Scarichi non depurati nell’ambiente: Val d’Aosta e Sicilia costano una maxi multa all’Italia
L’Italia dovrà pagare una multa di 10 milioni di euro, più una penalità di 13,7 milioni ogni sei mesi di ritardo nell’adeguarsi alla direttiva europea sul trattamento delle acque reflue urbane. La sanzione, emessa dalla Corte di giustizia dell’UE, deriva da una violazione accertata già nel 2014 e mai risolta. Nonostante i progressi, persistono infatti […] The post Scarichi non depurati nell’ambiente: Val d’Aosta e Sicilia costano una maxi multa all’Italia appeared first on L'INDIPENDENTE.

L’Italia dovrà pagare una multa di 10 milioni di euro, più una penalità di 13,7 milioni ogni sei mesi di ritardo nell’adeguarsi alla direttiva europea sul trattamento delle acque reflue urbane. La sanzione, emessa dalla Corte di giustizia dell’UE, deriva da una violazione accertata già nel 2014 e mai risolta. Nonostante i progressi, persistono infatti gravi irregolarità negli agglomerati di Castellammare del Golfo, Cinisi, Terrasini e Courmayeur, dove lo scarico non trattato delle acque reflue danneggia l’ambiente. L’UE, dopo anni di richiami, ha perso la pazienza, imponendo ora misure più severe per garantire il rispetto delle norme.
Questa sanzione non è un fulmine a ciel sereno: il caso affonda le radici in una lunga storia di inadempienze. Già nell’aprile del 2014, la Corte aveva stabilito che l’Italia non aveva rispettato gli obblighi derivanti dalla direttiva comunitaria. All’epoca, erano stati individuati ben 41 agglomerati urbani in cui le acque reflue non venivano adeguatamente raccolte e trattate. Da allora, il numero di località non conformi si è ridotto, ma quattro di esse – Castellammare del Golfo, Cinisi, Terrasini in Sicilia e Courmayeur in Valle d’Aosta – continuano a scaricare i propri reflui in aree sensibili, continuando a provocare un grave danno ambientale. L’inerzia italiana ha portato la Commissione Europea a deferire nuovamente il Paese nel giugno del 2023, poiché, dopo oltre vent’anni dalla scadenza del termine per il recepimento della direttiva e nove anni dopo la prima condanna, le irregolarità non erano state sanate. La nuova sentenza della Corte UE, pronunciata il 27 marzo, ha certificato la persistente inadempienza, determinando così l’imposizione della maxi-multa.
Nello specifico, i giudici di Lussemburgo hanno attestato nella loro pronuncia che l’assenza di trattamento delle acque reflue urbane «costituisce un danno all’ambiente e deve essere considerata come particolarmente grave». Nonostante esso risulti diminuito nel tempo «grazie alla riduzione significativa del numero di agglomerati» non a norma, passato dai 41 contestati nel 2014 a quattro, secondo la corte persiste «un pregiudizio all’ambiente», che risulta «tanto più grave se si considera che i quattro agglomerati non conformi scaricano le loro acque reflue in aree sensibili». Le sanzioni imposte sono il risultato della valutazione di tre fattori principali: la gravità dell’infrazione, la sua durata e la capacità finanziaria dello Stato membro. Nonostante i progressi compiuti, il ritardo accumulato è stato giudicato eccessivo. La multa semestrale da 13,7 milioni di euro non avrà effetto retroattivo, ma si applicherà a partire dalla data della sentenza e verrà riscossa automaticamente fino a quando l’Italia non avrà completato le misure necessarie per conformarsi alla direttiva.
Per acque reflue urbane si intende l’insieme delle acque di scarto domestiche e industriali convogliate in reti fognarie a partire da un agglomerato urbano. Le prime provengono da insediamenti di tipo residenziale e sono costituite prevalentemente dai “rifiuti” del metabolismo umano e delle attività domestiche. Le seconde variano in funzione della tipologia di attività industriale condotta in un dato stabilimento e possono essere classificate come “pericolose” o “non pericolose” per l’ambiente. Pertanto, tali acque di scarto, che certamente non possono essere reimmesse nell’ambiente tal quali, devono essere sottoposte a dei rigorosi trattamenti atti a depurarle. Nel 2021, l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) aveva reso noti dati che sottolineavano quanto la quota di acque reflue urbane raccolte e trattate in linea con gli standard dell’UE fosse in aumento in tutta l’Unione, con oltre il 90% delle acque reflue urbane raccolto e trattato in conformità alla relativa direttiva comunitaria. Con circa il 56% delle acque reflue trattate in conformità con la direttiva UE, il nostro Paese si posizionava poco sopra i peggiori della classe. Oggi ci troviamo di fronte a una situazione in progressivo miglioramento, ma che vede ancora la sussistenza di gravi irregolarità. Su cui l’UE, evidentemente, non vuole più soprassedere.
[di Stefano Baudino]
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