Aldo Moro, le carte dell’inchiesta: "Ucciso in piedi, guardò l’assassino"
Il presidente della Dc moriva il 9 maggio 1978, il suo corpo fu ritrovato lo stesso giorno in via Caetani. Negli articoli della cronista de “Il Giorno“ Sandra Bonsanti una verità alternativa poi confermata dagli atti.

e Gabriele Moroni
Aldo Moro ucciso mentre è in piedi, davanti al bagagliaio della Renault 4 rossa. Moro che vede in faccia i due assassini, che prova a reagire, alzando una mano. Una storia che ha impiegato decenni a emergere, fra mille reticenze. E poi il corpo che forse non ha percorso tutta Roma, come assicurato dai brigatisti, ma è partito da uno dei palazzi delle anguste stradine del ghetto. Parola di un collaboratore del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Quarantasette anni dopo il delitto di quel 9 maggio, molte di tali circostanze sono considerate possibili, probabili o accertate. In quella terribile primavera del 1978, però, appaiono già nei reportage di Sandra Bonsanti, capo della redazione romana del Giorno. Toscana, salde radici nel mondo laico, la giornalista segue il dramma del sequestro fin dal 16 marzo. Insieme a Sergio Criscuolo, collega dell’Unità, perlustra la zona dell’agguato fino a un appartamento nella disponibilità del vescovo Paul Marcinkus, presidente dello Ior, in un complesso in via Massimi dove solo decenni dopo si ipotizzerà la presenza di una prigione brigatista.
L’11 maggio 1978 Il Giorno titola: "Gli hanno sparato in due verso le nove del mattino". Bonsanti anticipa i risultati dell’autopsia eseguita la sera stessa del 9 maggio da Silvio Merli, docente di Medicina legale dell’Università di Roma. Chi esce dall’obitorio li definisce "sconvolgenti". Bonsanti pubblica anche quanto verrà poi accertato dalla Commissione parlamentare. "Hanno sparato – scrive – almeno in due. Ma colui che impugnava la ‘Beretta’ calibro 9 serviva solo ‘d’appoggio’. Il vero carnefice stringeva il micidiale ‘Skorpion’, arma cecoslovacca che già ha ucciso Francesco Coco (il procuratore di Genova, assassinato dalle Br l’8 giugno 1976, ndr). È stato detto che probabilmente Moro era in piedi: la traiettoria dei colpi pare fosse leggermente "dal basso verso l’alto". Opera di uno sparatore più basso di lui? E la ferita al polpastrello del pollice della mano sinistra indica che non dormiva e guardava in faccia i suoi assassini".
Le conferme di quanto scritto da Bonsanti arrivano dal lavoro del Ris per la Commissione Moro 2, nel 2018. Quando viene colpito all’emitorace sinistro da almeno tre colpi della Skorpion, il prigioniero non è rannicchiato nel bagagliaio, ma si offre con il busto eretto. È seduto, secondo il Ris, non lo è, riferisce invece l’interlocutore a Bonsanti, che appunta il “no” sul taccuino e riferisce che "probabilmente era in piedi" (non escluso, come ipotesi "in maniera residuale", nell’analisi del Ris). "Moro ha visto tutto: dai carnefici alla cella della morte", annota la giornalista, riferendo il particolare della ferita al pollice della mano sinistra, protesa in un un gesto di autodifesa. Fatti noti e altri lontani dalla versione ufficiale. Bonsanti coglie anche l’indicazione che viene dall’autopsia sull’orario della morte (fra le 9 e le 10), non in linea con i racconti dei brigatisti, che invece la collocano nell’arco orario 7-8.
Sono in due i partecipanti all’esecuzione, ma uno solo è il carnefice, scrive Bonsanti. Gli stessi brigatisti hanno finito per confermarlo anche se le loro dichiarazioni nelle sedi giudiziarie e nei libri, spesso contraddittorie, hanno più dilatato che illuminato una delle tante zone d’ombra della tragedia. Mario Moretti e Germano Maccari sono i soli a partecipare in via diretta all’esecuzione. Anna Laura Braghetti fa da “palo”, Prospero Gallinari rimane nel covo-prigione “ufficiale”, al primo piano dello stesso condominio di via Camillo Montalcini, 8. Moretti fa fuoco contro il presidente della Dc con una pistola Walther PPK calibro 9, che però si inceppa dopo uno o due colpi. Allora Maccari gli passa lo Skorpion con cui viene compiuta l’esecuzione. Se la ricostruzione fosse veritiera, a sparare sarebbe stato solo Moretti. Secondo altri “compagni”, Moretti si blocca per ragioni emotive. E Maccari finisce.
"Il sangue versato non era molto", aggiunge Bonsanti. E più avanti, precorrendo un dibattito che si svilupperà negli anni: "Qualcuno ha detto persino che l’assassinio può aver avuto luogo all’interno della Renault rossa. Ma gli inquirenti sembrano escluderlo. Il covo, quindi, non era lontano da via Caetani". Moro ucciso non nell’auto, come dicono i Br, ma in una prigione nella stessa via Caetani o nelle vicinanze. Sul pianale della Renault rimane una modesta quantità di sangue, forse caduto mentre i carcerieri sistemavano l’ostaggio nel baule. Come se gran parte del sangue si fosse riversata altrove. Il 16 marzo 1979, primo anniversario della strage, Sandra Bonsanti firma un’intervista a un "uomo del generale Dalla Chiesa". Alla domanda "Da dove arrivarono (i brigatisti, ndr) con il corpo di Aldo Moro?" la risposta è "Probabilmente da molto vicino". Del resto, quando viene scoperto il covo di via Gradoli, a sequestro in corso, nel materiale c’è una chiave con un cartoncino: “Jaguar 2,8 beige H 52559” e poi “Sermoneta Bruno”. L’auto e il nome appartengono a un commerciante tessile della zona del ghetto.