Amnesia infantile: il problema è la rievocazione
A 12 mesi di età l'ippocampo è già in grado di codificare i ricordi: un difficile recupero spiegherebbe perché non ricordiamo i primi anni di vita.
Perché non ricordiamo praticamente nulla dei nostri primi tre anni di vita - salvo qualche sporadico episodio che crediamo di ricordare, ma che spesso, purtroppo, è falso? Le origini dell'amnesia infantile sono uno degli aspetti più discussi e misteriosi delle neuroscienze.
Ora uno studio in risonanza magnetica funzionale (fMRI) dimostra che il cervello dei bambini è in grado di codificare ricordi già a 12 mesi di età. E suggerisce che l'amnesia infantile non sia un problema di "scrittura" dei ricordi, ma piuttosto della loro rievocazione, così come già emerso in studi su animali. La ricerca è stata pubblicata su Science.. Un problema di codifica? A lungo si è ipotizzato che l'impossibilità di ricordarci eventi specifici dei primi anni di vita dipendesse da un non ancora completo sviluppo dell'ippocampo, la struttura cerebrale che ha un ruolo centrale nella formazione di nuovi ricordi e che completa la sua formazione nel corso dell'adolescenza. Il problema è che verificare questa e altre teorie sull'amnesia infantile è molto complesso.. Ricorda, ma non lo sa dire? La peculiarità della memoria episodica, l'abilità di ricordare avvenimenti specifici situati nel tempo, è infatti la possibilità di descrivere ad altri quei ricordi. Un processo difficile, quando a dover descrivere è un bambino sotto i 3 anni di età, spesso ancora in fase pre-verbale.
Per il nuovo studio, i ricercatori sotto la guida di Nicholas B. Turk-Browne, neuroscienziato del Wu Tsai Institute presso l'Università di Yale (Connecticut, USA), hanno usato un particolare approccio che ha permesso di capire se bambini dai 4 ai 24 mesi di vita avessero memorizzato un'immagine vista poco prima.. Questa non mi è nuova... I piccoli hanno potuto osservare immagini mai viste prima di un volto, di una scena o di un oggetto. Dopo essere stati sottoposti ad altre immagini "nel mezzo", sono stati messi davanti alle foto inedite viste in precedenza e ad altre del tutto nuove. I bambini si sono soffermati più a lungo a osservare le immagini che avevano già incontrato - come se in effetti fossero familiari.. Ippocampo attivo. Nel frattempo, gli scienziati li hanno sottoposti a un tipo di risonanza magnetica funzionale (fMRI) che si può eseguire su bambini fermi e in movimento, e che ha mostrato l'attività del loro ippocampo.
Maggiore era l'attività nell'ippocampo quando un bambino o un neonato guardava una nuova immagine, più a lungo quella stessa immagine veniva osservata quando ricompariva la seconda volta. Quindi l'ippocampo stava codificando nuovi ricordi, con un'attività particolarmente intensa nella parte posteriore dell'ippocampo, quella che negli adulti risulta associata alla memoria episodica.. L'abc del reale. Quanto osservato è valso per tutti i 26 bambini, ma in particolare per quelli con più di 12 mesi (la metà del campione). L'idea è che l'ippocampo si sviluppi per supportare le funzioni di apprendimento. Studi passati avevano ipotizzato che prima dell'anno e già a 3 mesi di vita, i bambini imparino con una forma di apprendimento non episodico ma statistico, che estrae schemi ricorrenti dalle situazioni per cercare di cogliere la regola generale.
Questo tipo di memoria è associata alla parte anteriore dell'ippocampo, coinvolge un diverso percorso neurale e precede quella episodica, che potrebbe svilupparsi a partire dall'anno di vita. Le due forme di apprendimento rispecchiano diverse necessità del bambino: «L'apprendimento statistico riguarda l'estrazione della struttura nel mondo che ci circonda, fondamentale per lo sviluppo del linguaggio, della vista, dei concetti» spiega Turk-Browne.. Recupero impossibile. Ma se i ricordi sono già codificati nell'ippocampo già a 12 mesi di età, dove vanno a finire, poi? Due le ipotesi: la prima è che le tracce codificate non siano poi convertite in ricordi a lungo termine. La seconda, è che i ricordi della prima infanzia ci siano, ma che non siano accessibili. La seconda teoria è più accreditata, a maggior ragione dopo la scoperta che l'ippocampo sa già codificare i ricordi a un anno di vita. Lo stesso gruppo di scienziati sta già lavorando per capire se queste tracce siano ancora presenti nei bambini in età prescolare, per poi svanire con la crescita..