Perché in Europa siamo passati dall’auto elettrica... al carro armato
L’ultimo comandamento di Ursula Von der Leyen è per l’appunto questo: “Una potenza di fuoco da 800 miliardi” per armare l’Europa contro la minaccia russa. Dove si debba andare a prendere questa montagna di denaro, in un continente già prostrato dalla crisi economica, occupazionale e demografica, fa parte di un piano scritto sulle nuvole. Parte di questi soldi andrebbero presi a debito, un’ulteriore zavorra sulla pelle delle future generazioni. Circa 94 sarebbero poi dirottati dal fondo per la coesione, che in teoria servirebbe a favorire la crescita dei paesi più poveri d’Europa. Ma oggi, la crescita è un optional: ci sono altre priorità. Non più la transizione ecologica, con la quale si baloccavano i membri del Politburo di Bruxelles mentre il mondo s’imbastardiva a loro insaputa. Non più l’emergenza sanitaria, non più gli eurodeliri legati ai vincoli di bilancio, che per anni hanno soffocato la crescita sull’onda dell’ideologia “zero debito”.Adesso, l’imperativo è militare: Von der Leyen, forte di alcun consenso elettorale, preme sull’acceleratore del carro armato, e ancora una volta opinioni dissenzienti non sono ammesse. Come se dall’oggi al domani, con un piano scritto in poche ore, nella penombra dei palazzi della Mitteleuropa, il Vecchio Continente potesse dotarsi di forze armate comuni in grado di difenderne i confini. Proprio così: i confini. Quelli che sono stati snobbati per anni, quando l’Italia, il più delle volte, era la sola a chiedere una forza comune in grado di pattugliarli.Oggi, ammesso che tale “force de frappe” da 800 miliardi possa davvero essere allestita, si aggiungono interrogativi non banali: con quali aziende della difesa dovremmo costruire l’esercito europeo? E chi lo guiderà? Chi farà in modo che i contingenti sparino nella stessa direzione? Il punto è che, mentre nelle sacre stanze comunitarie ci si incaponiva sullo zerovirgola di questo o quel bilancio, l’unità politica europea – che presiede, da sempre, a quella militare – è sempre rimasta un miraggio. Calpestato dai protagonismi sprezzanti delle Merkel, dei Sarkozy, dei Macron: tutta gente per cui l’Europa unita e tale solo se al comando ci sono loro.E pensare che il motto che ha inaugurato, a casa nostra, la guerra in Ucraina, fu “pace o condizionatore”. Oggi ci si prepara alla guerra, e in ogni caso la bolletta del condizionatore è destinata a schizzare all’insù. Con un sospetto sempre più solido: quando i provvedimenti vengono fatti ingurgitare in fretta e furia sul tamburo dell’allarme permanente, di norma qualcuno ci guadagna. Di norma, sempre i soliti.


L’ultimo comandamento di Ursula Von der Leyen è per l’appunto questo: “Una potenza di fuoco da 800 miliardi” per armare l’Europa contro la minaccia russa. Dove si debba andare a prendere questa montagna di denaro, in un continente già prostrato dalla crisi economica, occupazionale e demografica, fa parte di un piano scritto sulle nuvole. Parte di questi soldi andrebbero presi a debito, un’ulteriore zavorra sulla pelle delle future generazioni. Circa 94 sarebbero poi dirottati dal fondo per la coesione, che in teoria servirebbe a favorire la crescita dei paesi più poveri d’Europa. Ma oggi, la crescita è un optional: ci sono altre priorità. Non più la transizione ecologica, con la quale si baloccavano i membri del Politburo di Bruxelles mentre il mondo s’imbastardiva a loro insaputa. Non più l’emergenza sanitaria, non più gli eurodeliri legati ai vincoli di bilancio, che per anni hanno soffocato la crescita sull’onda dell’ideologia “zero debito”.
Adesso, l’imperativo è militare: Von der Leyen, forte di alcun consenso elettorale, preme sull’acceleratore del carro armato, e ancora una volta opinioni dissenzienti non sono ammesse. Come se dall’oggi al domani, con un piano scritto in poche ore, nella penombra dei palazzi della Mitteleuropa, il Vecchio Continente potesse dotarsi di forze armate comuni in grado di difenderne i confini. Proprio così: i confini. Quelli che sono stati snobbati per anni, quando l’Italia, il più delle volte, era la sola a chiedere una forza comune in grado di pattugliarli.
Oggi, ammesso che tale “force de frappe” da 800 miliardi possa davvero essere allestita, si aggiungono interrogativi non banali: con quali aziende della difesa dovremmo costruire l’esercito europeo? E chi lo guiderà? Chi farà in modo che i contingenti sparino nella stessa direzione? Il punto è che, mentre nelle sacre stanze comunitarie ci si incaponiva sullo zerovirgola di questo o quel bilancio, l’unità politica europea – che presiede, da sempre, a quella militare – è sempre rimasta un miraggio. Calpestato dai protagonismi sprezzanti delle Merkel, dei Sarkozy, dei Macron: tutta gente per cui l’Europa unita e tale solo se al comando ci sono loro.
E pensare che il motto che ha inaugurato, a casa nostra, la guerra in Ucraina, fu “pace o condizionatore”. Oggi ci si prepara alla guerra, e in ogni caso la bolletta del condizionatore è destinata a schizzare all’insù. Con un sospetto sempre più solido: quando i provvedimenti vengono fatti ingurgitare in fretta e furia sul tamburo dell’allarme permanente, di norma qualcuno ci guadagna. Di norma, sempre i soliti.