Paghe in Italia: un disastro dal 2008, con un lieve miglioramento nel 2024. L’Europa ci ha protetto?
Un rapporto dell'ILO mostra come le paghe in Italia siano dell'8,7% inferiori rispetto al 2008, e come il calo sia stato sempre presente dal 2010, anche se si è accentuato post covid a causa dell'inflazione L'articolo Paghe in Italia: un disastro dal 2008, con un lieve miglioramento nel 2024. L’Europa ci ha protetto? proviene da Scenari Economici.


Un recente rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) dipinge un quadro complesso per quanto riguarda i salari reali in Italia.
Sebbene il 2024 abbia segnato una crescita del 2,3%, questo aumento non è sufficiente a compensare le perdite significative accumulate negli anni precedenti, lasciando i salari reali italiani ben al di sotto dei livelli del 2008.
Un declino persistente dal 2008
Secondo il “Rapporto mondiale sui salari” dell’OIL, i salari reali in Italia sono ancora inferiori di un significativo 8,7% rispetto a quelli del 2008.
Questo dato colloca l’Italia all’ultimo posto tra i paesi del G20 per quanto riguarda la dinamica salariale nel lungo periodo. Giulia De Lazzari, specialista sulle politiche salariali dell’OIL, sottolinea come l’Italia si distingua negativamente per questa persistente erosione del potere d’acquisto dei lavoratori.
Timida ripresa nel 2024 dopo anni difficili
Dopo le marcate contrazioni registrate nel 2022 (-3,3%) e nel 2023 (-3,2%) a causa dell’impennata dell’inflazione, il 2024 ha visto un’inversione di tendenza con una crescita dei salari reali del 2,3%. Tuttavia, come evidenziato nel rapporto, questa crescita non è stata sufficiente a colmare il divario creato dall’alta inflazione, lasciando i lavoratori con un potere d’acquisto inferiore del 7,9% rispetto alla fase pre-Covid (gennaio 2025).
Comunque è eidente che dal 2008, dalla grande crisi finanziario, o , per essere precisi, dalla crisi del debito del 2011, i lavoratori italiani hanno visto erodere le proprie remunerazioni. Eppure il governo ha fatto le riforme che voleva la UE, ha contenuto le spese, ha alzato l’etapensionabile, ha venduto tutto o quasi. Sono stati creati ben due governi tecnici eterodiretti, Monti e Draghi, che dovevano garantire la tutela dell’economia e dei lavoratori. Eppure tutto questo non sembra essere servito.
L’inflazione penalizza soprattutto i lavoratori a basso reddito
L’impatto dell’inflazione si è fatto sentire in modo particolare sui lavoratori a basso reddito. Questi, spendendo una porzione maggiore del loro salario per beni e servizi essenziali come alloggio, energia e alimentari, hanno subito una perdita di potere d’acquisto più consistente rispetto ad altre fasce di lavoratori.
L’OIL evidenzia come un adeguamento salariale basato unicamente sull’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC) generale, le cui variazioni sono state meno accentuate rispetto agli indici specifici per i beni di prima necessità, non sia sufficiente a proteggere il potere d’acquisto di questi lavoratori.
Comunque l’inflazione è intervenuta in una situazione in cui la dinamica salariale era già drammatica. Inoltre il boom dei prezzi, legato alla crescita di quelli energetici, è stato anche figlio di scelte politiche sbagliate, da ll’imposizione del green al “Condizionatore o pace”.
Divario di genere e situazione dei lavoratori migranti
Il rapporto dell’OIL offre anche spunti interessanti sul divario salariale di genere in Italia. Se si considera la media oraria, il divario si attesta al 9,3%, uno dei più bassi nell’Unione Europea. Tuttavia, se si guarda al salario complessivo, il divario aumenta, poiché in media le donne lavorano un numero inferiore di ore. Nel 2006, questo divario era del 10,2%. Un’altra disparità significativa riguarda i lavoratori migranti dipendenti, che guadagnano in media il 26,3% in meno rispetto ai lavoratori nazionali.
La contrattazione collettiva non ha funzionato
In Italia i salari vengono definiti attraverso la contrattazione collettiva. L’OIL rileva che le retribuzioni orarie nominali, calcolate su una media dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) negli ultimi 10 anni, sono aumentate del 15%.
Tuttavia, in termini reali, queste retribuzioni hanno subito una perdita del 5%, traducendosi in un calo del potere d’acquisto per i lavoratori. Appare quindi evidente che la contrattazione collettiva non ha funzionato e che i sindacati non sono stati in grado di tutelare il benessere dei lavoratori, sia per mancanze proprie sia per un’economia che non ha garantito una domanda di lavoro sufficiente,
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