Tutti a casa! Contro il riarmo e la palude europea
Se c’è del buono in questo periodo è una realtà che emerge in tutta la sua verità, preludio a una presa di coscienza collettiva. La verità è quella della crisi […]

Se c’è del buono in questo periodo è una realtà che emerge in tutta la sua verità, preludio a una presa di coscienza collettiva.
La verità è quella della crisi dell’ordine liberale internazionale e del soggetto attorno al quale esso si era costruito: l’Occidente euro-statunitense che sta vivendo una crisi che è insieme politica, economica e spirituale.
La verità è in particolare quella della disarticolazione degli equilibri geopolitici e geoeconomici dell’iper-globalizzazione neoliberale e unipolare post 1989 (anche se la sua impalcatura giuridica resta tuttora in piedi), accelerata dalla nuova amministrazione USA, che sta franando insieme a un intero sistema di narrazioni, concetti e abitudini consolidate.
La verità è quella di un Occidente che fa fatica a sopportare la realtà di un mondo nel quale sono emerse forze in grado di opporsi all’unilateralismo e al paninterventismo atlantista globale e illimitato. Per questo motivo esso serra con decisione i ranghi verso l’esterno, ma è al fondo avvitato in una spirale autodistruttiva di sfiducia, scetticismo e di mediocrità decadente levigata al ribasso, promossa a reti unificate.
La verità è quella di un’Europa sopraffatta e ripiegata su sé stessa che esiste sempre più solo come luogo della spoliticizzazione e del dominio tecnocratico e oligarchico. La verità è cioè quella di un’Europa senza anima che cerca di ricompattare e rilegittimare sé stessa alimentando l’emergenzialismo bellicista, secondo la logica ansiogena dell’allerta permanente. Eppure come nucleo storico dei Paesi fondatori e come grande spazio regionale, seppure meno centrale che in passato, essa è chiamata a svolgere una funzione di equilibrio e mediazione promuovendo un assetto pluralistico e il più possibile cooperativo delle relazioni internazionali, con un’attenzione particolare al Medio Oriente e alle rivendicazioni, brutalmente negate, del popolo palestinese. Ma l’Europa, così com’è, è completamente inadatta a tale scopo. Il continente europeo è diventato ormai il luogo dove il vuoto di alta politica si manifesta sotto forma di simulacri, ossessioni e rimozioni; dove il rigetto delle ragioni del realismo critico si traduce nel prevalere di una visione astratta, unilaterale e manichea, con tanto di reductio ad Hitlerum e di costante censura morale che cammina assieme al cinismo dei doppi standard; dove l’assenza di un ethos in grado di addomesticare il demone dell’aggressività e il nulla di senso storico-dialettico favoriscono il pieno dispiegamento della logica dell’ostilità più allucinatoria e discriminatoria che ci sia. L’Europa è insomma il fronte di nuove crociate, anche contro se stessa, se consideriamo l’autolesionismo fanatico di un ceto di governanti-burocrati piccoli-piccoli con le loro condotte d’azione contrarie a ciò che invece converrebbe agli interessi dei popoli europei: sfruttare l’occasione di una tregua, che si spera propedeutica a una pace stabile in Ucraina, per riannodare il filo spezzato dei rapporti con la Russia.
La verità per noi italiani/europei è però anche quella di una realtà capovolta che grida vendetta: come possiamo sopportare che, dopo anni in cui ci hanno chiesto sacrifici e rinunce nel nome dei sacri vincoli di bilancio, ora a quegli stessi vincoli si possa derogare ma solo per produrre e acquistare nuovi armamenti? Tutto ciò è intollerabile!
La verità è in generale quella di un risveglio dal sonno dogmatico liberal-globalista finora egemone in Occidente, che nella sostanza era ipocrita, imperialista e suprematista. Tutto questo mentre le relazioni internazionali si vanno ridisegnando attorno alle logiche del realismo geopolitico multilaterale, con la politica estera americana che sembra destinata a oscillare nei prossimi anni tra Dottrina Monroe e ambizioni di ruolo guida unilaterale, stavolta però ristretto a un Occidente, insieme cupo e pseudo-futurista, maggiormente perimetrato e asserragliato nei suoi confini.
La verità è comunque quella di un futuro dove si continuerà a giocare la sfida tra un modello di coesistenza tra differenti forme di autonomia, ciascuna con le sue peculiarità storiche, economiche e culturali e un contesto che vede invece la presenza di semplici filiali decentralizzate egemonizzate da un unico signore del mondo, sulla base di un unico paradigma di idee, interessi e stili di vita.
La verità è insomma quella di una Storia che si è messa in movimento, disegnando uno scenario denso di rischi certamente, ma anche di opportunità, se l’obiettivo è quello di restituire una nuova vitalità all’iniziativa autonoma dei singoli Paesi europei, anche e soprattutto nel loro rapporto tra di loro, in vista di un profondo ripensamento del processo di integrazione europeo, da smontare e ricostruire daccapo su nuove e più ristrette basi.
Eppure la verità è quella di una classe dirigente italiana ed europea che, nei suoi vertici più di establishment, non ha la forza né la capacità di intraprendere un percorso veramente autonomo dalle diverse oligarchie che si contendono la direzione del complesso militare-industriale-tecnologico-finanziario disseminato tra USA e Europa, tutte accomunate, pur nelle loro differenze, dall’idea di un continente europeo da ridurre al grado minimo di esistenza politica, economica e culturale, in una condizione di vita stagnante e di inerzia anche spirituale, nel segno della passività e della polverizzazione sociale.
La verità è dunque l’urgenza di un’irruzione di un elemento di rottura forte, nel nome di una prospettiva di riscatto nazionale-popolare di ampio respiro, orientata a fini di progresso materiale e spirituale diffuso, da realizzare attorno al trinomio pace-giustizia sociale-sovranità democratica. Contro il particolarismo ristretto e privo di orizzonti dei liberal-conservatori, ma anche contro l’universalismo astratto e antipopolare dei liberal-globalisti. Qui in Italia la sfida resta in definitiva sempre la stessa: promuovere, sul fronte esterno, una diversa declinazione del nesso nazionale/internazionale con particolare riferimento al nodo UE e in risposta alla crisi anche identitaria del nostro Paese di fronte allo sfaldamento delle relazioni tra Mediterraneo, Europa e Atlantico alle quali esso aveva ancorato la propria politica estera negli ultimi settant’anni; investire, sul piano interno, nella necessità di una nuova sintesi tra individuo e comunità oltre e contro il neo-liberalismo nelle sue differenti varianti, per riportare innanzitutto gli spiriti animali del tecno-finanzcapitalismo sotto la direzione del potere politico, in modo inevitabilmente diverso ma non meno efficace di quanto stia riuscendo alla Cina in Oriente.
In conclusione, la risposta a tutte le verità sopra elencate può essere facilmente riassunta in poche parole, ricorrendo a uno slogan semplice ed efficace. Il motto è dunque il seguente. Tutti a casa! Tutti a casa i protagonisti senza pensiero e senz’anima della guerra, dell’impoverimento generalizzato e della post-democrazia senza popolo!
Come rendere concreto tutto ciò? Per discuterne il primo appuntamento è a Roma, il 29 marzo, ore 15, al Cinema Aquila (quartiere Pigneto). Chissà che tale iniziativa non sia l’innesco di un ciclo di mobilitazioni a sostegno di un progetto ambizioso di rinascita e rinnovamento popolare, conficcato nella sostanza delle contraddizioni principali e connesso alle aspirazioni profonde di larga parte della società.
Parafrasando un celebre poeta: tentare di nuovo, sperimentare di nuovo, fallire di nuovo, fallire meglio, non fallire più.