola e senza amici che avessi mai visto in vita mia».
È forse vero quello che Warhol considera un assioma. «Non appena si smette di desiderare una cosa la si ottiene». Capote non immaginava certo che tra gli invitati al suo leggendario Black and White Ball del 1966, la festa più esclusiva e mondana del XX secolo, quel «perdente senza speranza» avrebbe figurato tra i suoi ospiti d’onore.
Il valore inatteso di un rifiuto
Un punto di svolta fondamentale nella carriera da illustratore di Warhol arrivò nel 1955 quando I. Miller, un’azienda di scarpe, gli commissiona una serie settimanale di illustrazioni di scarpe da pubblicare sul New York Times. Le immagini erano accompagnate da didascalie giocose dello scrittore Ralph Pomeroy. E da testi scritti a mano dalla madre di Warhol, Julia. Forte del consenso che le sue serigrafie a tema scarpa stavano ottenendo, decide di inviarle al MoMA.
In una lettera datata 18 ottobre 1956, Alfred H. Harr, direttore delle collezioni del MoMA, comunica al ventotenne Warhol il rifiuto del museo di arte moderna di accogliere il suo dipinto dal titolo Shoe.
La lettera recava queste parole: «La scorsa settimana la Commissione ha avuto l’opportunità di valutare il suo dipinto intitolato Shoe che ha generosamente offerto in dono al Museo. Dopo attenta valutazione, la Commissione ha deciso di rifiutare la sua offerta e non inserire il disegno nella sua collezione. La galleria e il magazzino hanno spazi molto limitati e non è carino accettare regali che verrebbero esposti solo di rado. Il disegno può essere ritirato nel momento a lei più opportuno. La ringraziamo comunque per la manifestazione di interesse per la nostra collezione».
Oggi i disegni di scarpe di Warhol sono battuti all’asta per decine di migliaia di dollari. Il MoMA ospita alcune opere dell’artista e nel 2015 ha esposto l’intero porfolio di litografie dal titolo A La Recherche du Shoe Perdu. Espone oggi ciò che un tempo aveva cortesemente rifiutato.
La bellezza dello scarto
Gli up and down per Warhol furono una costante. Poco prima che il fenomeno della Pop Art esploda e lui ne diventi l’artista più rappresentativo, attraversò un periodo di difficoltà. Agli inizi degli anni ’60 lotta per trovare una galleria disposta a esporre i suoi primi quadri. Il suo lavoro rifiutato da alcune delle più grandi istituzioni dell’epoca.
Nemmeno la Biennale di Venezia, scrive Enrizo Pitzianti, lo aveva voluto. Il padiglione degli Stati Uniti aveva incluso le opere di molti altri, ma non la sua. L’anno dopo gli fu commissionata una grande opera per la facciata del New York State Pavilion, durante la Fiera mondiale. Subito dopo l’inaugurazione l’opera fu cancellata e al suo posto comparve una grande macchia nerastra.
I fallimenti sono materiale da non cestinare ma da utilizzare per riscattare il proprio ego e per stimolare nuove riflessioni. A fiera conclusa, Warhol usò le stesse serigrafie censurate per realizzare 20 opere in formato ridotto che conservò nel suo studio, a futura memoria, e che furono esposte solo dopo la sua morte.
Scarti, rifiuti, errori e imperfezioni sono la materia prima del lavoro, sia per l’artista che per l’essere umano. L’ imprecisione della serigrafia è sfruttata da Warhol per avere copie uniche. Lo scarto utilizzato come materia da modellare.
«Ho sempre amato lavorare con gli scarti […]. Le cose che vengono scartate, […] ho sempre pensato che potessero essere molto divertenti. È come riciclare un lavoro già fatto. Ho sempre pensato che ci fosse dello houmour negli scarti», confessa Warhol.
Un no ricevuto può essere vissuto come dissenso, critica, offesa e può mettere in discussione le nostre capacità. Quello che abbiamo proposto è sbagliato? Ma può anche farci sentire inadeguati e non all’altezza. Forse quelli sbagliati siamo noi? Warhol era un artista straordinario quando ricevette il rifiuto del MoMa e delle altre gallerie d’arte e lo era in egual modo nel momento in cui il MoMa decise di investire nelle sue opere. Ciò che cambiò fu la percezione pubblica dell’opera di Warhol e il maggior consenso generale che abbassava il rischio di puntare sul cavallo sbagliato. Un cambio di percezione dovuto anche alla scelta di Warhol di non lasciarsi scalfire delle critiche e di continuare a creare opere.
Se non ricevi rifiuti e nessuna critica, significa che stai colorando tra le righe, seguendo la linea già tratteggiata. La cosa più difficile è tracciare il proprio percorso, ridisegnando i confini creativi propri. Forse dovremmo trovare nuove parole per definire il concetto di successo. Il successo non è il raggiungimento di un obiettivo. Il successo è la capacità di superare rifiuti o avversità.
Le 3 regole d’oro
È il Professore di statistica dell’Università di Harvard, Xiao-Li Meng, a fornire le 3 regole d’oro per questa storia. Quando ricevi un rifiuto fai queste 3 cose:
Dimenticalo per 48 ore.
Trova un modo per migliorare.
Perdona coloro che ti hanno rifiutato.