Oltre duemila sul ’Golgota’. Brividi alla Via Crucis aretina
Folla senza precedenti: le candele illuminano il percorso fino alla Fortezza. Crocifisso ’sepolto’ nelle gallerie. "Occhi aperti su chi soffre in silenzio".

"La nostra Via Crucis si muove tra le tante Vie Crucis della nostra città". Andrea Migliavacca se ne inventa una tutta nuova che conquista la gente. L’indice di gradimento è palpabile: oltre duemila fedeli si presentano all’appuntamento in Cattedrale. E soprattutto seguono il vescovo fino in cima alla Fortezza, sul Golgota aretino, tetto del centro. Non è caldo e le fiaccole non bastano a restituire la primavera sfiorata e subito perduta. Però il calore dell’evento affascina le persone. Il percorso parte dal portone del Duomo e si snoda nel cuore del Prato: i lumini segnano il cammino come fossero luci sulla pista dell’aeroporto. Il vescovo guida la processione, seguito passo passo dal suo vicario don Alessandro Conti, la croce di legno risale gli scalini che dividono il parco dalla chiesa e poi si immergono nell’ovale verde più famoso di Arezzo. E perfino la statua del Petrarca illuminata di notte e sfiorata dalle torce fa la sua bella figura. Il vescovo cerca la sostanza e non l’effetto: ma alla fine trova tutti e due. L’effetto è notevole, grazie alla bellezza della parte alta della città. La sostanza la affida ad un intervento finale che è forse il più incisivo della sua ancora non lunghissima esperienza aretina. Invita ad aprire gli occhi, a scovare le vie crucis invisibili di chi soffre nel silenzio. Esorta a non dimenticare quelli che si sentono dimenticati "per motivi politici, di religione o per orientamento sessuale".
Il freddo sale, Migliavacca dà gas sui punti che gli stanno più cari. Spezza una lancia per i detenuti del carcere, per i più deboli, per chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese, per chi è solo. Lo fa all’inizio di una delle scale che conducono nelle gallerie sotto la Fortezza. Lui non era nato, ma su quei percorsi 80 anni fa tanti aretini trovarono rifugio durante la guerra. E lo splendido recupero della rocca, completato sotto la giunta Fanfani e poi rifinito dal suo successore, ha restituito spazi imprevedibili. La processione è scandita dai canti dei neocatecumenali, dall’entusiasmo degli scout: e scorre in un pannello tutto contemporaneo. Un "quarto stato" in salsa aretina: c’è chi prega, c’è chi controlla il cellulare, chi si tiene per mano e c’è anche chi si bacia alla luce delle fiaccole. Fino alla porta, fino all’albero di tante generazioni, che oggi come ieri sembra piegarsi per far salire i bambini. Dopo il percorso che dal Prato riporta alla luce delle stelle in Fortezza, il Cristo viene velato: un crocifisso della Pieve, don Alvaro Bardelli lo cura come se fosse Giuseppe di Arimatea, l’uomo che raccoglie per le scritture il corpo di Gesù, e poi lo scorta fino alla galleria. Una discesa nel sepolcro, la croce resta in fondo, osservata dall’alto, mentre il vescovo continua la sua catechesi, pasquale ma non solo. "La Via Crucis nella città, ma ce ne sono tante in città: non solo il venerdì santo ma tutti i giorni dell’anno". Un incubo? No, una luce. "C’è una speranza: se è Via Crucis c’è anche Cristo che ci aiuta, ci porta la croce, cammina con noi". La sicurezza della fede, che come in tante pagine della storia aretina viene declinata anche in chiave laica: nessuno rinuncia a se stesso, ai propri dubbi, alle proprie fragilità, però è lì. Un appuntamento saltato un anno fa e saggiamente rimesso in calendario. "La Via Crucis ci ricorda che la meta è l’alba della Pasqua". Nessuno la aspetta in Fortezza, è troppo freddo. Ma forse qualcuno stamani se ne ricorderà.
Lucia Bigozzi