Violenza di genere e stampa, il report: “Femminicidio Cecchettin uno spartiacque, ma c’è ancora tanto da fare”
Quali sono le parole utilizzate dai giornalisti per raccontare la violenza di genere? Quali sono le cornici nelle quali spesso la stampa inserisce i femminicidi? Per dare una risposta a queste domande l’Osservatorio Step – Ricerca e Informazione ha presentato il report Quei bravi ragazzi… La violenza contro le donne nel racconto della stampa, che […] L'articolo Violenza di genere e stampa, il report: “Femminicidio Cecchettin uno spartiacque, ma c’è ancora tanto da fare” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Quali sono le parole utilizzate dai giornalisti per raccontare la violenza di genere? Quali sono le cornici nelle quali spesso la stampa inserisce i femminicidi? Per dare una risposta a queste domande l’Osservatorio Step – Ricerca e Informazione ha presentato il report Quei bravi ragazzi… La violenza contro le donne nel racconto della stampa, che raccoglie i dati del monitoraggio del 2024 e che ha interessato l’analisi di 3671 articoli. Nel complesso rispetto al 2017, quando è cominciato questo tipo di analisi, è migliorato il modo in cui i giornalisti raccontano la violenza sulle donne, dicono le relatrici, ma i passi da fare sono ancora molti. “Il femminicidio Cecchettin rappresenta uno spartiacque anche per noi – dice in conferenza Mimma Caligaris, giornalista e membro dell’Osservatorio – perché ci ha spinto ad usare le parole giuste”. Uno, ad esempio, dei termini sbagliati che, per raccontare l’uccisione di una donna da parte di un uomo, viene utilizzato meno rispetto al passato, è “raptus“.
“Il raptus non esiste – racconta Flaminia Saccà, docente di Sociologia all’Università La Sapienza di Roma e presidente dell’Osservatorio STEP – lo hanno detto i neuroscienziati di tutto il mondo. Per il 2024 lo abbiamo trovato solo nel 3% degli articoli che parlavano di violenza sulle donne. Il suo utilizzo però sale al 34% quando parliamo di donne anziane, con disabilità o malate”.
L’Osservatorio Step, promosso dall’Università La Sapienza di Roma, in collaborazione con l’Università della Tuscia e le Commissioni Pari Opportunità di Ordine dei giornalisti, Fnsi, Usigrai e con GiULiA giornaliste, monitora quotidianamente il racconto della violenza su 25 testate della stampa nazionale per verificare i progressi del Manifesto di Venezia e contribuire ad una corretta rappresentazione della violenza sulle donne. Qui qualche numero: il mese con più contenuti è novembre (14%), in cui si celebra anche la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, mentre maggio ha il dato più basso (2%). In ben il 74% degli articoli si tratta di violenza in cui la donna conosce il suo aggressore, che è quasi sempre un familiare (70%), mentre sono nettamente inferiori i casi in cui tra i due non sussistono relazioni (23%). Nel 71,9% degli articoli il rapporto di coppia è inquadrato come problematico. Quanto al movente, tra i più citati ci sono prevaricazione-dominio (46%), gelosia-possessività (34%). La vittima continua a essere descritta soprattutto per le sue caratteristiche anagrafiche, poco per la sua prospettiva sulla violenza. A caratteri cubitali troviamo la sua età, in piccolo Terrorizzata, Disperata, Sconvolta, Paura. L’offender rispetto a rilevazioni precedenti, comincia a essere messo a fuoco: nella vasta maggioranza dei casi è l’ex partner. Più in piccolo è il marito. Lo si definisce Geloso, Violento, Brutale, più sporadicamente Crudele, Feroce, Aggressivo, Pericoloso. E si tende a insistere sulle sue origini. Come sono stati raccontati i due femminicidi, quello di Sara Campanella e Ilaria Sula, che hanno occupato le pagine dei giornali nelle ultime settimane? “In un racconto parzialmente positivo ci sono state alcune criticità – spiega Caligaris – nel caso di Messina è stato scritto che lui era invaghito, nel caso di Roma si dice invece che lui non aveva capito più niente dopo aver letto dei messaggi sul cellulare che l’ex si era scambiata con un’altra persona, ecco da queste frasi traspare che c’è ancora questa tendenza a cercare qualche giustificazione”.
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