Se la relazione fa notizia

Qual è il prezzo della notorietà? Dipende dal proprio budget. Ma ogni euro speso in progetti di comunicazione per ottenere visibilità sui media comporta strategie differenti (ed effetti diversi). Perché per conquistare il pubblico vanno approcciati coloro che producono notizie. Meglio sbirciare dietro le quinte per evitare passi falsi L'articolo Se la relazione fa notizia proviene da Economy Magazine.

Apr 29, 2025 - 14:46
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Se la relazione fa notizia

Quanto si spende, per conquistare un pizzico di notorietà… Che fa bene non solo all’ego, ma anche (se non soprattutto) al business. Un progetto di comunicazione con un’agenzia blasonata indicativamente costa dai 40 agli 80mila euro l’anno e include comunicati stampa, opportunità di visibilità, organizzazione di interviste, speaking opportunities e, per le quotate, le comunicazioni periodiche (che sono parecchie e quindi ci si colloca sulla parte alta della forchetta). Chi non se lo può permettere, ha una validissima alternativa: sul mercato abbondano consulenti disposti ad affiancare l’azienda con un progetto di comunicazione che può costare intorno ai 12mila euro l’anno. L’asset più prezioso che mettono in campo, le prime (le agenzie) come i secondi (i professionisti), sono le relazioni con i media. «Molte aziende credono che la pubblicazione su una testata dipenda solo dall’invio di un comunicato stampa, vedendo l’ufficio stampa come un canale privilegiato verso i media», spiega a Economy Ugo Malaguti di Mediaddress, realtà che, anche attraverso il suo celebre database, opera da oltre 30 anni nell’ambito delle media relations e in questi anni ha conquistato la fiducia di migliaia di uffici stampa e professionisti delle PR. «In realtà, il suo valore sta nella costruzione di relazioni solide con i giornalisti, nella proposta di contenuti rilevanti e nel rispetto dell’autonomia editoriale. Il successo di una strategia di media relations non si misura solo con la pubblicazione di un comunicato, ma con una narrazione aziendale credibile e coerente nel tempo».

Tra il dire e il fare, però, c’è sempre di mezzo il comunicato stampa. E se non vi siete mai chiesti cosa succede dietro le quinte, Mediaddress invece ha voluto indagarlo con la terza edizione della ricerca “The Eye of Journalists on PR”, condotta coinvolgendo oltre 750 giornalisti europei tra gli oltre 75.000 censiti da Mediaddress in Italia, Francia e Spagna. «L’analisi delle risposte ci ha fornito un quadro aggiornato sui desiderata dei giornalisti nella loro quotidiana relazione con gli uffici stampa di aziende, enti ed agenzie PR». Indicazioni utili, se non indispensabili, anche per le imprese, oltre che per gli addetti ai lavori. Se non altro, per non cadere nello stereotipo (piuttosto aderente alla realtà, purtroppo) canzonato da Anna Keen nelle celeberrime “Regole” pubblicate su Internazionale nel settembre del 2021, che recitavano: «Il tuo scopo principale è convincere gli altri che non sei spam. Scrivi ogni comunicato stampa come se dovessi cambiare il mondo. L’evento è la kermesse. Il programma è il fil rouge. Il luogo è “nella splendida cornice”. La linea di separazione tra ufficio stampa e stalking è più sottile di quanto si creda. Telefona per dire che hai scritto su WhatsApp che hai mandato un’email». 

Dietro le quinte

Che il canale principe che il 94% dei giornalisti prediligono per essere contattati sia la mail non è un mistero. Peccato che il 51% degli intervistati riceva tra i 30 e i 50 comunicati al giorno e il 16% anche più di 100: una mole di informazioni difficile da elaborare. Benché i giornalisti continuino a considerare i comunicati stampa una fonte autorevole (76%), ben 4 giornalisti su 5 dichiarano di leggere meno della metà dei comunicati ricevuti: l’80% dei giornalisti ritiene inutile o fuori target più della metà dei comunicati stampa che ha ricevuto e visionato. Il problema è la difficoltà degli uffici stampa, aziendali e non, a targetizzare correttamente l’invio del comunicato. «La giusta targetizzazione da parte dell’ufficio stampa sembra essere la maggiore difficoltà», spiega Malaguti: «non c’è soltanto un problema su quelli che vengono spediti non in target, ma anche sulla qualità del comunicato che viene spedito. Il 90% degli intervistati trova utile meno della metà di quello che ha letto, il 70% ne trova interessante appena uno su tre, il 37% nemmeno uno su dieci. Andando ad analizzare le problematiche nello specifico ci sono carenze. È quasi spam promozionale e pubblicitario». Le principali motivazioni per cui i giornalisti scartano il 70% dei comunicati dopo una rapida occhiata al titolo sono la non pertinenza (73%), l’inutilità (51%), la mancanza di interesse (45%). E per il 77% degli intervistati la casella e-mail è “inquinata” da contenuti non pertinenti o considerati addirittura spam. Sotto accusa sono in particolare i titoli, fuorvianti e scelti per forzare l’apertura (55%). Forse perché in Italia il 19% dei giornalisti interpellati guarda solo il titolo e il mittente di tutti i comunicati che riceve, il 41% della maggior parte, il 32% di molto di quel che riceve. «Chi seleziona le notizie da pubblicare riceve molte informazioni e deve valutarle in maniera veloce: è importante darle in maniera chiara e concisa», precisa Malaguti. Senza contare che molte volte le prime parole nell’oggetto già riempiono tutto lo spazio disponibile sullo schermo del device e spesso tutte iniziano con “Alla cortese attenzione della redazione – comunicato stampa – l’azien…”. Spazio finito. Impossibile valutare il contenuto. E si rischia di finire nel cestino senza passare dal via.

Il secondo problema è la qualità del contenuto: le informazioni sono spesso incomplete (65%) e lo stile troppo promozionale (42%). Infine problemi di timing, con comunicati inviati tardivamente (21%) e la scarsa tempestività delle risposte degli uffici stampa (30%). I margini di miglioramento non riguardano solo il comunicato stampa in sé, ma anche i contenuti a corredo: oltre a fotografie (51%), press kit (14%) e video (10%), il 39% degli intervistati gradirebbe ricevere il link a un’area download, dove trovare tutti i materiali senza appesantire eccessivamente le e-mail. Due dati sorprendenti evidenziano leggerezze davvero difficili da comprendere: il 22% dei giornalisti lamenta l’assenza dei contatti dell’ufficio stampa e l’11% quella del link al sito dell’azienda o dell’ente. 

«Da anni ci diciamo quanto la mail sia uno strumento imperfetto, ma resta il preferito», osserva Malaguti. «È in fortissimo calo, invece, il contatto telefonico: i giornalisti lamentano il contatto inutile che avviene dopo l’invio di un comunicato stampa che spesso non è di loro interesse». Quasi dimezzati, rispetto alla precedente ricerca, infatti, con un calo del 13%, i giornalisti che preferiscono essere contattati per telefono. E, benché il 33% degli intervistati ritenga le piattaforme social uno strumento utile per la diffusione dei comunicati stampa di aziende ed enti, solo il 12% dei giornalisti gradisce i social e le app di messaggistica istantanea come canale per essere contattati dagli uffici stampa. Lungi dal tramontare, registra una flessione sensibile l’interesse per le conferenze stampa: la percentuale dei giornalisti che le frequenta spesso cala di oltre il 10%. E calano del 10% anche i giornalisti che le considerano utili.

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