Alla Festa della Mamma incastro i miei figli con un picnic: non potranno mica dire di no?!

Un pic-nic, faremo un pic-nic. Quando?, chiedono insieme. Oggi, rispondo mentre mando giù un boccone gustosissimo. Restano zitti. Si guardano. Subdola che altro non sono. Non possono dire no, ovvio, è il giorno della festa della mamma. Il silenzio che precede il loro ‘va bene’ è talmente breve da ripagarmi della fatica fatta, qualche settimana […] L'articolo Alla Festa della Mamma incastro i miei figli con un picnic: non potranno mica dire di no?! proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mag 11, 2025 - 08:11
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Alla Festa della Mamma incastro i miei figli con un picnic: non potranno mica dire di no?!

Un pic-nic, faremo un pic-nic. Quando?, chiedono insieme. Oggi, rispondo mentre mando giù un boccone gustosissimo. Restano zitti. Si guardano. Subdola che altro non sono. Non possono dire no, ovvio, è il giorno della festa della mamma. Il silenzio che precede il loro ‘va bene’ è talmente breve da ripagarmi della fatica fatta, qualche settimana prima, nell’individuare il giorno giusto per vedere insieme la mostra di Caravaggio. Una fatica seconda solo a quella impiegata a scovare il pomeriggio adatto a vedere insieme No other lands, documentario sulla storia di amicizia tra l’attivista palestinese Basel e il giornalista israeliano Yuval durante la sistematica demolizione degli insediamenti in Cisgiordania. Una fatica che è niente rispetto a quella che ancora devo fare per Munch prima che la mostra chiuda i battenti, ma se continuiamo a rimandare – ho concluso l’altro giorno rassegnata e definitiva – alla fine lo perderemo e bye bye.

Quindi, mi sono detta, sai che c’è, ora li incastro io, pic-nic nel giorno della festa della mamma e non se ne parla più. Certo non si può dire di no a una persona nel giorno della sua festa. Men che meno a una mamma. Detto fatto, bloccati. Come i giorni dell’agenda di quelli che contano, dimmi quando che blocco il giorno.

Una vittoria che campa il tempo di un battito di ciglia. Quanto deve durare?, chiede lui, 17 anni e mezzo. Io dopodomani ho un esonero, rilancia lei, quasi venti. Gelo. Vento freddo anche se fa caldo. Il tempo giusto, replico io cercando nella mente un buon esempio di savoir-faire. E cioè, qual è un tempo giusto? (lui). Alle 16 massimo torniamo, va bene? (lei).

Dunque il pic-nic non è più interessante per loro, penso mentre gli occhi mi si affessurano e io provo a dissimulare in modo fallimentare una delusione che mi fa male un po’ qui, alla tempia destra, lieve pressione. E’ un attimo che visualizzo il cucchiaio di legno, che per i romani è il simbolo atavico e leggendario delle educative percosse familiari a mo’ di punizione. Se la contende con i battipanni, ma lì saremmo davvero in un’altra era e non me la merito, ancora. Ingrati, penso, ingratissimi. Un pic-nic: aria sole luce verde coperta a terra. Mamma-festa-panino e loro? Sempre con il ghiaccio in tasca.

Sento un fastidio strano che dai piedi sale fino alla pancia. Poi facendo la vaga chiedo, non vi piace più il pic-nic? Prendo un bicchiere d’acqua e affogo nel sorso salvifico l’attesa della risposta. E pensare che collezioniamo un numero spropositato di pic-nic, uno persino dentro casa, un giorno in cui ci colse la pioggia e dovemmo riparare di corsa. Mare, montagna, collina, parchi pubblici. Ovunque abbiamo disseminato briciole e sonnellini all’aria aperta. E ora?

Si guardano, sorridono. Anzi, si quasi sorridono. Una complicità strana e che mi esclude e in cui nessuno fa il primo passo. Insisto, allora?

La domanda resta nell’aria. La risposta anche, disponibile per chiunque volesse leggerla. Quel chiunque è evidente che non sono io. E temo che non lo sarò mai.

Mamma? Le loro voci si sommano. Eh? Non è che non ci piace più, è che… E’ che? E’ che abbiamo un sacco di cose da fare. Ah sì?, faccio la vaga ma penso perché io no?.

Sì, ma loro anche, diversamente, e stanno cercando un compromesso.

Chi parla?, mi chiedo. La voce da dentro di me, che era partita tutto sommato educata, si fa ruggente, stridente, stentorea. Mi ricorda che davanti non ho solo due figli, ma due persone che oggi mi parlano delle loro musiche preferite, delle manifestazioni e dei cortei ai quali partecipo, del tempo dedicato a fare gli striscioni e di iniziative presentate come progressiste. Di serate passate a prendere in giro Trump e allo stesso tempo a temere gli esiti delle sue idee, a discutere della storia e a insistere (io) che studiarla serve a evitare che si ripetano errori; di Mi Gaza es tu Gaza, il murale in cui ci siamo imbattuti in pieno centro a Roma e con cui sintetizziamo l’indicibile che si sta consumando nella Striscia.

La voce mi ricorda che io ho due albi preferiti. Il primo, regalo dei miei genitori quando ero piccola, è Arturo e Clementina (edizioni Dalla parte delle bambine). Un’opera mi ha insegnato la libertà senza predicarmela né impormela. Il secondo me lo sono scelto io. Anni dopo e a modo mio, e anche questo – gaurda caso – è un inno alla libertà. Cicala di Shan Taun. Capolavoro sulla liberazione di noi stessi rispetto alle costrizioni e alle imposizioni, una volta che abbiamo capito chi siamo e che cosa vogliamo.

Respiro, mi scuoto, ritorno al presente. Sono improvvisamente rilassata. Alzo gli occhi e li osservo. Sono dannatamente cresciuti. Mi alzo da tavola. Se il pic-nic vi va, bene, lo facciamo, dico, altrimenti non fa niente.

Ma ci portiamo i panini? (lui). Certo, con la frittata (lei). Ma torniamo alle quattro? (lui). Sì perché io devo studiare (lei). Ok però portiamo anche la Coca Cola (lui). Osservo la scena e mi gusto questo dialogo. Si organizzano. Loro si organizzano e mettono a frutto. Da soli. Rielaborando gesti ed espressioni acquisiti negli anni, li riscelgono con lievi modifiche. Scuoto la testa, i giorni non li blocchi, penso tra me, “quelli che contano” sono fuori pista. Non si blocca un bel niente, perché niente è davvero in nostro possesso e in nostro potere, men che meno il tempo. Io però oggi ho un pic-nic nella bisaccia, forse l’ultimo, chissà, o forse no. E fino alle quattro mi concederò la più folle delle libertà: l’illusione di bloccare il loro tempo, il nostro tempo, il tempo insieme. Me lo faccio come regalo e me lo impacchetto anche con una tovaglia a quadretti, sempre la stessa.

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