Peppe Quintale: “Busso alle porte, ma nessuno risponde. Ho fatto quattro volte il provino per Tale e Quale”

Peppe Quintale: "Nel 2001 seguii la Ventura in Rai, ma poco dopo cambiarono i dirigenti e magicamente non feci più nulla. The Voice Senior? Volevo solo rientrare nel giro, non avevo alcuna aspettativa. Era solo una questione di visibilità"

Mar 23, 2025 - 10:00
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Peppe Quintale: “Busso alle porte, ma nessuno risponde. Ho fatto quattro volte il provino per Tale e Quale”

Fuori dalla televisione, non per sua scelta, ma comunque desideroso di guardare avanti e reinventarsi. “Busso alle porte e non risponde nessuno, capita anche con gente che in passato ero stato io ad aiutare. Però va bene così, le mie primavere le ho vissute”. Confessioni di Peppe Quintale, uno che per lo spettacolo nutre una passione fin da ragazzino, quando si divideva tra scuola e parrocchia. “Ho sempre avuto quel tipo di vena artistica, mi piaceva stare al centro dell’attenzione”, confida a TvBlog.

Napoletano di Bagnoli, i primi passi li mosse nei villaggi turistici, dove cominciò ad esibirsi nel 1985. “Sono stato capovillaggio della Valtur per tanto tempo. Fu una palestra importante, perché venni notato da molte persone che iniziarono a propormi le prime cose”.

Nel 1992 ecco la chance a Viva Radio Deejay, assieme a Fiorello e Marco Baldini: “La radio è un mezzo bello e particolare, provavo ad inserirmi dove c’erano contenuti simpatici o comici. Oltre a Radio Deejay, collaboravo infatti con Kiss Kiss”.

Di lì a poco arrivò l’esordio in tv, a Miss Italia nel Mondo, mentre nel 1994 entrò per la prima volta in contatto con Alberto Castagna: “Alberto ha sempre creduto in me. Lo conobbi grazie a Piero Marrazzo, mio amico, che al Tg2 era il suo dirimpettaio di scrivania. Iniziammo a frequentarci e nel momento in cui Mediaset lo chiamò mi portò con sé. Stetti con lui due anni, prima a ‘Sarà vero?’ e in seguito a ‘Casa Castagna’, in occasione di alcune candid”.

Quando nel 2001 tornò in onda con Stranamore la volle di nuovo al suo fianco.

Riappariva dopo la malattia e mi chiese apertamente di fare l’inviato per lui: ‘Avresti davvero il coraggio di rifiutare?’, mi disse. Essendo per natura riconoscente, accettai. Il programma non era propriamente nelle mie corde, lo feci perché non potevo dirgli di no. Mi voleva bene e io ne volevo a lui, era una persona divertente, simpatica e colta. Fui felice di accontentarlo. Ricordo ancora l’emozione che si respirò in studio nella puntata che segnò il suo rientro.

Come arrivò a Le Iene?

Venni notato da Simona Ventura ad un evento che presentavo e mi portò a fare i provini per il programma. In quegli anni, tra l’altro, ero uno dei tre soci del TinaPika, locale romano tempio del cabaret. Lì nacquero, tra gli altri, Gabriele Cirilli ed Enrico Brignano.

L’avvio della trasmissione fu disastroso.

In origine ‘Le Iene’ era un appuntamento pomeridiano e giornaliero. La collocazione era sbagliata e l’inizio fu durissimo. Nessuno di noi sapeva che programma fosse e ricordo ancora la prima riunione con Davide Parenti che si limitò a dirci che avremmo dovuto svolgere delle missioni. Non dovevamo somigliare al ‘Portalettere’ di Chiambretti, né potevamo pestare i piedi a ‘Striscia’.

Ricorda il suo primissimo servizio?

Come no. Andai a Positano ad incontrare i Manhattan Transfer e li convinsi a cantare una canzone napoletana a cappella. Qualche tempo dopo sfidai Sylvester Stallone a braccio di ferro in piazza Navona. Non sapevamo dove andare a parare, sinceramente. Poi, per fortuna, trovammo la nostra identità.

Decisivo fu lo spostamento in seconda serata.

Esatto. Di giorno era difficile, avevamo le luci sparate, le telecamere che si muovevano all’impazzata. All’epoca alle 14 c’era la tv dei ragazzi e il nostro taglio non era idoneo a quella fascia. Furono bravi a tenere botta e a non chiuderci. In seconda serata trovammo la nostra dimensione. Per i primi due anni fui anche conduttore e considero quello il periodo migliore della mia carriera.

Creò la rubrica ‘Le Iene portano bene’.

L’idea mi venne prendendo spunto dalla scaramanzia che vige nel mondo del calcio. Pensai ad un gioco: ‘Se farete queste cose vincerete la partita’. Dato che i giocatori potevano ancora alzarsi la maglia, realizzai questa t-shirt che i calciatori avrebbero dovuto indossare sotto e mostrare dopo il gol. Il disegno fu opera di Martino Clericetti, mio autore di ‘Caccia alla frase’. Avendo molti amici nel calcio, non fu complicato cominciare. Partii dalla Lazio e poi proseguii con tante altre squadre.

Il passaparola fu determinante e la pratica diventò un rituale richiestissimo.

La Lega Calcio ad un certo punto si arrabbiò e fui responsabile della modifica della regola: i calciatori non avrebbero potuto più alzare la maglietta per mostrarne una sotto, altrimenti sarebbero stati ammoniti. La aggirai facendo realizzare la medesima scritta direttamente su pelle. Al Parma tatuai il nostro motto sul petto di Cannavaro e Thuram. Vinsero pure quella volta.

Il tormentone proseguì anche dopo il suo addio al programma.

Sì, lo fecero altri, ma non ebbero i miei stessi risultati. Io totalizzai 17 vittorie su 17, tutte documentate. Al contrario, chi arrivò dopo mandò in onda persino un pareggio, come se avesse lo stesso valore. Purtroppo va così, è accaduto pure con altre mie trovate.

Si riferisce alle interviste interrotte, immagino.

E’ una vita che la gente mi copia. Non voglio fare l’anziano, tuttavia tante cose di cui in seguito hanno beneficiato altri le lanciai io. Devo riconoscere che Pif è stato carino e corretto. Quando una volta lasciate ‘Le Iene’ lo intervistarono ammise: ‘Adesso capisco cosa provava Quintale nel vedere cose mie che in realtà erano sue’. La verità è che in queste situazioni i diritti d’autore non esistono.

Nota dei punti di contatto tra il programma di allora e quello che va in onda ancora oggi?

Assolutamente no. Due anni fa rientrai nel cast per un paio di mesi. Fu complicato. Pensai che volessero leggerezza, invece trovai una trasmissione cambiata, dominata dalle inchieste. Lavorai a due servizi, ma ne trasmisero solo uno.

Racconti.

Cassano aveva detto che Maradona al Napoli aveva vinto lo scudetto con una squadra di scappati di casa. Scoppiò una bufera e ci feci un servizio che mandarono regolarmente. Nessuno invece vide mai quello che confezionai con Haaland.

Come mai?

Non lo so e non intendo valutarne i motivi. A mio avviso era un servizio divertentissimo che nacque dopo che l’attaccante del Manchester City aveva confidato a una tv inglese che il rigore della sua vita lo avrebbe fatto calciare a Balotelli. Mi sembrò una dichiarazione curiosa, quindi mi recai da Mario, che ai tempi stava in Svizzera, per informarlo e fargli firmare il pallone con cui avrebbe tirato il penalty. Poi volai in Inghilterra da Haaland. Prima gli elencai tutte le ‘balotellate’ e in seguito gli chiesi se fosse ugualmente convinto della sua scelta. Alla sua risposta affermativa gli consegnai il pallone autografato.

Dopo questo smacco decise di mollare.

Preferii lasciare e ringraziai senza sbattere la porta. Non era lo stesso contesto che avevo salutato vent’anni prima. Non discuto se fosse migliore o peggiore, ma era un altro programma. Di quel lavoro mi rimborsarono il viaggio, perché il servizio ti viene pagato solo se viene trasmesso.

Prima citava Caccia alla frase. Un’avventura durata troppo poco.

Fu un’esperienza bellissima. Purtroppo mi ritrovai in mezzo ad un conflitto tra Fatma Ruffini e Giorgio Gori. La prima aveva imposto il programma, che però non piaceva al direttore di Italia 1. Andai addirittura in Spagna a registrare la puntata zero. Se mi mettevo la cravatta non piacevo a Gori, se mi presentavo in maglietta era Fatma a non essere d’accordo. Partivamo subito dopo ‘Fatti e Misfatti’. Ci lasciavano la linea con la curva all’1% di share e la davo a ‘Lupin’ al 9. Chiusero il gioco dopo sei mesi, sono convinto che se lo avessero fatto slittare di mezz’ora sarebbe stata tutta un’altra storia. Alle 13 molti ragazzi erano ancora a scuola. Purtroppo fui vittima di una questione interna.

Tra i concorrenti ospitò un giovanissimo e sconosciuto Tiziano Ferro.

Venne come concorrente, mi informarono che era simpatico, ma molto timido. Lo feci cantare a cappella durante la puntata. Ne ho scoperte tante di persone e molte di loro hanno la memoria corta. Non mi riferisco a Tiziano, ci mancherebbe. Ho imparato a mie spese che non devi fare del bene se non sei pronto alla totale irriconoscenza del beneficiato. Purtroppo indietro non si può tornare, altrimenti col cacchio che avrei aiutato certa gente.

Ha all’attivo anche un film. Si può vantare di aver recitato al fianco di Diego Armando Maradona.

Mi contattò il produttore per ‘Tifosi’. Volevano proprio me per quella parte, in virtù del mio successo televisivo dell’epoca. Diego fu immenso. Era tranquillo, umile, disponibile. Girammo per tre settimane a Roma; farlo a Napoli sarebbe stato oggettivamente impossibile. E’ stata una delle più grandi gioie della mia vita.

Nel 2001 mollò Mediaset per la Rai. La definì la sua ‘sliding doors’.

Passai in Rai per seguire Simona (Ventura, ndr) a ‘Quelli che il calcio’. Freccero era innamorato di me, mi aveva promesso mari e monti. Stando alle sue parole, avrei avuto anche una prima serata e la conduzione di un game quotidiano. Ma poco dopo aver iniziato cambiarono i dirigenti e magicamente non feci più nulla. Mi pagarono regolarmente, ma per fare solo ‘Quelli che il calcio’. Roba di cinque minuti a domenica, in collegamento. Fu frustrante. A Mediaset non potevo più tornare e in Rai avevo le porte sbarrate.

Si riscattò con la direzione artistica di La3.

Era la tv sui cellulari di 3 Italia che, successivamente, approdò anche sul digitale terrestre e la piattaforma Sky. Fu una fase felice perché mi consentì di esprimermi su tanti livelli. Producemmo il primissimo programma di Selvaggia Lucarelli, ‘Stanza Selvaggia’, ma scommettemmo anche su Francesca Barra, Andrea Scanzi, i The Jackal e i The Pills. Pur essendo una piccola realtà, fummo dei precursori.

Come mai nel 2008 accettò L’Isola dei famosi?

Volevo osservare i reality da dentro. Nelle tre ore di diretta andava tutto bene, poi per il resto della settimana la tua sorte dipendeva dalla scelta dei montatori. C’erano storie che salivano e altre che scendevano. Se in puntata notavi che di tutto quello che avevi fatto in sette giorni non c’era traccia, capivi che le tue storie non piacevano. Di me misero in risalto solamente il bellissimo rapporto che avevo instaurato con Alessandro Feliù, un bravissimo ragazzo napoletano che tutt’oggi sento.

Ho letto che ha vissuto in Francia, dove è stato allevatore di cavalli da corsa.

Mi relazionavo meglio con gli animali piuttosto che con gli esseri umani e per questo motivo mi sono trasferito in Normandia. Là ho corso gare importanti, togliendomi enormi soddisfazioni. Mi sono divertito un casino, soprattutto nell’attribuire ai cavalli dei nomi bizzarri. Uno, ad esempio, l’ho chiamato Salutamasoreta nell’ambito di una Maiden a Wolverhampton. Non ho resistito alla tentazione di sentire lo speaker che lo annunciava (ride, ndr).

Due anni fa l’abbiamo rivista a The Voice Senior. Cosa l’ha spinta a fare domanda?

Venivo da quattro anni di merda, per via di vicissitudini personali negative aggravate dal covid. Mi sono ricostruito pezzo per pezzo. Dopo la trasferta francese, dovevo ripartire. Ringrazio Antonella Clerici perché è stata squisita con me.

Superò le Blind, ma venne eliminato nella fase dei Knock Out. 

Poco male. Volevo solo rientrare nel giro, non avevo alcuna aspettativa. Era solo una questione di visibilità. I concorrenti di ‘The Voice Senior’ sono di contorno allo show, i veri protagonisti sono la conduttrice e i giudici. Se ti chiedessi di dirmi chi ha vinto la passata edizione o quella di due anni fa non sapresti rispondermi. Le storie sono bellissime, ma tutto si esaurisce lì.

Le piacerebbe tornare in tv?

Se oggi non appartieni a certi carrozzoni, sei fuori. La televisione si alimenta di televisione e purtroppo viviamo nel perenne equivoco dei followers che sono uguali ai viewers.

Mi conferma che la scorsa estate ha effettuato i provini per Tale e Quale Show?

Lo confermo e ti dico pure che sono quattro anni che li svolgo. Ogni volta sembra certa la mia presenza nel cast, ma poi non entro mai. Nel 2024 mi hanno ricontattato. ‘Guardate che ne ho già fatti diversi, di materiale ne avete’, ho provato a spiegare. Hanno insistito e, nonostante fossi ad Ostuni, mi sono recato a Roma. Risultato? Non mi hanno preso. Ma mi piacerebbe far parte del cast.

Attualmente di cosa si occupa?

Partecipo a convention ed incontri nei quali si affrontano temi economici e aspetti legati agli investimenti. I miei interventi servono ad alleggerire e a dissacrare. Contemporaneamente, sono in procinto di inaugurare la ‘Bottega Saffi’, ristorante e laboratorio di Cabaret a Milano. Ricoprirò il ruolo di direttore artistico.