Agrate, Chery, Tamagnini. Tutti i casini in Stm
Ecco le ultime tensioni che solcano la vita del gruppo italo-francese Stmicroelectronics

Ecco le ultime tensioni che solcano la vita del gruppo italo-francese Stmicroelectronics
Non finiscono le tensioni ai vertici di Stm.
La Stampa oggi ha scritto che il vicepresidente del consiglio di sorveglianza di Stmicroelectronics, Maurizio Tamagnini (nella foto), dovrebbe ribadire al ministero italiano dell’Economia “la sua disponibilità a dimettersi”. Il dicastero dell’Economia controlla, attraverso una joint venture paritetica con la banca pubblica francese Bpifrance, il 27,5 per cento della società di semiconduttori ed è da tempo molto critico nei confronti della dirigenza, in particolare dell’amministratore delegato Jean-Marc Chery.
Ecco le ultime novità sulle fibrillazioni che caratterizzano la vita del gruppo italo-francese.
GLI SBUFFI CONTRO CHERY DI STM
L’insoddisfazione verso il capo azienda è dovuta al forte calo (-23 per cento) dei ricavi nel 2024, al dimezzamento del titolo in borsa e alla stesura di un piano di contenimento dei costi dall’impatto non ancora chiaro sull’Italia. Italia che, inoltre – questa è l’opinione diffusa da tempo negli ambienti governativi -, sarebbe stata trascurata negli investimenti rispetto alla Francia.
IL DOSSIER CLASS ACTION CONTRO CHERY E NON SOLO
Negli Stati Uniti, poi, un gruppo di investitori ha avviato una class action contro Stmicroelectronics, accusandola di aver rilasciato delle dichiarazioni fuorvianti su propri risultati economici, nascondendo il peggioramento del mercato dei semiconduttori. Chery e il direttore finanziario Lorenzo Grandi sono accusati anche di aver sfruttato il rigonfiamento artificiale dei risultati della società – e di conseguenza del titolo – per guadagnare cifre milionarie dalla vendita di azioni. (Qui l’approfondimento di Startmag sulla class action)
LE IPOTESI SULLE DIMISSIONI DI TAMAGNINI, SECONDO LA STAMPA
Secondo Claudia Luise, giornalista di economia e finanza del quotidiano La Stampa, le dimissioni di Tamagnini dovrebbero servire a “favorire un miglior clima istituzionale”: il ministero dell’Economia avrebbe infatti delle riserve anche sul consiglio di amministrazione di Stmicroelectronics, composto da nove membri di cui tre italiani, nominati dal governo italiano. Oltre a Tamagnini, che è amministratore delegato del fondo Fsi, ci sono anche Paolo Visca (consigliere del ministro Giancarlo Giorgetti, titolare dell’Economia) e Donatella Sciuto (Politecnico di Milano).
I MEMBRI DEL MEF IN STM HANNO APPROVATO IL PIANO DI TAGLI
Il consiglio di sorveglianza ha approvato all’unanimità il discusso programma per la riduzione dei costi, oltre alla riconferma di Chery e all’aumento della sua remunerazione (9,4 milioni di dollari in tutto nel 2024, rispetto ai 7,3 milioni del 2023).
LE DUE IPOTESI ALLA BASE DELLE DIMISSIONI DI TAMAGNINI
Le ragioni delle possibili dimissioni di Tamagnini non sono chiare. Forse il ministero dell’Economia lo ritiene inadeguato a difendere gli interessi italiani nella società? Oppure il ministero vuole sfruttare la sua uscita per far scoppiare una crisi volta a stravolgere la governance di Stmicroelectronics? Se l’ipotesi corretta è la seconda, per quale motivo a dimettersi sarà – pare – Tamagnini e non Visca, più vicino a Giorgetti? Di certo in ambienti governativi e istituzionali si percepiscono scarsi apprezzamenti per l’opera di Tamagnini in Stmicroelectronics, anche per i suoi plurimi e prolifici impegni in Fsi. Interpellato da Startmag, il Mef ha scelto il silenzio.
IL RUOLO DI SALA DEL TESORO
Nei giorni scorsi anche Startmag aveva scritto dell’intenzione del governo italiano – per mano della direttore generale del Tesoro, Marcello Sala – di avvalersi delle prerogative previste dai patti parasociali per bloccare le delibere del consiglio di amministrazione di Stmicroelectronics e le nomine.
UN NUOVO AD PER STMICROELECTRONICS?
Tra le varie ipotesi che circolano attorno a Stmicroelectronics, c’è anche quella sul successore di Chery alla carica di amministratore delegato: il nome più discusso è quello di Nicolas Dufourcq, già presidente del consiglio di sorveglianza oltre che amministratore delegato di Bpifrance (che, come detto, controlla Stmicroelectronics assieme al ministero dell’Economia).
CHE NE SARÀ DI AGRATE?
Nel frattempo, ci sono dubbi anche sul futuro della fabbrica di Agrate, dedicato alla produzione di semiconduttori in silicio da trecento millimetri. Lo stabilimento non regge il confronto con quello di Crolles, in Francia, che è molto più grande e più efficiente sotto il punto di vista operativo: l’output di Agrate dovrebbe salire a tremila pezzi alla settimana nel 2025 e raggiungere la soglia dell’efficienza – cioè quattromila pezzi – l’anno successivo; già oggi, però, Crolles supera questi livelli. Di conseguenza, Stmicroelectronics potrebbe decidere di concentrare in Francia tutta la produzione di semiconduttori da trecento millimetri.
Il progetto di Agrate, risalente al 2017, era stato finanziato dal governo italiano con 720 milioni di euro. Il piano iniziale, ha ricostruito Domani, “prevedeva la creazione di una linea produttiva da 8mila fette di silicio la settimana, da completare entro il 2025. Al giro di boa del nuovo consiglio di amministrazione, che ha visto Chery prendere la guida del gruppo, però, il piano originario è cambiato: tra il 2019 e il 2023 Stm ha investito per l’impianto sui 300 mm 1,7 miliardi di dollari in Italia e 3,9 miliardi in Francia”.
Di conseguenza, “la fabbrica Crolles 300 ha così raggiunto una capacità di 13mila fette di silicio a settimana. È stata poi annunciata una terza fase che ne raddoppierebbe la capacità. Ad Agrate 300, invece, il progetto si è fermato a metà, e nel 2024 ha raggiunto una capacità settimanale di 1.500 fette di silicio, in severo ritardo rispetto all’accordo di finanziamento col governo italiano, nonostante la domanda di mercato. Nel frattempo è successo che diverse tecnologie produttive storicamente di Agrate sono state spostate nella fabbrica di Crolles, altre ancora sono state trasferite o sono in corso di trasferimento in Cina, a Singapore e Catania”.
Lo stabilimento di Agrate conta circa tremila occupati, di cui la metà dovrebbe venire coinvolto nel piano di tagli e ridimensionamenti della società.