Perché Trump vuole smantellare il Chips Act di Biden?

Trump ha detto che il Congresso dovrebbe cancellare il Chips Act e utilizzare i fondi per ripagare il debito pubblico. La legge di Biden, pensata per attirare la manifattura di microchip negli Stati Uniti attraverso i sussidi, era stata appoggiata anche dai repubblicani. Fatti, confronti, numeri e l'analisi di Alessandro Aresu.

Mar 6, 2025 - 16:34
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Perché Trump vuole smantellare il Chips Act di Biden?

Trump ha detto che il Congresso dovrebbe cancellare il Chips Act e utilizzare i fondi per ripagare il debito pubblico. La legge di Biden, pensata per attirare la manifattura di microchip negli Stati Uniti attraverso i sussidi, era stata appoggiata anche dai repubblicani. Fatti, confronti, numeri e l’analisi di Alessandro Aresu

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha detto che il Congresso dovrebbe cancellare il Chips and Science Act e utilizzare i fondi per ripagare il debito pubblico americano.

COS’È IL CHIPS ACT

Il Chips Act è una delle leggi più importanti della presidenza di Joe Biden: è entrata in vigore nell’agosto 2022 e stanzia oltre 50 miliardi di dollari per la manifattura di semiconduttori sul territorio americano, più altri fondi pubblici per la ricerca in materia. Venne approvato con il sostegno sia dei democratici che di alcuni repubblicani: infatti, nonostante il ricorso massiccio ai sussidi statali – generalmente sgraditi ai conservatori -, la legge affronta anche questioni care al partito rappresentato da Trump, come il rafforzamento dell’industria manifatturiera nazionale e il contrasto della Cina, la principale rivale politica ed economica degli Stati Uniti.

COSA PENSA LO SPEAKER DELLA CAMERA…

Lo speaker della Camera, il repubblicano Mike Johnson, ha votato contro Qualche mese fa dichiarò che la cancellazione del Chips Act “non è nei piani” del Partito repubblicano; “al contrario, si potrebbe legiferare per snellire e migliorare ulteriormente l’obiettivo primario del disegno di legge”.

… E COSA PENSA TRUMP

Martedì, però, Trump ha definito il Chips Act “una cosa orribile, orribile. Diamo alle aziende centinaia di miliardi di dollari e non significa nulla. Prendono i nostri soldi e non li spendono. Dovreste”, ha aggiunto, riferendosi ai membri del Congresso, “sbarazzarvi del Chips Act e quello che rimane […] dovreste usarlo per ridurre il debito”.

Secondo Trump, non c’è bisogno di incentivare con soldi pubblici le aziende di microchip affinché aprano delle fabbriche negli Stati Uniti: basta minacciarle con i dazi sulle importazioni. Per il presidente, infatti, le tariffe non sono soltanto uno strumento per riequilibrare la bilancia commerciale ma anche una leva di pressione politica e un mezzo di attrazione degli investimenti negli Stati Uniti, al posto degli aiuti pubblici: i sussidi erano invece l’approccio preferito da Biden.

IL COLPO DI CODA DI BIDEN

Nel periodo finale della scorsa amministrazione, temendo che Trump potesse cancellare i fondi del Chips Act, il dipartimento del Commercio ha distribuito oltre 33 miliardi di aiuti ai produttori di semiconduttori, inclusi 4,7 miliardi a Samsung (sudcoreana), 6,1 miliardi a Micron (statunitense), 6,6 miliardi a Tsmc (taiwanese) e 7,8 miliardi a Intel (statunitense).

Secondo le fonti di Reuters, circa un terzo del personale del dipartimento del Commercio che si occupa di supervisionare i sussidi ai chipmakers è stato licenziato questa settimana.

IL RUOLO DI TSMC

Gli Stati Uniti sono molti avanti, a livello globale, nella fase di progettazione dei semiconduttori ma non in quella di manifattura, che si concentra in paesi come Taiwan e la Corea del sud.

Tra il maggio 2020 e l’aprile 2024 la compagnia taiwanese Tsmc, la più grande e sofisticata azienda produttrice di microchip su contratto, ha annunciato investimenti da 65 miliardi di dollari in totale – il Chips Act ha contribuito – nella costruzione di tre fabbriche avanzate in Arizona. Nei giorni scorsi ha presentato un investimento ulteriore da 100 miliardi: la spesa dovrà essere approvata dalle autorità di Taiwan, un paese di fatto indipendente ma che la Cina considera parte del suo territorio e che ha in Washington il suo sostenitore principale.

Durante l’ultima campagna elettorale, però, Trump aveva detto che Taipei dovrebbe pagarsi da sola la difesa da Pechino e aveva accusato l’isola di aver sottratto agli americani le operazioni legate ai semiconduttori. Ha anche ventilato la possibilità di imporre un dazio del 25 per cento sulle importazioni di chip che si rivelerebbe molto pesante sia per l’economia taiwanese, sia per gli approvvigionamenti delle società tecnologiche americane.

L’ANALISI DI ALESSANDRO ARESU

“Dal 2020 a oggi il lavoro degli Stati Uniti sui semiconduttori potrebbe essere visto, al di là delle fazioni politiche, come un successo che appartiene a tutti: sotto Trump l’investimento di Tsmc in Arizona si è avviato, con 12 miliardi iniziali, poi cresciuti in modo significativo sotto Biden, anche grazie ai sussidi, e poi siamo arrivati 5 anni dopo al piano pluriennale di Tsmc che con 165 miliardi può rendere gli Stati Uniti senz’altro la seconda geografia produttiva dell’azienda”, spiega a Startmag Alessandro Aresu, analista politico e autore di Geopolitica dell’intelligenza artificiale.

“D’altra parte, la polarizzazione politica negli Stati Uniti esiste e Trump continuerà ad attaccare il piano di Biden, almeno in superficie. La principale debolezza delle politiche di Biden sui semiconduttori ha riguardato le falsità che sono state dette su come tutto si giocasse sui chip ‘avanzati’, per poi scoprire l’importanza strategica dei cosiddetti chip ‘maturi’, oltre al problema di Intel che non è stato affatto risolto. Va aggiunto anche che certe condizioni poste ai sussidi, per esempio elementi ‘sociali’, o le proposte sul buyback delle azioni, non sono mai state in linea con gli standard dell’industria e non lo sarebbero mai state, realisticamente”.

“Invece”, prosegue Aresu, “il fatto che nel governo si creasse un apparato con persone competenti in una materia così complicata, presso il dipartimento del Commercio, era una buona idea, e adesso quell’apparato viene inevitabilmente asciugato dalle scelte di Trump/Musk. La Cina”, conclude, “continuerà invece ad avere decine di migliaia di persone negli apparati governativi che seguono questi temi, con una competenza senza maggiore. Per Trump sarà anche difficile gestire tutto, nell’industria dei chip, solo attraverso i dazi, perché la supply chain rimane e rimarrà troppo complessa per evitare i passaggi da una geografia all’altra”.