Ribellarsi fa bene al Pianeta ma pure agli individui: in un mondo che pretende i Sì, riuscire a dire No è un atto politico
La medica e psicologa indiana Sunita Sah spiega in un saggio i benefici dell'opporsi a regole che non si condividono, ma anche i modi per arrivare a essere "anticonformisti morali" L'articolo Ribellarsi fa bene al Pianeta ma pure agli individui: in un mondo che pretende i Sì, riuscire a dire No è un atto politico proviene da Il Fatto Quotidiano.

Ha studiato per anni – da medico – le problematiche relative alla ribellione e all’autorità, constatando che siamo talmente condizionati ad assecondare, specie in certi contesti, da “rischiare di non capire che quel dato momento esige una ribellione quando ormai è troppo tardi”. Nonostante ciò in cui crediamo, non riusciamo a comportarci secondo i nostri valori. In altre parole, spiega Sunita Sah in RIBELLATI! Il potere del No in un mondo che pretende solo dei Sì (Corbaccio), l’obbedienza nel nostro mondo è la regola. L’autrice sottolinea che, ovviamente, l’obbedienza non è necessariamente negativa, “ma l’adesione totale può avere conseguenze devastanti per gli individui, per i governi e per l’umanità in generale”.
Ma perché tendiamo sempre a dire sì? Per spiegarlo l’autrice parte da lontano. E prova anzitutto a chiarire che opporsi significa “agire secondo i propri valori, quando si è incalzati a comportarsi diversamente”. La ribellione non va pensata come qualcosa di urlato, arrabbiato o aggressivo, ma anche di irraggiungibile: è qualcosa di disponibile e necessario per tutti, e ciascuno può praticarla nel modo che gli è più congeniale. L’autrice, nel libro, fa un esempio in apparenza banalissimo di ribellione che ha messo in atto: rifiuta un esame medico che sa essere assolutamente non necessario, stupendo il medico e l’intera struttura che indicava quell’esame come prassi dovuta.
Le fasi della ribellione
Come dunque ci si può ribellare? Il primo segnale a cui fare attenzione, spiega Sunita Sah, è la tensione. Il sistema nervoso ci mette in allarme che qualcosa non va, anche se le potenti forze sociali che sfruttano le nostre emozioni e le nostre ansie limitano la nostra sensazione di essere liberi di scegliere.
Se la tensione è il primo segnale, la seconda fase è il riconoscimento e la consapevolezza di quella tensione dentro di noi, che ci ricorda la nostra capacità di agire. La terza fase è l’escalation del nostro disagio interiore espressa a parole, non per forza in maniera polemica. Dare voce al disagio raccontandolo ad altri riduce la pressione e aumenta la possibilità di passare alle fasi successive della ribellione, che culminano in un “No Autentico”.
Le fasi non si verificano sempre una dopo l’altra, si può oscillare, e spesso è facile bloccarsi prima dell’aperta ribellione che vorremmo compiere. Ovviamente, è più facile ribellarsi se non si è soli, ma se ci sono altre persone con cui condividere. Ma la ribellione autentica non deriva da convinzioni religiose settarie, ma è frutto di una decisione ponderata che allinea le nostre azioni con i nostri valori fondamentali.
I costi della ribellione. Ma anche dell’adesione
La ribellione esiste su uno spettro e la strada per arrivarci può essere lunga. Ogni atto di ribellione è preceduto da centinaia di momenti di adesione consapevole, in cui la ribellione viene rinviata, perchè i costi possono essere elevati, i rischi anche, psicologici, sociali, finanziari o professionali. Ribellarsi non salva nessuno dalle conseguenze negative della ribellione. Ma non reagire al razzismo, al sessismo o altro può creare disagio, malessere. Esiste anche una ribellione silenziosa, spesso usata da artisti nei regimi repressivi. Ma il rischio è che diventi sempre più silenziosa e alla fine muta. Possiamo tuttavia usare l’adesione consapevole o la ribellione silenziosa per guadagnare tempo e mitigare i rischi della ribellione pubblica, ottimizzarne gli effetti e comprendere quando la bilancia supera il limite.
Un allenamento costante
Nessuno può stabilire quando sia il momento giusto per voi di ribellarvi o aderire. Per ribellarci, però, dobbiamo prima conoscere i nostri valori. La ribellione richiede cioè una autovalutazione consapevole di ciò che conta di più per noi al di là delle nostre realizzazioni, della configurazione iniziale e dell’acculturazione. Il momento della ribellione non deve essere perfettamente giusto: deve essere giusto quanto occorre, sicuro quanto occorre ed efficace quanto occorre. Non esiste nemmeno l’ambiente perfetto per ribellarsi: non esiste una formula intrinsecamente sicura per il rischio, l’impatto e l’incolumità, che possa dirci con precisione quando e dove ribellarci. Con la preparazione e la pratica possiamo progredire: l’esercizio ripetuto dei nostri muscoli atti alla ribellione ci aiuta a riconoscere quando è il momento di opporci. Come un sollevatore di pesi passa dai pesi più leggeri a quelli più pesanti, noi possiamo costruire gradualmente la nostra capacità, migliorando le nostre competenze e rinsaldando la nostra fiducia a ogni atto di sfida che intraprendiamo.
È così che spesso si verifica un cambiamento duraturo: attraverso l’accumulo di decine o perfino centinaia di momenti di ribellione più o meno grandi. Un allenamento costante può letteralmente cambiare la configurazione del nostro cervello. Quando costruiamo nuovi percorsi neurali per metterla in atto, la ribellione diventa più facile e anche più accessibile. Diventa noi, è quello che siamo.
Diventare ciò che si è
Possiamo così trasformarci da ingenui conformisti in anticonformisti morali. Gli anticonformisti morali, dice l’autrice, “sono intraprendenti, non reattivi. Responsabili, non impulsivi. Non respingono con leggerezza i valori delle società in cui vivono e nemmeno delle organizzazioni a cui ap- partengono. Non sono esasperati o cinici con gli altri, al contrario. Sono in sintonia con i propri valori morali e ammettono le proprie responsabilità”. Non si diventa anticonformisti morali premendo un interruttore, ma dedicandosi tutta la vita alla pratica della ribellione. Questo, in un certo senso, è il sogno della ribellione: vivere talmente in sintonia con i propri valori da rispettarli quasi automaticamente, senza esitazione alcuna. La ribellione diventa così non solo una reazione a un momento di crisi, ma “un modo naturale di essere nel mondo”. Per opporvi, conclude Sunita Sah, non dovete cambiare quello che siete. Dovete diventare più voi stessi. Alla fine, un anticonformista morale è destinato a scoprire che ha già dentro di sé, nel profondo, la stella polare della propria ribellione. “Opporsi non significa soltanto dire no a qualcosa che non è giusto. È dire sì al contrario, al mondo che si vorrebbe creare”.
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