“Non ci fu mai prova che Emanuela Orlandi fosse in vita”: così l’ex poliziotto della Digos Lodano Marchionne alla Commissione parlamentare di inchiesta

Su Emanuela Orlandi dopo il rapimento “non si ebbe mai prova dell’esistenza in vita della ragazza”. Lo ha ribadito ieri anche Lidano Marchionne, ex commissario capo della Polizia di Stato, in servizio presso la Digos di Roma, davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta che indaga sul mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana […] L'articolo “Non ci fu mai prova che Emanuela Orlandi fosse in vita”: così l’ex poliziotto della Digos Lodano Marchionne alla Commissione parlamentare di inchiesta proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mag 1, 2025 - 10:46
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“Non ci fu mai prova che Emanuela Orlandi fosse in vita”: così l’ex poliziotto della Digos Lodano Marchionne alla Commissione parlamentare di inchiesta

Su Emanuela Orlandi dopo il rapimento “non si ebbe mai prova dell’esistenza in vita della ragazza”. Lo ha ribadito ieri anche Lidano Marchionne, ex commissario capo della Polizia di Stato, in servizio presso la Digos di Roma, davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta che indaga sul mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana di cui non si hanno notizie dal 22 giugno del 1983. In particolare Marchionne era concentrato all’epoca sulla pista dei Lupi Grigi a cui apparteneva anche Agca, l’ex terrorista che sparò a Papa Woytjla nel 1981 in Piazza San Pietro. Uno dei primi gruppi che rivendicò il sequestro della ragazza, lo ricordiamo, ne propose il rilascio in cambio dell’attentatore del Papa.

La pista dei Lupi grigi – “Lo stesso Ali Agca, all’epoca detenuto in esecuzione pena, in qualche modo si dissociò da questa richiesta di sua liberazione. Si arrivò alla scadenza dell’ultimatum e non furono avviate iniziative per la liberazione concreta di Ali Agca e non fu acquisito alcun elemento che potesse sostenere che la ragazza fosse viva”, ha ricordato Marchionne.”Mi colpì il fatto che l’intervento di un’associazione vicina all’attentatore del Papa e che ne chiedeva la liberazione – ha osservato Marchionne – venne fatto dopo che il Papa, nella recita dell’Angelus, aveva fatto cenno alla scomparsa della ragazza e stimolato la buona volontà di coloro che avevano responsabilità nella gestione di quel caso”. Il primo appello del Papa durante durante l’Angelus fu fatto il 3 luglio del 1983 e ne seguirono altri sette.

“Fino a quel momento i contatti erano stimolati dalla diffusione dei manifesti fatti dalla famiglia, erano passati direttamente sui familiari di Orlandi ai telefoni che avevano indicato come recapito e i messaggi erano sostanzialmente dettati dall’intento di tranquillizzare la famiglia – ha proseguito l’ex commissario -, tendevano a dare credito all’ipotesi che si fosse in presenza di un allontanamento volontario della ragazza. Poi, dopo l’intervento del Papa all’Angelus, ci fu una telefonata di una persona che richiamò nel contenuto queste telefonate che erano state fatte nella prima fase” e che “nello stesso tempo calò la richiesta di liberazione di Ali Agca in cambio del rilascio di Emanuela Orlandi”. Tuttavia, negli ultimi tempi ricordiamo che un dispaccio dell’agenzia Ansa del 1983 ha riportato che tale scambio, sempre smentito, dallo stesso Agca, sarebbe servito a depistare e coprire una transazione di soldi, per “trattare con il Vaticano un riscatto in denaro” (fonte: Ansa). “Si arrivò fino all’ultimatum che avevano fissato”, ha proseguito l’ex appartenente alla Digos aggiungendo che “questa trattativa” non andò “in porto perché non ci fu mai prova certa dell’esistenza in vita della ragazza”.

C’erano una valanga di informative che venivano dai Servizi che riportavano notizie da fonti più o meno attendibili, alcune qualificate addirittura come occasionali, che davano indicazioni sulla ragazza viva, che era addirittura caduta nella sindrome di Stoccolma e aveva allacciato relazioni sentimentali con i suoi sequestratori” ma “gli accertamenti non avevano dato soluzioni concrete”, ha osservato Marchionne aggiungendo che “spesso soprattutto nella comunità turca, consistente in Germania, venivano fuori pseudo informatori”, ha detto ieri Marchionne.

Il ruolo della criminalità romana – A chi gli chiedeva la sua opinione sulla tipologia del gruppo legato alla scomparsa di Emanuela, Marchionne ha risposto: “Indubbiamente io penso che – quale possa essere il gruppo – era ben strutturato: non era un gruppo di rubagalline o di ragazzi che potevano aver messo su qualcosa di più grande di loro che poi gli era sfuggito di mano”. Quanto alla criminalità romana dell’epoca più volte tirata in ballo, soprattutto nel corso della seconda inchiesta sulla Vatican Girl diretta da Giancarlo Capaldo, secondo l’ex appartenente alla Digos, “potrebbe aver avuto un ruolo”. “Non c’è nulla di specifico che mi faccia pensare alla malavita organizzata romana” ha continuato Marchionne precisando però che “la mia sensazione è che la ragazza sia caduta in una trappola dalla quale non è riuscita a venirne fuori, chi l’ha tesa non agiva per una situazione estemporanea”.

E ha poi ricordato, a proposito della trappola, del cosiddetto “uomo dell’Avon” che fu visto anche da un poliziotto e un vigile in servizio parlare con Emanuela Orlandi quel pomeriggio, davanti al Senato. “Mi pare che la ragazza avesse avuto un appuntamento con una persona che si era proposta per farle fare un lavoro di presentatrice di prodotti cosmetici e la casa ha sempre smentito di ricorrere a simili attività – ha proseguito -. Può essere che per ingenuità la ragazza abbia aderito a questa proposta e invece di fare questa presentazione, chissà dove l’hanno portata”. Replicando a un’altra domanda, l’ex appartenente alla Digos ha precisato: “Io non ho detto che c’è stato un coinvolgimento della mafia romana, dico che l’organizzazione nella quale era incappata Emanuela non era una organizzazione di sprovveduti, ma una organizzazione ben strutturata e che aveva determinati scopi che potevano essere – siamo a livello di ipotesi – anche quello di irretire giovani ragazze per destinarle a cose che non vogliamo pensare”.

La pista turca “poco credibile” – Marchionne si è poi espresso sulla pista turca, rispondendo alla domanda dei commissari che gli hanno chiesto se all’epoca si avesse avuto o meno la sensazione che la pista turca rispetto al caso di Emanuela fosse un depistaggio. “Depistaggio significa che chi proponeva queste ipotesi investigative avesse lo scopo di distogliere da un percorso a lui noto: non posso dire di avere avuto mai questa consapevolezza”, ha continuato Marchionne.

Tuttavia l’ex appartenente alla Digos ha parlato di “versioni spesso poco credibili, determinate da collage mettendo insieme vicende per molti aspetti note”. “Ricorreva la possibile ipotesi – che toglieva credibilità – della ragazza che, ancora in vita, convivesse con uno dei suoi sequestratori”, ha continuato Marchionne parlando di “ipotesi secondo me fantasiose”. L’attenzione è stata poi puntata su un numero di telefono non identificato scritto su un diario di Emanuela. Uno dei commissari ha chiesto perché fu convocata dalla Digos, per essere ascoltata, una persona sulla base di un numero di telefono presente in un diario di Emanuela, riferito a una “certa Federica”, ma per la convocazione ci si basò su un numero non corrispondente a quello effettivamente scritto nel diario visto che una cifra era diversa.”La firma è mia e il verbale è mio”, ha detto Marchionne prendendo visione degli atti ma non ricordando nel dettaglio la vicenda. E ha anche ribadito che “noi il diario di Orlandi non lo abbiamo mai acquisito, potrebbe anche essere che altre fonti avevano individuato questo numero”.

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