Pio La Torre assassinato dalla mafia? Macché! Sono stati i comunisti. Lo disse Ciancimino e oggi Mori rilancia
Pio La Torre assassinato dalla mafia? Macchè! A volerlo morto furono i suoi compagni di partito, quei dannati comunisti, parola di Vito Ciancimino. A tanto si arriva seguendo con ansia crescente l’epifania della grande vendetta consumata fredda e ben condita dal generale Mario Mori, dal colonello De Donno, grazie al corredo di camerieri e camerlenghe. […] L'articolo Pio La Torre assassinato dalla mafia? Macché! Sono stati i comunisti. Lo disse Ciancimino e oggi Mori rilancia proviene da Il Fatto Quotidiano.

Pio La Torre assassinato dalla mafia? Macchè! A volerlo morto furono i suoi compagni di partito, quei dannati comunisti, parola di Vito Ciancimino. A tanto si arriva seguendo con ansia crescente l’epifania della grande vendetta consumata fredda e ben condita dal generale Mario Mori, dal colonello De Donno, grazie al corredo di camerieri e camerlenghe.
Vito Ciancimino, morto nel novembre del 2002, mafioso patentato, protagonista del “sacco di Palermo”, assessore e sindaco della Città, “corleonese nelle mani dei corleonesi”, legato alla corrente andreottiana e quindi a Salvo Lima (dopo una prima stagione da fanfaniano), due volte arrestato proprio da De Donno nell’ambito di inchieste coordinate da Giovanni Falcone, si ritrova infatti, a sua insaputa, al centro della strategia vendicativa del duo Mori-De Donno. Perché?
A Mori e De Donno, sentiti dalla Commissione parlamentare anti mafia il 16 aprile, Ciancimino servirebbe a dimostrare che la magistratura inquirente palermitana è stata in parte collusa col sistema “mafia-appalti”, indicato come vera causale della strage di Via D’Amelio, in parte se non proprio collusa, almeno accondiscendente, bonaria o semplicemente inadeguata, incompetente, pavida. Per realizzare questo intento torna utile il memoriale intitolato “Le mafie” scritto da Vito Ciancimino in persona e fatto pervenire tramite Mori tanto a Luciano Violante (il 28/10/92) allora presidente della Commissione parlamentare antimafia, quanto a Gian Carlo Caselli (il 2/2/93) allora procuratore capo a Palermo.
Mori e De Donno sostengono che sebbene il memoriale non sia da prendere come oro colato, avrebbe dovuto essere considerato come un punto di partenza investigativo, che bisognava adoperalo come pretesto per proporre a Ciancimino di collaborare con lo Stato, cioè di farsi “pentito”. Sostengono che se ci fossero stati gli impareggiabili Falcone e Borsellino, mai avrebbero perso “un treno che non passa più nella vita”, capace di far penetrare nei segreti altolocati del sistema “mafia-appalti”, a differenza delle confessioni di Buscetta che avevano avuto “soltanto” la capacità di illuminare il livello militare di Cosa Nostra.
Ed invece? Invece quei meschini di Caselli&compagni (rossi naturalmente!) non vollero fare un bel niente! Nemmeno Violante (noto comunista) volle sentire Ciancimino in Antimafia, mentre non ebbe scrupoli a chiamare un delinquente come Tommaso Buscetta.
Omettono Mori e De Donno di ricordare che il presupposto di una autentica collaborazione con la giustizia è ammettere le proprie responsabilità criminali e che questo mai fece Vito Ciancimino che anzi protestò sempre la usa innocenza, negando di aver fatto parte di Cosa Nostra, lamentando di essere stato vittima di una congiura di palazzo, di un “mascariamento” prodotto dai suoi avversari politici, a cominciare da quel comunista (!) di Gerardo Chiaromonte che era stato presidente della Commissione Antimafia tra ’87 ed il ‘92, per non parlare di quel “rosso” di Giovanni Falcone che lo aveva fatto arrestare addirittura due volte.
Su queste basi si sarebbe mai potuta iniziare una collaborazione? No! Ma forse nella mente avvelenata dal rancore di Mori e De Donno l’idea di usare proprio Ciancimino ed il suo memoriale come prova della corruzione professionale della magistratura palermitana è germogliata da antiche reminiscenze di giochi da bambini, tipo “specchio riflesso” o “ce l’hai”: se Vito Ciancimino in versione “confidente” del Ros è stato usato dalla procura palermitana per inchiodare Mori e De Donno alla croce del processo “trattativa” (sulla base dei colloqui avvenuti tra Giugno ed Ottobre 1992), allora lo stesso Vito Ciancimino, arrestato di nuovo nel dicembre del 1992, in versione aspirante collaboratore di giustizia potrà ben servire ad inchiodare Caselli&C alla croce della insipienza, quando non di peggio. Tiè!
Ma torniamo infine sul memoriale di Ciancimino, che viene considerato da Mori e De Donno se non oro colato (lo ribadiscono più volte a scanso di equivoci), almeno un giacimento ricco di analisi e considerazioni acute fatte da un uomo che sicuramente quel mondo lo conosceva bene, perché il colpo di scena è dietro l’angolo.
Le considerazioni fatte da Ciancimino sull’assassinio di Pio La Torre e poi del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa potrebbero infatti aprire la strada per la individuazione della vera ed inaudita “causale” della strage di Via D’Amelio, in una eterogenesi dei fini rispetto agli intenti di Mori e De Donno sicuramente preterintenzionale. Quale cretino, sostiene Ciancimino, sapendo che in Parlamento languiva la proposta di legge voluta da Pio La Torre che introduceva il reato di mafia nel codice penale, avrebbe pensato di fermare la legge uccidendone il proponente? La mafia? Ma stiamo scherzando? Pio La Torre è stato ucciso da chi quella legge LA VOLEVA! Per usarla contro i suoi avversari politici e quando si è accorto che ucciderlo non era bastato, ha pensato bene di far uccidere pure Dalla Chiesa, ed infatti a quel punto la legge è passata in dieci giorni. Chi? I comunisti!
Mutatis mutandis, ecco il colpo di scena, seguendo la logica ferrea del Ciancimino: la strage di Via D’Amelio? Decisa da chi VOLEVA il 41 bis contenuto nel DL 306, che stava languendo in parlamento rischiando di decadere, senza conversione. Chi? Ai posteri l’ardua sentenza. Insomma: chi di Ciancimino ferisce, di Ciancimino perisce.
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