Purgatorio (AlterEgo) – L’abisso di un segreto

C’è un’unità di misura chiara a fornire l’elemento chiave per intraprendere questa lettura, che fin da subito si palesa feroce, pur nella sua raffinata scrittura. Immediatamente si entra in apnea, […]

Mar 6, 2025 - 13:57
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Purgatorio (AlterEgo) – L’abisso di un segreto

C’è un’unità di misura chiara a fornire l’elemento chiave per intraprendere questa lettura, che fin da subito si palesa feroce, pur nella sua raffinata scrittura. Immediatamente si entra in apnea, si rimane col fiato sospeso e i sensi, compreso il sesto, vengono sovvertiti. La misura è il Tempo quello dell’attesa, quello della risposta. Ma facciamo un passo indietro, chi è Ilaria Palomba? È l’autrice, la voce che si fa visionaria di un luogo, l’adesso, espanso in particelle di altro esistente dove sono generati alter ego i quali diventano eco, coro e si fanno Loro fondendosi al suo nome, il nome “rinunciato” che la conducono nel luogo del; racconto/ricordo/sogno/incubo/morte/risveglio.

L’autrice in queste pagine dolenti, pur nella loro essenza di risolutezza, indaga sé dentro e fuori da sé, si divide in molecole di dolore, quel dolore che se inizialmente è desolante, vuoto orribile, dall’altro diventa coraggio, conquista di un percorso quasi oltre il corpo, oltre la linea continua di questa dimensione.

Una vita la sua, la Loro, frammentata, spezzata eppure riconquistata verso un luogo Altro, quello della conoscenza. In queste pagine veementi, complesse, colte è il viaggio il fil rouge, un viaggio che supera i confini della stessa vita per farne il suo approdo, il suo ritorno. Ma è il corpo, ormai una rappresentazione spettrale della vita in attesa, il protagonista fin dalle prime pagine di questo sconvolgente romanzo, mentre la mente ancora più vasta, sempre più elevata si interroga se questo Tempo dell’adesso sia reale, poiché fatica a riconoscersi nel corpo appunto martoriato. Il parallelismo tra l’esistente dimensionale e quello ultra dimensionale, viene proposto come rimando alla memoria dei viaggi psiconauti, frapponendo le sostanze psìcotrope. Scrive:

«Con l’LSD sei nel reale, sei tu moltiplicato; con la ketamina non sei più nulla, le visioni arrivano dall’oltretomba. Con la clozapina tutto si allontana, non hai il grave di pensare.»

Ed ecco nuovamente che il lettore viene condotto nel Tempo del Viaggio dove si conoscono e riconoscono i volti degli ultimi, degli abbandonati di tutti coloro che fanno da contorno ad una realtà sempre più feroce.

Via-via nello scorrere delle vicende si affidano le parole a dei flashback fatti dei fatti di prima, dove scorre il Tempo Perduto e diventa frammentato, canto nel vento. Visioni riappaiono nitide e si fa sempre più forte il verno di cui Virgilio parla nel Canto IV, verso 81 del Purgatorio ed al suo fianco anche Ilaria si addentra nei panorami danteschi in cerca di risposte ai suoi molteplici quesiti, dove d’un tratto compaiono confidenze:

«Siamo in disequilibrio perenne, finché un giorno non spezzo l’aria di morte che ormai trapela ovunque in casa. Do una festa, arrivano tanti vecchi amici, che poi spariscono. La musica è ciò che riempie i vuoti, riveste l’ombra, invade il limbo dei restituiti coprendo l’inadeguatezza – l’irrisoria cedevolezza – delle cose. […] Siedo sulla poltrona di velluto e di tanto in tanto leggo i tarocchi agli astanti.»

Ecco dunque che Purgatorio si rivela essere un libro non solo verticale, inteso quello dalla lettura lineare, tutt’altro può invece essere considerato un romanzo trasversale alla logica, al razionale, fortemente legato alla dimensione della divinazione. Se si apre il romanzo a caso oltre la forma narrativa sorprendentemente coinvolgente, stupisce l’immediata coincidenza dell’interpretazione dei passaggi letti. Subito si percepisce di trovarsi al cospetto di una saggezza nascosta, di un potere simbolico dove le parole assumono un valore aggiunto, quello di far riconoscere al lettore un tratto del proprio percorso. Ad esempio a pagina 38 riga 36 si legge:

«Quel levar la mano su di sé di cui parla Jean Améry è il rifiuto del dono del corpo, che è nostro ma non ci appartiene, non può de-finirci, di un’identità incollata alla pelle che non ci rappresenta. Non è possibile dantescamente non curarsi di loro perché da loro, ovvero, dalla nostra identità sociale dipende il nostro destino».

Appare chiaro quindi che l’indagine di sé è oltre ciò che la materia compone e trasforma. L’autrice si palesa golosa di accrescere la sua conoscenza delle cose, quelle heideggeriane, legate alla fenomenologia intorno al vuoto inappariscente ma esistente.

Nel romanzo il termine cosa compare 29 volte e guarda caso in numerologia il ventinove indica una forte intuizione e una capacità di percepire le energie sottili, in alcune interpretazioni è considerato un numero karmico che indica lezioni da apprendere e sfide da superare, inoltre è un numero primo. Queste ventinove cose si manifestano; intime, cedevoli, atroci, vincolanti, senza senso, piccole, cose che non si vedono, e continua Ilaria a immergersi in queste sue cose, scrivendo una lettera a Pessoa:

«Cosa dell’inquietudine mi appartiene? La separazione, forse. Il tale con il cappello nel bar seduce una giovane dai modi ottocenteschi. Li guardi e costruisci immaginari nel ventre delle cose che accadono e cadono simultaneamente in questo istante. […] Tu sai, bisogna abitare un paese spettrale, popolare di spettri il mondo, non lasciare spazio al deserto, non lasciargli scandire il tempo. Il deserto sono gli altri, ma li ho come te elusi, prima che tutto tornasse a manifestarsi […] vorrei solo tornare a sentire le cose, vorrei tornare al principio dell’inquietudine e sventrarla. Cosa si prova controcorrente?».

Poi arrivati alla fine del romanzo, non resta altro da fare se non inseguire la verità celata tra le domande che Ilaria si e ci pone dove il suo andare tra le vie trasversali delle ingiustizie, sociali e individuali subite, tra le incalzanti scorciatoie delle perfidie ancora insinuante nella sua carne, tra l’insistente peso di trovare un posto nel dedalico senso delle cose dove si nasconde il vertiginoso abisso di un segreto mai svelato.