Un filo sospeso: il libro di Margherita Vaccari è una luce di speranza per chi affronta l’anoressia

«Ho sentito il bisogno di scrivere per metabolizzare ciò che avevo esperito, ma anche per aiutare gli altri. Il libro parte dal 2017, quando sono tornata dal Brasile in Italia». Inizia così il viaggio di Margherita Vaccari nell’anoressia e inizia così anche il suo libro, uscito il 15 marzo per edizioni San Paolo. Un testo […] The post Un filo sospeso: il libro di Margherita Vaccari è una luce di speranza per chi affronta l’anoressia appeared first on The Wom.

Mar 25, 2025 - 05:15
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Un filo sospeso: il libro di Margherita Vaccari è una luce di speranza per chi affronta l’anoressia
Un filo sottile separa la luce dall’ombra, la vita dalla sua negazione. Margherita Vaccari, nel suo libro Un filo sospeso (edizioni San Paolo), racconta il suo percorso con l’anoressia nervosa, un cammino doloroso che l’ha condotta a sfiorare la morte prima di riscoprire il valore della vita. Un memoir lucido e necessario che trasforma il dolore in condivisione e speranza

«Ho sentito il bisogno di scrivere per metabolizzare ciò che avevo esperito, ma anche per aiutare gli altri. Il libro parte dal 2017, quando sono tornata dal Brasile in Italia». Inizia così il viaggio di Margherita Vaccari nell’anoressia e inizia così anche il suo libro, uscito il 15 marzo per edizioni San Paolo. Un testo autobiografico che è la storia di un dolore profondo, rifiutato e poi pian piano accolto e abbracciato.

Margherita Vaccari, oggi ventunenne e studentessa a Madrid, ha scelto di raccontare questa storia per dare voce a chi affronta i disturbi del comportamento alimentare. Un filo sospeso non è solo il resoconto di un dolore personale, ma un messaggio di speranza, un ponte lanciato verso chi si sente perso. Perché guarire è possibile, e Margherita racconta com’è riuscita a farlo.

Un filo sospeso: l’inizio della rinuncia alla vita

Ne Un filo sospeso seguiamo Emma, la protagonista del libro (scritto in terza persona), mentre ritorna in Italia dopo quattro anni trascorsi in Brasile. Il passaggio al nuovo mondo, con le sue regole diverse, la schiaccia. La scuola è rigida, le amicizie sfuggenti, il senso di appartenenza fragile. In questo scenario di disorientamento, Emma trova rifugio nell’unico elemento che può controllare: il suo corpo. «La scuola in Italia era molto diversa da quella che frequentavo in Brasile: là venivamo molto aiutati dai professori, mentre qui era tutto molto teorico. C’è stato poi lo shock con i compagni: a San Paolo andavamo a scuola vestiti in tuta, qui le ragazze erano vestite bene, truccate. Mi sono sentita estranea, sola, goffa. È iniziata così la depressione. Poi, a 16 anni, arriva il Covid: volevo perdere qualche chiletto, così ho approfittato dell’isolamento per mettermi a dieta. Una dieta che è diventata man mano sempre più restrittiva», prosegue Margherita.

Il cibo, da fonte di nutrimento, diventa un’ossessione. Il dimagrimento non è più un mero cambiamento fisico, ma il simbolo di un dominio su un’esistenza che le sfugge. Così, giorno dopo giorno, si insinua nella vita di Margherita l’anoressia nervosa. La situazione inizia a peggiorare con il trasferimento in Germania, dovuto a uno spostamento lavorativo del padre: «All’inizio mi sono trovata molto bene, ma lo sfaldamento del gruppo dei miei amici mi ha fatta risprofondare nella depressione. Ho iniziato ad allenarmi sempre più: mi tenevo solo un giorno libero a settimana dove però passeggiavo moltissimo. Mangiavo senza carboidrati e continuavo a ridurre le porzioni. Se avevo voglia di un cioccolatino, lo masticavo e poi lo sputavo, non volevo ingerire nulla».

La discesa negli inferi dell’anoressia

Da lì in poi, Margherita inizia a perdere sempre più peso, finché sua mamma non si accorge di tutto e, dopo un percorso con una psicologa, decide di trasferire Margherita in una clinica in Piemonte. Ma non è questo l’inizio della luce. «Ero isolata dal mondo, potevo ricevere visite solo una volta ogni due settimane per 20 minuti, così è tornata la depressione. Le poche volte che vedevo la psicologa le dicevo che volevo morire. Rifiutavo il cibo perché rifiutavo la vita. Spesso rifiutavo le integrazioni dei pasti e pian piano ho iniziato a nascondere i crackers, il pane. Li mettevo in tasca, oppure li sbriciolavo attorno al tavolo. Mi è stato proibito di passeggiare fuori, così lo facevo in camera, anche quando mi misero il sondino. Tutti lo facevano». Il trasferimento presso l’Ospedale Molinette, a Torino, corrisponde paradossalmente a un miglioramente per Margherita, ma proseguono gli alti e bassi. Del resto, la guarigione non è mai una linea retta. «Anche quando ero fuori dalla clinica e dall’ospedale, rimaneva il mio problema di iperattività: tutte le mie amiche erano all’università, avevano una vita, mentre io no. Mi sentivo molto sola. Ricominciai così a diminuire le grammature, a passeggiare in modo ossessivo».

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La rinascita di Emma

Il trasferimento presso una comunità di cura a Bologna rappresenta il punto di svolta. Qui, nel confronto con sé stessa e con chi ha vissuto esperienze simili, Emma/Margherita inizia a rivedere la vita sotto una luce diversa. «In questa comunità, dove sono stata 6 mesi, è avvenuto un cambiamento, ho iniziato a vivere e a godere anche dei piccoli momenti della vita. Il clic è successo dal giorno alla notte, quando ho avuto il primo permesso. Sono uscita con le amiche e mi raccontavano della loro vita. Mentre parlavano ho realizzato: stavo sprecando la mia vita per una malattia del cavolo. Mi sono anche accorta però che mi stavo anche godendo il momento presente, che ero felice di stare con loro».

Margherita Vaccari
Margherita Vaccari

Questa consapevolezza coincide anche con la riscoperta del cibo come piacere, la capacità di guardarsi allo specchio senza paura, il ritorno alla socialità e agli affetti: Emma impara nuovamente a vivere. Ogni gesto quotidiano diventa una vittoria contro il mostro interiore che per troppo tempo l’ha dominata. «Da metà libro in poi, Un filo sospeso diventa una celebrazione della vita e della consapevolezza di quanto non si debba dare per scontato ciò che si ha. Diventa un libro molto motivazionale: vorrei far capire alle persone cosa stanno perdendo per una malattia che ti porta alla morte e che ti vuole far avere un corpo che non raggiungerai mai, un corpo che non ti permette di vivere. Da questa malattia si può uscire. La mia storia lo dimostra».

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