Perché l’accordo di cooperazione tra Albania, Croazia e Kosovo rischia di incendiare il focolaio balcanico

di Giacomo Gabellini Lo scorso 18 marzo, i rappresentanti di Albania, Croazia e Kosovo hanno siglato a Tirana un accordo che sancisce il rafforzamento della cooperazione reciproca in materia di difesa. L’intesa, aperta anche alla Bulgaria, impegna i sottoscrittori a sviluppare capacità di difesa congiunte, sia sul piano industriale che in materia di aumento dell’interoperabilità. […] L'articolo Perché l’accordo di cooperazione tra Albania, Croazia e Kosovo rischia di incendiare il focolaio balcanico proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mag 2, 2025 - 09:42
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Perché l’accordo di cooperazione tra Albania, Croazia e Kosovo rischia di incendiare il focolaio balcanico

di Giacomo Gabellini

Lo scorso 18 marzo, i rappresentanti di Albania, Croazia e Kosovo hanno siglato a Tirana un accordo che sancisce il rafforzamento della cooperazione reciproca in materia di difesa. L’intesa, aperta anche alla Bulgaria, impegna i sottoscrittori a sviluppare capacità di difesa congiunte, sia sul piano industriale che in materia di aumento dell’interoperabilità. L’obiettivo ufficiale consiste nell’elaborare adeguate modalità di reazione alle “minacce ibride”, attraverso il rafforzamento della resilienza strategica e la moltiplicazione degli sforzi a sostegno dell’integrazione della difesa regionale ed euro-atlantica.

L’accordo matura sullo sfondo delle montanti tensioni in Bosnia Erzegovina, minacciata dalle spinte secessioniste che si irradiano dalla Repubblica Srpska; il cui presidente Milorad Dodik è stato colpito, assieme al primo ministro Radovan Višković e al presidente dell’Assemblea Nazionale Nenad Stevandić, da un mandato di arresto spiccato per “condotta anticostituzionale” dovuta alle tendenze separatiste dalla procura statale di Sarajevo. Per tutta risposta, Dodik ha rifiutato di riconoscere la legittimità del tribunale e invocato il sostegno di Mosca per uscire dall’impasse.

Sebbene la situazione politicamente critica non sia degenerata – per il momento – in scontri militari e rappresenti una questione interna alla Bosnia Erzegovina, il ministro della Difesa albanese Pirro Vengu ha dichiarato che i tre Paesi firmatari “considerano le minacce al fragile contesto di sicurezza come una realtà condivisa. In questo contesto, il nostro impegno nello sviluppo delle nostre capacità di difesa è più forte che mai”. Ciononostante, “questa cooperazione non minaccia nessuno”. Difficile sostenerlo, specialmente alla luce delle affermazioni pronunciate sul punto dal ministro della Difesa kosovaro Ejup Maqedonci, il quale ha ventilato una presunta longa manus serba dietro l’attivismo di Dodik, e qualificato l’accordo di cooperazione militare appena raggiunto come “un messaggio rivolto a coloro che intendono minacciare la regione. Manifestiamo coesione e fermezza di fronte e a qualsiasi tentativo di destabilizzazione“.

A dispetto alle assicurazioni verbali fornite dai firmatari, l’accordo di cooperazione assume una valenza smaccatamente ostile alla Serbia, già sottoposta a forti pressioni dall’Unione Europea affinché imponga sanzioni alla Russia e “assediata” dalla Nato, a cui va costantemente avvicinandosi il Kosovo grazie al sostegno di Albania e Croazia, membri attivi dell’organizzazione fin dal 2009. Per ottemperare agli standard Nato, le autorità kosovare stanno da tempo trasformando la forza di sicurezza nazionale in un vero e proprio esercito equipaggiato di tutto punto. Senonché, il riarmo portato avanti da Pristina costituisce una palese violazione della risoluzione 1244 approvata nel 1999 Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che proibisce la permanenza sul suolo kosovaro di qualsiasi forza armata diversa da Kfor (l’apposito contingente Nato).

Allo stesso tempo, il Kosovo è legato alla Serbia da relazioni fortemente conflittuali: l’indipendenza dichiarata unilateralmente da Pristina nel 2008 non è mai stata riconosciuta da Belgrado, che considera la regione kosovara parte integrante del territorio nazionale governata da autorità illegittime responsabili di trattamenti smaccatamente discriminatori nei confronti della minoranza serba – finiti al centro di ricorrenti crisi regionali.

Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha identificato l’accordo di cooperazione siglato tra Tirana, Zagabria e Pristina come una “flagrante violazione dell’accordo subregionale sul controllo degli armamenti del 1996”, destinata a produrre effetti altamente destabilizzanti a livello regionale. Vučić ha quindi aggiunto che “per noi, si tratta di una situazione difficile, ma abbiamo compreso il messaggio, e difenderemo il nostro Paese da ogni potenziale aggressore”. In primo luogo, affinando il programma strategico di potenziamento e modernizzazione delle forze armate. Secondariamente, consolidando la cooperazione militare con l’Ungheria, nel solco di un processo di avvicinamento in corso ormai da anni e formalizzato con un partenariato strategico esteso al settore della difesa.

Il principio di autodeterminazione dei popoli, invocato in passato per estendere le frontiere della Nato e nel caso specifico per istituire una coalizione “difensiva” albanese-croato-kosovara, ha ancora una volta prevalso su quello della “indivisibilità della sicurezza”. Locuzione complessa, ma distillata all’interno dell’Atto Finale di Helsinki del 1975 e intesa sostanzialmente a elevare la sicurezza al rango di diritto inalienabile per ciascun Paese, a prescindere dal tipo di alleanza militare di appartenenza.

Il concetto, rapidamente assurto a principio cardine della dottrina strategica su cui si è fondata la stabilità europea per almeno un quindicennio, è stato sussunto nel documento scaturito da vertice dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) tenutosi nel 1999 a Istanbul, e sviscerato nei seguenti termini: “Ogni Stato partecipante ha un uguale diritto alla sicurezza. Riaffermiamo il diritto intrinseco di ogni Stato partecipante di essere libero di scegliere o cambiare i propri accordi di sicurezza, compresi i trattati di alleanza, man mano che si evolvono. Ogni Stato ha anche il diritto alla neutralità. Ogni Stato partecipante rispetterà i diritti di tutti gli altri a questo riguardo. Non rafforzeranno la loro sicurezza a spese della sicurezza di altri Stati. All’interno dell’Osce nessuno Stato, gruppo di Stati o organizzazione può avere una responsabilità preminente per il mantenimento della pace e della stabilità nell’area dell’Osce o può considerare qualsiasi parte dell’area dell’Osce come propria sfera di influenza”.

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