Perché abbiamo così paura di provare a capire gli adolescenti?
Una doverosa precisazione: le ultime generazioni, la Z e l’Alfa, stanno vivendo un’adolescenza profondamente diversa da quella dei loro predecessori, in un periodo storico che è inevitabilmente influenzato dalla tecnologia, dalla globalizzazione, da un panorama mediatico sempre più vasto e, nel bene o nel male, stimolante. È esattamente quello che provano a raccontare serie come […] The post Perché abbiamo così paura di provare a capire gli adolescenti? appeared first on The Wom.


Una doverosa precisazione: le ultime generazioni, la Z e l’Alfa, stanno vivendo un’adolescenza profondamente diversa da quella dei loro predecessori, in un periodo storico che è inevitabilmente influenzato dalla tecnologia, dalla globalizzazione, da un panorama mediatico sempre più vasto e, nel bene o nel male, stimolante. È esattamente quello che provano a raccontare serie come Adolescence, ultima uscita Netflix e ormai fenomeno globale, nonché voce di riferimento per raccontare la molteplicità delle esperienze adolescenziali e le difficoltà che comporta affrontarle.
Ma pur riuscendo a fare luce su molte sfaccettature della giovinezza, non sempre queste narrazioni riescono a tradursi in un cambiamento reale nella percezione degli adulti verso i giovani

L’adolescenza di oggi? Poco superficiale
Se provare a dipingere un quadro crudo e realistico di una generazione che naviga l’incertezza del mondo moderno è fondamentale per sentirsi rappresentati, l’esplicitazione del disorientamento e del disagio adolescenziale risultano spesso respingenti per le persone adulte, che troppo spesso rinunciano a mettersi in dubbio, al suon del più classico “Ai miei tempi tutti questi problemi non ce li facevamo”.
Invece, i temi trattati attraverso lo schermo raccontano di giovani generazioni che si pongono finalmente delle domande, che non hanno paura di affrontare argomenti difficili come la salute mentale, l’identità di genere e l’orientamento sessuale, il rapporto con il proprio corpo. Insomma, le ultime uscite nei cinema e sulle piattaforme di streaming ci dicono che sono tutto meno che “giovani superficiali”. Proprio in virtù di questo, uno degli aspetti su cui Adolescence vuole attenzionare il pubblico, attraverso la trama e le scelte di regia, è una sorta di “indifferenza adulta”. In altre parole il rischio che corriamo, continuando ad ignorare passivamente quello che succede agli adolescenti e le sfide che affrontano quotidianamente, è di non riuscire a leggere per tempo i campanelli d’allarme talvolta celati nei loro comportamenti, rendendo necessari gesti estremi per comprendere la sofferenza che si cela dietro un sorriso.
Anche per questo, numerosi nuovi prodotti mediali tentano di problematizzare la tendenza ad ignorare le voci delle nuove generazioni in ogni ambito al punto da raccontarle come “capricci di una generazione fragile”. In una società sempre più individualista, dove la cura per l’altro sembra ridursi a un atto di compassione distante, forse abbiamo bisogno di rappresentazioni che, di tanto in tanto, provino a darci una svegliata.
Iperconnessi, anche con la propria interiorità
Facciamo un esperimento: chiediamo ad un software di intelligenza artificiale di produrre un’immagine che raffiguri una persona adolescente del 2025. Questo è ciò che otteniamo: un ragazzino che maneggia accessori tecnologici tipici di questa epoca, immagine che contribuisce di fatto a plasmare l’immaginario stereotipato di adolescenti distratti e in balia di cambiamenti su cui non hanno potere.
Ma essere parte di una generazione iperconnessa non inficia la capacità di trattare temi complessi come l’identità sessuale, l’emarginazione e l’autoaccettazione (che le generazioni precedenti hanno ignorato in nome di problemi “più importanti”). Anzi, conferisce la grande opportunità di farlo usando nuovi linguaggi, avvalendosi talvolta di una delicatezza che non sacrifica la verità della giovinezza. Gli e le adolescenti di oggi maneggiano nuovi strumenti per decifrare problemi di rilevanza sociale come conflitti e discriminazioni, aprendosi a nuove narrazioni che fino a qualche anno fa non erano contemplate.
Una nuova consapevolezza degli stereotipi di genere
Anche i problemi relativi agli stereotipi di genere trovano una nuova analisi tra giovani adolescenti, che non solo allo specchio osservano i loro corpi cambiare, ma devono fare i conti con uno sguardo sociale e mediatico che oggettivizza i corpi – alcuni più di altri – imponendo standard di bellezza impossibili e creando una pressione costante su di loro.
È quello che ha provato recentemente a raccontare sui suoi canali social la giovane attrice Millie Bobby Brown a seguito dei continui attacchi dei giornalisti sul suo aspetto e la sua estetica, ed è quello cercano di raccontare sempre più film e serie TV. Le protagoniste adolescenti sono spesso ritratte alle prese con il cambiamento del corpo e la difficoltà di trovare una precisa identità, e questo processo è accompagnato da un’incessante riflessione sull’apparenza. La cura dell’aspetto, il confronto con l’ideale di bellezza proposto dai media e il giudizio altrui diventano il centro delle narrazioni proprio perchè, nella vita reale, i corpi femminili sono osservati e, spesso, ridotti a una mera superficie da scrutinare, che subisce sia lo sguardo maschile sia una critica sociale che decide come è giusto cambiare e come, invece non è ammesso farlo. Ecco, questo le adolescenti lo sanno, se ne sono accorte e ora ce lo fanno notare.
Come persone adulte dovremmo prenderci carico di questo disagio e provare a produrre una risposta che sia origine di un cambiamento culturale
Il rapporto (complesso) con la società adulta
Il rischio è che i temi affrontati nelle serie o nei film restino confinati nella dimensione dello spettacolo e dell’intrattenimento, senza riuscire a generare un effetto educativo duraturo. I giovani, infatti, sono sempre più abituati a confrontarsi con contenuti che parlano direttamente a loro, ma la società adulta non sempre è in grado di vedere attraverso gli occhi di un adolescente, pur avendo esperienza diretta di quella complicata fase. La difficoltà di creare una connessione autentica tra le generazioni resta un grande problema: mentre i giovani sono sempre più interconnessi, spesso con una forte consapevolezza delle proprie identità e dei propri diritti, gli adulti sono intrappolati in un sistema che non promuove il dialogo intergenerazionale, ma che anzi rafforza i bias con cui sono cresciuti. I film e le serie TV sembrano essere sempre più il terreno su cui si gioca una battaglia di rappresentazione, ma il loro impatto reale sulla società resta un’incognita.
L’adolescenza non può più essere vista solo come una fase di transizione verso l’età adulta e di conflitto con i genitori, ma come un periodo che merita attenzione, ascolto e cura
Se è vero che le generazioni Z e Alpha stanno affrontando il loro percorso di crescita con maggiore consapevolezza, è anche vero che la società adulta deve fare un passo indietro e saper ascoltare, con attenzione e apertura, senza pretendere di essere una guida. Solo così daremo valore alla parola “comunità” e potremo sperare di costruire una società che non solo riconosce le difficoltà delle nuove generazioni, ma che è pronta a farne un’opportunità di crescita comune.
La vera sfida non sta solo nel riconoscere i problemi, ma nell’avere il coraggio di fare il passo successivo: comprendere veramente e agire di conseguenza.
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