Shein e l’impero costruito sui rifiuti: questa potente immagine creata con l’IA ti farà riflettere
In un’immagine potentemente simbolica, creata con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, il designer Emanuele Jane Morelli smaschera le contraddizioni della fast fashion. Il protagonista dell’opera è un cartellone pubblicitario di Shein con una modella vestita di bianco. Ma ciò che attira davvero l’attenzione è la parte inferiore dell’immagine: il corpo della modella si fonde con una montagna...

In un’immagine potentemente simbolica, creata con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, il designer Emanuele Jane Morelli smaschera le contraddizioni della fast fashion. Il protagonista dell’opera è un cartellone pubblicitario di Shein con una modella vestita di bianco. Ma ciò che attira davvero l’attenzione è la parte inferiore dell’immagine: il corpo della modella si fonde con una montagna di vestiti scartati, che si riversano ai piedi del pannello come una gigantesca gonna di rifiuti.
L’opera, generata con Midjourney è una critica artistica e sociale a un sistema che, dietro la promessa di vestiti a basso costo e accessibili, nasconde una realtà fatta di sfruttamento, inquinamento e consumo compulsivo. Ogni acquisto impulsivo, ogni “haul” (spese di massa) da mostrare sui social, ogni top da 2 euro, contribuisce ad alimentare quella montagna di scarti che l’immagine rappresenta.
Questo “abito di rifiuti” è il simbolo di un modello economico insostenibile, che estrae risorse, produce a ritmi disumani, inquina enormemente e infine scarta. Il tutto in nome di una moda che cambia alla velocità dei trend sui social, ma che lascia dietro di sé cicatrici durature sul pianeta e sulle persone.
Non un’esagerazione, uno specchio
La scelta del marchio Shein non è casuale: è uno degli esempi più discussi del fenomeno, un colosso della moda low-cost che ha costruito il proprio successo sulla velocità di produzione, sui bassi costi e sulla viralità online. Ma dietro quei prezzi stracciati si nascondono condizioni di lavoro precarie, tessuti sintetici non biodegradabili, e tonnellate di rifiuti tessili che finiscono nelle discariche del Sud del mondo.
“Questa immagine non è un’esagerazione. È uno specchio”. Così recita il testo che accompagna l’opera, e non potrebbe essere più chiaro: non stiamo parlando di un futuro distopico alla Black Mirror, ma di una realtà già in corso, sotto gli occhi di tutti.
È ora di smettere di celebrare modelli economici fondati sull’iperproduzione e lo sfruttamento e iniziare a costruire un’alternativa: più lenta, più giusta, più pulita. Perché ogni acquisto è una scelta e ogni scelta ha un impatto sul nostro presente e sul nostro futuro.
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