Papa Francesco, i nemici e le gerarchie. Così tentò di cambiare la Chiesa

Le scelte controcorrente, dall’Eucarestia ai divorziati risposati fino alla benedizione ai partner omosessuali. Donne in ruoli chiave, cosa mai accaduta. Ma la riorganizzazione delle nomine ora rischia di essere fermata

Apr 22, 2025 - 04:46
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Papa Francesco, i nemici e le gerarchie. Così tentò di cambiare la Chiesa

Città del Vaticano, 22 aprile 2025 – Più amato fuori dalla Chiesa che al suo interno. Papa Francesco è stato senz’altro apprezzato dalle persone in ricerca, che ne hanno riconosciuto un autentico spirito di dialogo, meno da quei cattolici praticanti solerti nell’imputargli una certa enfasi su temi sociali. Poco spazio alla riflessione su peccato, valori non negoziabili, purgatorio, inferno, troppa denuncia della crisi climatica o della globalizzazione dell’indifferenza sul dramma dei migranti. E ancora, da rivedere per taluni cristiani il suo appello per la pace senza se e senza ma: oltre ogni velleità nazionalistica, sul dossier Ucraina, anche a costo di tensioni interreligiose con gli ebrei dopo la sua sortita sul genocidio a Gaza.

Papa Francesco nei migliori scatti dell'ANSA
Papa Francesco durante l'udienza generale in piazza San Pietro. Vaticano 22 aprile 2015. ANSA/ANGELO CARCONI

Proprio il tratto politico ha contribuito ulteriormente ad alienare a Bergoglio le simpatie di chi, in seno al popolo di Dio, ne ha sofferto il piglio riformatore più che rivoluzionario, considerando che la dottrina non è stata intaccata, fatto salvo per il bando totale della pena di morte. La concessione dell’Eucarestia ai divorziati risposati, da discernere caso per caso, la benedizione ai partner gay, la sinodalità come paradigma dell’azione della Chiesa, l’apertura dei vertici vaticani e del Sinodo dei vescovi ai laici, anche alle donne, al pari dell’avvio di un confronto tormentato sul diaconato femminile hanno finito per isolare il Pontefice. Sanguigno, capace di sonore lavate di testa ai collaboratori, ma anche in grado d’inattesi attestati di scusa. C’è una foto di Bergoglio in Aula Paolo VI, seduto nelle prime file vuote con alle spalle vescovi e cardinali a debita distanza, che racconta meglio di tante parole la sua solitudine dentro il Palazzo apostolico. Non è stato forse il cardinale Raymond Burke a capeggiare la fronda dei dubia sulla riforma della pastorale famigliare? Non fu il prefetto emerito dell’ex Sant’Uffizio, Gerhard Ludwig Müller, a contestarne pubblicamente la debolezza teologica? E che dire dell’ex ministro della Liturgia, il cardinale Robert Sarah, che pubblicò un libro esplosivo, con tanto di contributo del Papa emerito Joseph Ratzinger, per perorare la causa del celibato dei preti, quando sembrava a un passo l’accesso al presbiterato di uomini sposati, almeno in Amazzonia?

La riforma della Curia romana, Praedicate Evangelium, ha senz’altro contribuito ad allargare le distanze fra il Papa preso dalla fine del mondo e il partito romano. Bergoglio ha depotenziato i dicasteri vaticani, ponendoli a servizio, oltre che del Papa, delle Chiese particolari e non più viceversa. Ha promosso delle donne, suor Simona Brambilla e suor Raffaella Petrini, rispettivamente nel ruolo di prefetto del dicastero per gli Istituti religiosi e di governatrice della Città del Vaticano. Non era mai accaduto. Al timone del dicastero per le Comunicazioni è stato inserito un laico, Paolo Ruffini, un’altra novità in un ambiente clericale come la Curia.Addio a Papa Francesco: voleva una Chiesa come un ospedale da campo

Anche sullo scacchiere internazionale il peso del Palazzo apostolico è stato ridimensionato. Paradigmatica a riguardo fu la scelta di Francesco di affidare la missione umanitaria e di moral suasion per addivenire ad una pace fra Kiev e Mosca al cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana. Il fatto che nelle ultime settimane la Segreteria di Stato, retta dal cardinale Pietro Parolin, abbia ripreso in mano la gestione dei dossier sulla guerra ad Est e sui rapporti tormentati con la presidenza Trump è stata non solo l’inevitabile conseguenza della malattia di Francesco. S’indovina fra le righe anche il segno di un’urgenza romana di tornare il prima possibile a un linguaggio felpato, distensivo, più rassicurante, tipico della diplomazia d’Oltretevere.

Le riforme di Bergoglio sulle nomine in Santa Sede rischiano di essere azzoppate. Sono espressioni di un Papa illuminato ma che ha agito nel solco di una monarchia assoluta quale è la Chiesa. Non sono strutturali, non si è messo mano completamente al diritto canonico. Anche se l’ufficio in Curia, a norma di Praedicate Evangelium, dipende dal mandato ricevuto dal Papa e non d’altro, per il Codice di diritto canonico la potestà di governo resta ancorata al solo potere sacerdotale. Una contraddizione che si somma al fatto che i cardinali, tradizionalmente a capo dei dicasteri, possono essere solo uomini, almeno vescovi. Va da sé che il successore di Francesco potrebbe tornare indietro, se non del tutto, di sicuro a colpi di diritto.