Non indovineresti mai a cosa si dedicava uno dei figli di Mussolini

Romano Mussolini, quarto figlio del dittatore italiano Benito Mussolini e di sua moglie Rachele Guidi, era il più singolare e indipendente di tutti i suoi fratelli. Si potrebbe pensare che avrebbe voluto passare inosservato dopo l'esecuzione del padre o che, al contrario, avesse cercato di seguire le sue orme e dedicarsi alla politica, ma la verità è che non fece né l'una né l'altra cosa, bensì optò per una vita completamente diversa e insolita per il figlio di un dittatore: il jazz.Nato nel 1927, fin da giovane Romano mostrò interesse per l'arte, in particolare per la musica. Si formò come pianista classico, ma ben presto si dedicò al jazz, un genere che ironicamente era visto con sospetto dal regime fascista, poiché associato a influenze straniere e “degenerate”. Sebbene non vi siano prove che suo padre si opponesse alla sua vocazione artistica, probabilmente non vedeva di buon occhio questa sua preferenza: il figlio del Duce che suonava “musica nera”?Dopo la caduta del regime, Romano Mussolini iniziò a suonare professionalmente. Con lo pseudonimo di Romano Full riuscì a evitare il peso del suo cognome e, non essendo una figura controversa come altri discendenti del dittatore, ottenne l'accettazione del pubblico e della critica e raggiunse un notevole successo come pianista negli anni '50 e '60: suonò con alcuni dei musicisti jazz più famosi dell'Italia dell'epoca, pubblicò diversi dischi e ottenne una notevole visibilità pubblica componendo musica per il cinema e partecipando a festival.Sebbene non fosse un musicista di grande fama internazionale, Romano riuscì a costruirsi una solida carriera artistica e arrivò a tenere diversi concerti in Europa e in America. Il suo stile jazzistico melodico ed elegante si mescolava al gusto per la sperimentazione, mescolando stili diversi, dallo swing a tocchi di canzone napoletana. Pur non essendo una superstar, riuscì a ottenere qualcosa che di per sé era già un merito nell'Italia divisa del dopoguerra: non lasciarsi influenzare dalla sua genealogia.

Mag 5, 2025 - 13:16
 0
Non indovineresti mai a cosa si dedicava uno dei figli di Mussolini

Romano Mussolini, quarto figlio del dittatore italiano Benito Mussolini e di sua moglie Rachele Guidi, era il più singolare e indipendente di tutti i suoi fratelli. Si potrebbe pensare che avrebbe voluto passare inosservato dopo l'esecuzione del padre o che, al contrario, avesse cercato di seguire le sue orme e dedicarsi alla politica, ma la verità è che non fece né l'una né l'altra cosa, bensì optò per una vita completamente diversa e insolita per il figlio di un dittatore: il jazz.

Nato nel 1927, fin da giovane Romano mostrò interesse per l'arte, in particolare per la musica. Si formò come pianista classico, ma ben presto si dedicò al jazz, un genere che ironicamente era visto con sospetto dal regime fascista, poiché associato a influenze straniere e “degenerate”. Sebbene non vi siano prove che suo padre si opponesse alla sua vocazione artistica, probabilmente non vedeva di buon occhio questa sua preferenza: il figlio del Duce che suonava “musica nera”?

Dopo la caduta del regime, Romano Mussolini iniziò a suonare professionalmente. Con lo pseudonimo di Romano Full riuscì a evitare il peso del suo cognome e, non essendo una figura controversa come altri discendenti del dittatore, ottenne l'accettazione del pubblico e della critica e raggiunse un notevole successo come pianista negli anni '50 e '60: suonò con alcuni dei musicisti jazz più famosi dell'Italia dell'epoca, pubblicò diversi dischi e ottenne una notevole visibilità pubblica componendo musica per il cinema e partecipando a festival.

Sebbene non fosse un musicista di grande fama internazionale, Romano riuscì a costruirsi una solida carriera artistica e arrivò a tenere diversi concerti in Europa e in America. Il suo stile jazzistico melodico ed elegante si mescolava al gusto per la sperimentazione, mescolando stili diversi, dallo swing a tocchi di canzone napoletana. Pur non essendo una superstar, riuscì a ottenere qualcosa che di per sé era già un merito nell'Italia divisa del dopoguerra: non lasciarsi influenzare dalla sua genealogia.