Perché il piano europeo per accogliere i ‘profughi della scienza’ è insufficiente

Mentre l’amministrazione Trump scatena una guerra contro le università statunitensi – tra tagli selvaggi ai finanziamenti, repressione del dissenso e attacchi alla libertà accademica – l’Europa si alza e risponde aprendo le porte a ricercatori e scienziati in fuga. A Parigi, lunedì 5 maggio, durante la conferenza Choose Europe for Science, Emmanuel Macron e Ursula […] L'articolo Perché il piano europeo per accogliere i ‘profughi della scienza’ è insufficiente proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mag 6, 2025 - 14:50
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Perché il piano europeo per accogliere i ‘profughi della scienza’ è insufficiente

Mentre l’amministrazione Trump scatena una guerra contro le università statunitensi – tra tagli selvaggi ai finanziamenti, repressione del dissenso e attacchi alla libertà accademica – l’Europa si alza e risponde aprendo le porte a ricercatori e scienziati in fuga. A Parigi, lunedì 5 maggio, durante la conferenza Choose Europe for Science, Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen hanno presentato il loro piano d’azione: mezzo miliardo di euro (per il triennio 2025-2027) in incentivi finanziari, programmi di “asilo scientifico” e fondi speciali per il trasferimento dei ricercatori. L’European Research Council raddoppierà il budget destinato al trasferimento dei ricercatori nell’Ue, portandolo fino a 2 milioni di euro per candidato. È questa la controffensiva con cui l’Unione europea ambisce a diventare la ‘nuova terra promessa’ della ricerca globale.

Al momento, però, si tratta soltanto di annunci e buoni propositi, utili soprattutto a predisporre mediaticamente l’accoglienza dei nuovi ‘rifugiati della scienza’ – che, a quanto pare, sono anche gli unici rifugiati verso cui le istituzioni e i governi europei mostrano una certa sensibilità.

Ma quanto è concretamente realizzabile l’annuncio trionfale di Macron e von der Leyen? Ben poco, a giudicare dai dati e dallo stato di salute delle istituzioni accademiche e di ricerca europee. Basti pensare che, nel 2023, secondo Eurostat, gli investimenti totali in ricerca in Europa sono stati pari a 381 miliardi di euro, mentre negli Stati Uniti hanno raggiunto i 940 miliardi di dollari e risultano ancora più alti in Cina. Un divario che evidenzia la scarsa capacità immediata delle istituzioni europee di attrarre un numero significativo di progetti e studiosi extraeuropei. Ciò non significa che alcuni di questi non siano interessati a trasferirsi in Europa, ma che mancano – almeno per ora – le condizioni strutturali e finanziarie per rendere operativo su larga scala il progetto Choose Europe for Science.

Anche le cifre mobilitate da alcuni Stati membri dell’Unione, già mesi prima della conferenza di Parigi, confermano questa reale insostenibilità. Il governo francese, ad esempio, aveva già invitato ad aprile gli scienziati statunitensi a “scegliere la Francia”, annunciando un programma di finanziamento da cento milioni di euro per sostenere i trasferimenti; la Germania sta elaborando un piano speciale per attrarre al massimo mille ricercatori; il Regno Unito – che in materia di finanziamenti alla ricerca continua a rimpiangere la Brexit – ha annunciato un programma da cinquanta milioni di sterline per l’accoglienza dei ‘profughi della scienza’. Si tratta, evidentemente, di cifre irrisorie, ben lontane dal poter garantire il trasferimento in Europa di un numero rilevante di studiosi.

Le autorità italiane, infastidite dall’autopromozione francese come ‘terra della libertà scientifica’, sostengono di aver avviato da tempo politiche simili, citando il recente bando da cinquanta milioni di euro e il programma di agevolazioni fiscali per il cosiddetto “rientro dei cervelli”. Quest’ultimo prevede un abbattimento significativo della tassazione (fino al 90%) per docenti e ricercatori provenienti dall’estero, per un periodo ordinario di sei anni – salvo eccezioni in cui la durata può essere prolungata.

Tuttavia, i 50 milioni del bando ministeriale appaiono chiaramente insufficienti, e il programma sul “rientro dei cervelli” è di fatto destinato ai soli studiosi con cittadinanza italiana: non a caso, infatti, in diversi documenti ufficiali si parla di “lavoratori impatriati”. Si tratta quindi di un’operazione con scopi diversi da quelli annunciati lunedì scorso a Parigi. Inoltre, l’esiguità delle risorse messe in campo risulta ancora più evidente se si considera che in molte università italiane i fondi per la ricerca sono in costante calo, così come quelli per il reclutamento di ricercatori e professori.

Resta da vedere cosa seguirà, in concreto, agli annunci dell’Unione europea e dei governi nazionali e, soprattutto, quanti studiosi attualmente negli Stati Uniti saranno realmente disposti a chiedere ‘rifugio scientifico’ in Europa, tenendo conto degli stipendi più bassi, dei finanziamenti spesso a termine, e di un contesto accademico non sempre all’altezza delle promesse in termini di libertà. Basti ricordare, a tal proposito, che diverse università tedesche sono state recentemente accusate di grave censura, razzismo e soppressione della libertà accademica.

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