«Ridateci il vecchio medico condotto»
Ci è voluta una dose abnorme di insipienza politica e sociale per demolire, man mano, una delle istituzioni più importanti della sanità italiana. Una volta si chiamava medico condotto, poi, medico di base e di famiglia. Cosa è successo distruggendo questa figura o riducendola ai minimi termini? Si è eliminato il primo e più importante referente per le questioni della salute delle famiglie, dei singoli, delle fasce più deboli della popolazione e, prima di tutto, degli anziani. Per decenni, quello che si chiamò medico condotto ha accompagnato i cittadini italiani nel loro percorso, più o meno problematico, dal punto di vista della salute. Si trattava di un dottore che dipendeva dai Comuni italiani e che prestava assistenza gratuita ai poveri e, dietro pagamento, agli altri cittadini. Fu sostituito dalla Legge numero 833 del 23 dicembre 1978 con il cosiddetto «medico di famiglia». Doveva essere un’evoluzione di quella figura e, in effetti, poteva esserlo, perché doveva rappresentare l’organizzazione e la gestione della «presa in carico» delle persone in modo coordinato e integrato, prestando le cure primarie e facendo da interfaccia tra il paziente e le strutture che offrivano le cure più specialistiche richieste dal medico di base stesso. Ho ricordi personali meravigliosi del medico condotto della nostra famiglia, poi medico di base, che conosceva alla perfezione la storia clinica di ognuno di noi e che, in caso di necessità, ci veniva spesso a visitare a casa. E poi ricordo anche le telefonate che faceva direttamente ai vari primari dell’ospedale di Lucca con i quali intratteneva, come ogni altro medico di base, rapporti diretti senza pastoie burocratiche, ma basati su una comune professionalità e umanità che distingueva quel periodo della storia della sanità italiana. Mi riferisco agli anni Sessanta e Settanta in particolare. Ebbene, l’età dell’oro di quella che oggi si chiama medicina territoriale è stata frantumata a favore di una burocratizzazione di tutto il sistema, fino alla scomparsa del rapporto personale tra medico e paziente. Un disastro che si perpetua da troppi anni, del quale ci siamo occupati tante volte e di cui continueremo a occuparci convinti che se non si ripristina questo sistema i pazienti, soprattutto quelli più deboli, si troveranno sempre più soli davanti a una burocrazia che non sono in grado di affrontare perché troppo complessa e anche troppo digitalizzata. Non si può chiedere a un paziente di settanta od ottanta anni di mettersi al pc per chiedere aiuto per la propria salute. E non si può chiedere al medesimo paziente di passare ore al telefono per prenotare una visita specialistica. Tutto questo contraddice il dettato della Costituzione riguardo il diritto alla salute che deve essere assicurato a tutti, indipendentemente dalle possibilità economiche dei singoli cittadini. Sembra che qualcosa si stia muovendo. Intanto dobbiamo ricordare che nei prossimi anni, su 37 mila medici di famiglia circa 10 mila andranno in pensione. Dunque, la riforma non è più rinviabile perché gli esiti di questo calo sarebbero disastrosi. Speriamo che la riforma della Medicina di base proposta dal ministero della Salute che fa capo al ministro Schillaci (che ancora è una bozza) veda la luce quanto prima. Comunque, potrebbe significare un passo in avanti. Certo, non sarà perfetta, perché contiene molti punti discutibili. Per esempio, la figura attuale del medico di base, che in questo momento è un libero professionista (in osservanza dell’art. 8 della Legge 502 del 1992), verrebbe a essere sostituita da quella di un medico dipendente dello Stato. I nuovi medici verrebbero dunque a essere assunti, mentre quelli più anziani potrebbero scegliere la forma del loro contratto. Ci sono dei punti importantissimi, tra gli altri, che sono i seguenti: i medici dovrebbero garantire l’attività presso gli studi e presso le nuove cosiddette Case della comunità con orario dalle 8 alle 20 e la possibilità di realizzare, senza dover ricorrere all’ospedale, diversi esami strumentali e molte analisi; dovrebbero inoltre, questi medici, assicurare la presenza per almeno 25 ore settimanali e garantire - fatto fondamentale - visite domiciliari per chi non può recarsi in ambulatorio. Questo di certo alleggerirebbe l’intasamento che oggi si verifica costantemente e in modo diuturno nel Pronto soccorso che, di fatto, è diventato il sostituto del medico di base. Una follia. La riforma si può discutere, emendare e migliorare, ma speriamo che sia fatta al più presto. Almeno si imbocca di nuovo la strada che porta nella direzione giusta. n © riproduzione riservata


Ci è voluta una dose abnorme di insipienza politica e sociale per demolire, man mano, una delle istituzioni più importanti della sanità italiana. Una volta si chiamava medico condotto, poi, medico di base e di famiglia. Cosa è successo distruggendo questa figura o riducendola ai minimi termini? Si è eliminato il primo e più importante referente per le questioni della salute delle famiglie, dei singoli, delle fasce più deboli della popolazione e, prima di tutto, degli anziani. Per decenni, quello che si chiamò medico condotto ha accompagnato i cittadini italiani nel loro percorso, più o meno problematico, dal punto di vista della salute. Si trattava di un dottore che dipendeva dai Comuni italiani e che prestava assistenza gratuita ai poveri e, dietro pagamento, agli altri cittadini. Fu sostituito dalla Legge numero 833 del 23 dicembre 1978 con il cosiddetto «medico di famiglia».
Doveva essere un’evoluzione di quella figura e, in effetti, poteva esserlo, perché doveva rappresentare l’organizzazione e la gestione della «presa in carico» delle persone in modo coordinato e integrato, prestando le cure primarie e facendo da interfaccia tra il paziente e le strutture che offrivano le cure più specialistiche richieste dal medico di base stesso. Ho ricordi personali meravigliosi del medico condotto della nostra famiglia, poi medico di base, che conosceva alla perfezione la storia clinica di ognuno di noi e che, in caso di necessità, ci veniva spesso a visitare a casa.
E poi ricordo anche le telefonate che faceva direttamente ai vari primari dell’ospedale di Lucca con i quali intratteneva, come ogni altro medico di base, rapporti diretti senza pastoie burocratiche, ma basati su una comune professionalità e umanità che distingueva quel periodo della storia della sanità italiana. Mi riferisco agli anni Sessanta e Settanta in particolare.
Ebbene, l’età dell’oro di quella che oggi si chiama medicina territoriale è stata frantumata a favore di una burocratizzazione di tutto il sistema, fino alla scomparsa del rapporto personale tra medico e paziente. Un disastro che si perpetua da troppi anni, del quale ci siamo occupati tante volte e di cui continueremo a occuparci convinti che se non si ripristina questo sistema i pazienti, soprattutto quelli più deboli, si troveranno sempre più soli davanti a una burocrazia che non sono in grado di affrontare perché troppo complessa e anche troppo digitalizzata. Non si può chiedere a un paziente di settanta od ottanta anni di mettersi al pc per chiedere aiuto per la propria salute. E non si può chiedere al medesimo paziente di passare ore al telefono per prenotare una visita specialistica. Tutto questo contraddice il dettato della Costituzione riguardo il diritto alla salute che deve essere assicurato a tutti, indipendentemente dalle possibilità economiche dei singoli cittadini.
Sembra che qualcosa si stia muovendo. Intanto dobbiamo ricordare che nei prossimi anni, su 37 mila medici di famiglia circa 10 mila andranno in pensione. Dunque, la riforma non è più rinviabile perché gli esiti di questo calo sarebbero disastrosi. Speriamo che la riforma della Medicina di base proposta dal ministero della Salute che fa capo al ministro Schillaci (che ancora è una bozza) veda la luce quanto prima. Comunque, potrebbe significare un passo in avanti. Certo, non sarà perfetta, perché contiene molti punti discutibili. Per esempio, la figura attuale del medico di base, che in questo momento è un libero professionista (in osservanza dell’art. 8 della Legge 502 del 1992), verrebbe a essere sostituita da quella di un medico dipendente dello Stato. I nuovi medici verrebbero dunque a essere assunti, mentre quelli più anziani potrebbero scegliere la forma del loro contratto.
Ci sono dei punti importantissimi, tra gli altri, che sono i seguenti: i medici dovrebbero garantire l’attività presso gli studi e presso le nuove cosiddette Case della comunità con orario dalle 8 alle 20 e la possibilità di realizzare, senza dover ricorrere all’ospedale, diversi esami strumentali e molte analisi; dovrebbero inoltre, questi medici, assicurare la presenza per almeno 25 ore settimanali e garantire - fatto fondamentale - visite domiciliari per chi non può recarsi in ambulatorio.
Questo di certo alleggerirebbe l’intasamento che oggi si verifica costantemente e in modo diuturno nel Pronto soccorso che, di fatto, è diventato il sostituto del medico di base. Una follia. La riforma si può discutere, emendare e migliorare, ma speriamo che sia fatta al più presto. Almeno si imbocca di nuovo la strada che porta nella direzione giusta. n
© riproduzione riservata