Stellantis, crollo verticale: la produzione è al livello più basso da 1956
La situazione negli stabilimenti italiani di Stellantis si fa sempre più preoccupante. Nei primi tre mesi del 2025 le linee di montaggio di Mirafiori, Pomigliano, Melfi, Cassino, Modena e Atessa hanno prodotto complessivamente 109.900 veicoli, peggiorando ulteriormente del 35,5% la già disastrosa performance registrata nello stesso periodo del 2024. Per le fabbriche che un tempo facevano […]

La situazione negli stabilimenti italiani di Stellantis si fa sempre più preoccupante. Nei primi tre mesi del 2025 le linee di montaggio di Mirafiori, Pomigliano, Melfi, Cassino, Modena e Atessa hanno prodotto complessivamente 109.900 veicoli, peggiorando ulteriormente del 35,5% la già disastrosa performance registrata nello stesso periodo del 2024. Per le fabbriche che un tempo facevano capo alla Fiat si tratta del peggior risultato dal 1956. Il dato emerge dal consueto rapporto trimestrale su Stellantis realizzato dal sindacato Fim-Cisl.
“Viste le dichiarazioni dei vertici di Stellantis negli ultimi incontri istituzionali, non ci aspettavamo un miglioramento ma nemmeno un dato così negativo”, commenta la sigla dei metalmeccanici, secondo cui l’azienda fa ricorso agli ammortizzatori sociali per quasi metà dei dipendenti.
In particolare, tra gennaio e marzo in Italia sono stata assemblate 60.533 autovetture, per un calo del 42,5% rispetto all’anno precedente, e 49,367 veicoli commerciali (-24,2%).
Nello storico stabilimento di Mirafiori, dove negli anni Sessanta lavoravano 65mila persone, gli addetti sono oggi poco più di 2mila. La produzione – quasi interamente concentrata sulla 500 elettrica – nei primi tre mesi dell’anno è calata del 22% rispetto allo stesso periodo del 2024, ma se confrontata con il 2023 è inferiore del 62%. Una piccola buona notizia c’è: a novembre di quest’anno è previsto l’avvio della produzione della 500 ibrida, che – unita alla conferma fino al 2030 della elettrica – dovrebbe almeno parzialmente risollevare i volumi produttivi.
A Melfi, dopo lo stop produttivo della 500x attualmente vengono prodotte Jeep Compass e Jeep Renegade: nei primi tre mesi dall’anno sono state assemblate complessivamente 8.675 auto, per un calo del 64,6% rispetto allo stesso periodo del 2024. Il crollo è invece addirittura dell’86% rispetto all’ultimo trimestre pre-Covid, quello del 2019, quando qui furono assemblate oltre 66mila vetture. Dal 2021 ad oggi lo stabilimento ha perso circa 2mila lavoratori,
portando l’occupazione a quota 5.050. Entro la fine del 2027 Stellantis prevede di portare a Melfi sette nuove produzioni, con l’obiettivo di portare la produzione oltre le 200mila vetture l’anno (nel 2024 sono state 62mila).
I crolli produttivi registrati nelle altre fabbriche fanno sì che il sito di Pomigliano assorba oggi il 61% della produzione totale di auto. Nel primo trimestre dell’anno i 4mila operai campani hanno assemblato poco più di 37mila tra Panda, Alfa Romeo Tonale e Dodge Hornet (-36,9% rispetto al 2024). Le 30.725 Panda prodotte, pur rappresentando da sole circa il 50% della produzione nazionale di auto, hanno subito una flessione del 30% rispetto al 2024, che aveva rappresentato il miglior dato trimestrale degli ultimi quattro anni.
Nel 2024 – anno che si è chiuso con le dimissioni dell’amministratore delegato Carlos Tavares – Stellantis ha registrato un calo dei ricavi del 17% e un crollo degli utili del 70% rispetto al 2023. Ciò nonostante, il consiglio d’amministrazione presieduto da John Elkann proporrà all’assemblea degli azionisti – in programma il prossimo 15 aprile – di staccare un dividendo da 2 miliardi di euro (0,68 centesimi ad azione, a fronte degli 1,55 centesimi dell’anno scorso).
La casa automobilistica franco-italo-americana (ma con sede ad Amsterdam) si è impegnata con il Governo italiano a tornare a produrre in Italia un milione di veicoli entro il 2030 (nel 2024 sono stati 475mila) e ha annunciato per quest’anno 2 miliardi di euro di investimenti negli stabilimenti italiani e6 miliardi di euro di acquisti da fornitori del nostro Paese. Secondo la Fim-Cisl si tratta di “un cambio di impostazione” rispetto al piano industriale precedente “giudicato insufficiente”. Ma il sindacato sottolinea la persistente mancanza di comunicazioni chiare rispetto alla costruzione della fabbrica di batterie a Termoli, annunciata e poi bloccata.
“Il crollo dei volumi sui mercati e transizione verso elettrico e digitale a cui ora si aggiungono i dazi sulle auto europee, prima minacciati e poi introdotti dagli Usa, rappresentano una tempesta perfetta che colpisce in maniera significativa tutta l’Europa e il suo tessuto industriale più rilevante”, fa notare la Fim. “L’Europa però ha dato una risposta inadeguata a sostegno del settore. Le risorse destinate: 2,8 miliardi sono insignificanti e insufficienti, serve una reazione dell’Europa, un cambio delle politiche rigoriste europee e la creazione di debito comune per investire nei settori civili in profonda trasformazione”.
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