Newton, il padre della scienza moderna

Sir Isaac Newton morì il 20 marzo 1727 del calendario giuliano – 31 marzo secondo il calendario gregoriano, allora in vigore in Inghilterra – e qualche giorno dopo venne sepolto nell’abbazia di Westminster. Ai suoi funerali presero parte praticamente tutti gli intellettuali della Gran Bretagna e buona parte dell’aristocrazia, rendendo omaggio a un uomo di scienza, a un matematico, a un filosofo naturale e al primo scienziato della storia inglese a essere nominato cavaliere dalla regina. Alla sua morte era presidente della Royal Society e membro della Commissione per la longitudine, e la sua influenza permeava tutta la cultura britannica. Voltaire, che era tra i partecipanti al funerale, si adoperò molto per diffondere in Francia le straordinarie scoperte dello scienziato britannico.Isaac Newton morì ultraottantenne e con la fama di avere una mente straordinariamente dotata per dominare le scienze più difficili: la matematica e il calcolo infinitesimale, la meccanica dei corpi celesti e il comportamento della luce. Nel mausoleo di Newton situato nell’abbazia di Westminster è scritto: «Si rallegrino i mortali che sia esistito un tale e così grande onore per il genere umano», ma ancora più altisonante è l’epitaffio che per lui scrisse il poeta Alexander Pope: «La natura e le leggi della natura giacevano nascoste nella notte; Dio disse: “Che Newton sia!”, e luce fu». La sua influenza dopo la morte accrebbe la sua già enorme fama, fino a fare di lui il modello di scienziato per eccellenza.Un bambino difficileL’uomo che quando morì era considerato il più grande scienziato nacque nel 1643 in una famiglia inglese puritana. La sua non fu un’infanzia felice: il padre morì prima ancora della sua nascita, e tre anni dopo la madre lo lasciò con i nonni per risposarsi con un pastore anglicano. Non sorprende, dunque, che il giovane Isaac crescesse come un ragazzino timido e introverso. A dodici anni entrò in una scuola locale, dove sembra che preferisse giocare con le bambine, per le quali fabbricava giocattoli ingegnosi, un anticipo della destrezza che più avanti avrebbe mostrato nel costruire apparecchi complessi come un telescopio a rifrazione. Al contempo, però, il bambino timido era capace di litigare e fare a botte con i compagni più grandi. Senza dubbio, fu in quegli anni che si delinearono quei tratti di carattere – la riservatezza, l’ipersensibilità e la vendicatività – che Newton avrebbe dimostrato per tutta la sua vita.A 19 anni, si iscrisse all’Università di Cambridge ed entrò al Trinity College come un sizar, cioè uno studente che per pagarsi la retta fungeva anche da cameriere-valletto per i compagni più ricchi. Nei suoi anni da studente in quell’università acquisì un’enorme competenza nel dominio delle scienze matematiche dell’epoca, che successivamente lo portò a dare un contributo fondamentale come lo sviluppo del calcolo infinitesimale, parallelamente al filosofo tedesco Gottfried Leibniz, con il quale ebbe un’infervorata polemica. Newton si formò sotto la tutela di Isaac Barrow, al quale, una volta completati gli studi, succedette alla cattedra di matematica, carica che ricoprì dal 1669 al 1696. La cattedra lucasiana, così chiamata dal nome del suo fondatore, Henry Lucas, è sempre stata occupata da scienziati influenti ed eccellenti, compreso, in tempi più recenti, il fisico inglese Stephen Hawking. La formazione di un genioNewton si formò negli anni in cui, in tutto il continente europeo, si affermava la rivoluzione scientifica, di cui furono artefici nomi quali Keplero, Galileo, Cartesio, Borelli, Hobbes, Gassendi, Hooke e Boyle, le cui opere studiò con attenzione. Inizialmente, Newton era seguace di Cartesio, come lo era all’epoca chiunque fosse interessato al rinnovamento della scienza. Fu in particolare la matematica di Cartesio ad affascinare gli scienziati di quella generazione, e dunque anche Newton. A differenza di altri, però, egli sviluppò un pensiero proprio e non fu pienamente convinto dai principi formulati dal filosofo francese; fu così che, tra il 1660 e il 1670, criticò nei suoi scritti la concezione cartesiana del movimento e sviluppò una teoria alternativa sulla natura della luce e dei colori. Nel 1672 Newton entrò nella Royal Society, un’istituzione fondata a Londra nel 1660 che riuniva tutti i principali scienziati inglesi, e in quello stesso anno presentò davanti ai membri una memoria intitolata Nuova teoria della luce e dei colori, nella quale spiegava la relazione tra la luce solare bianca e i colori dell’iride. Studiosi precedenti, come Cartesio e Huygens, credevano che la luce propriamente detta fosse la luce bianca, mentre i colori erano considerati proprietà dei materiali delle superfici sulle quali incideva la luce. Tuttavia, Newton, attraverso una serie di esperimenti realizzati con i prismi, giunse alla conclusione che i colori erano proprietà della luce stessa, e che la luce bianca non era altro che la combinazione di raggi luminosi di diversi colori. Queste idee non piac

Mar 12, 2025 - 19:17
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Newton, il padre della scienza moderna

Sir Isaac Newton morì il 20 marzo 1727 del calendario giuliano – 31 marzo secondo il calendario gregoriano, allora in vigore in Inghilterra – e qualche giorno dopo venne sepolto nell’abbazia di Westminster. Ai suoi funerali presero parte praticamente tutti gli intellettuali della Gran Bretagna e buona parte dell’aristocrazia, rendendo omaggio a un uomo di scienza, a un matematico, a un filosofo naturale e al primo scienziato della storia inglese a essere nominato cavaliere dalla regina. Alla sua morte era presidente della Royal Society e membro della Commissione per la longitudine, e la sua influenza permeava tutta la cultura britannica. Voltaire, che era tra i partecipanti al funerale, si adoperò molto per diffondere in Francia le straordinarie scoperte dello scienziato britannico.

Isaac Newton morì ultraottantenne e con la fama di avere una mente straordinariamente dotata per dominare le scienze più difficili: la matematica e il calcolo infinitesimale, la meccanica dei corpi celesti e il comportamento della luce. Nel mausoleo di Newton situato nell’abbazia di Westminster è scritto: «Si rallegrino i mortali che sia esistito un tale e così grande onore per il genere umano», ma ancora più altisonante è l’epitaffio che per lui scrisse il poeta Alexander Pope: «La natura e le leggi della natura giacevano nascoste nella notte; Dio disse: “Che Newton sia!”, e luce fu». La sua influenza dopo la morte accrebbe la sua già enorme fama, fino a fare di lui il modello di scienziato per eccellenza.Ritratto di Isaac Newton in età matura, eseguito da Sir Godfrey Kneller nel 1702. National portrait gallery, Londra.

Un bambino difficile

L’uomo che quando morì era considerato il più grande scienziato nacque nel 1643 in una famiglia inglese puritana. La sua non fu un’infanzia felice: il padre morì prima ancora della sua nascita, e tre anni dopo la madre lo lasciò con i nonni per risposarsi con un pastore anglicano. Non sorprende, dunque, che il giovane Isaac crescesse come un ragazzino timido e introverso. A dodici anni entrò in una scuola locale, dove sembra che preferisse giocare con le bambine, per le quali fabbricava giocattoli ingegnosi, un anticipo della destrezza che più avanti avrebbe mostrato nel costruire apparecchi complessi come un telescopio a rifrazione. Al contempo, però, il bambino timido era capace di litigare e fare a botte con i compagni più grandi. Senza dubbio, fu in quegli anni che si delinearono quei tratti di carattere – la riservatezza, l’ipersensibilità e la vendicatività – che Newton avrebbe dimostrato per tutta la sua vita.

A 19 anni, si iscrisse all’Università di Cambridge ed entrò al Trinity College come un sizar, cioè uno studente che per pagarsi la retta fungeva anche da cameriere-valletto per i compagni più ricchi. Nei suoi anni da studente in quell’università acquisì un’enorme competenza nel dominio delle scienze matematiche dell’epoca, che successivamente lo portò a dare un contributo fondamentale come lo sviluppo del calcolo infinitesimale, parallelamente al filosofo tedesco Gottfried Leibniz, con il quale ebbe un’infervorata polemica. Newton si formò sotto la tutela di Isaac Barrow, al quale, una volta completati gli studi, succedette alla cattedra di matematica, carica che ricoprì dal 1669 al 1696. La cattedra lucasiana, così chiamata dal nome del suo fondatore, Henry Lucas, è sempre stata occupata da scienziati influenti ed eccellenti, compreso, in tempi più recenti, il fisico inglese Stephen Hawking. 

La formazione di un genio

Newton si formò negli anni in cui, in tutto il continente europeo, si affermava la rivoluzione scientifica, di cui furono artefici nomi quali Keplero, Galileo, Cartesio, Borelli, Hobbes, Gassendi, Hooke e Boyle, le cui opere studiò con attenzione. Inizialmente, Newton era seguace di Cartesio, come lo era all’epoca chiunque fosse interessato al rinnovamento della scienza. Fu in particolare la matematica di Cartesio ad affascinare gli scienziati di quella generazione, e dunque anche Newton. A differenza di altri, però, egli sviluppò un pensiero proprio e non fu pienamente convinto dai principi formulati dal filosofo francese; fu così che, tra il 1660 e il 1670, criticò nei suoi scritti la concezione cartesiana del movimento e sviluppò una teoria alternativa sulla natura della luce e dei colori. Il giovane Isaac Newton si formò presso il Trinity College dell’Università di Cambridge, fondato nel 1546; una volta adulto, vi insegnò per molti anni come docente di matematica.

Nel 1672 Newton entrò nella Royal Society, un’istituzione fondata a Londra nel 1660 che riuniva tutti i principali scienziati inglesi, e in quello stesso anno presentò davanti ai membri una memoria intitolata Nuova teoria della luce e dei colori, nella quale spiegava la relazione tra la luce solare bianca e i colori dell’iride. 

Studiosi precedenti, come Cartesio e Huygens, credevano che la luce propriamente detta fosse la luce bianca, mentre i colori erano considerati proprietà dei materiali delle superfici sulle quali incideva la luce. Tuttavia, Newton, attraverso una serie di esperimenti realizzati con i prismi, giunse alla conclusione che i colori erano proprietà della luce stessa, e che la luce bianca non era altro che la combinazione di raggi luminosi di diversi colori. 

Queste idee non piacquero a Robert Hooke, un influente membro della Royal Society che aveva dedicato tutti i suoi sforzi a sviluppare la tesi di Cartesio e Huygens. La sua dura critica alla memoria presentata da Newton sancì tra loro un’inimicizia che sarebbe durata per decenni. Newton non perdonò Hooke, si rifugiò a Cambridge, tagliò i ponti con la Royal Society e vi fece ritorno come presidente solo nell’anno della morte di Hooke, nel 1703. Rancoroso e implacabile, Newton si affrettò a cancellare ogni traccia del lavoro di Hooke alla Royal Society, ed eliminò persino i suoi ritratti. Nel 1704 pubblicò la sua Ottica, scritta in inglese e nella quale era esposta la sua interpretazione corpuscolare della luce, un trionfo sui cartesiani inglesi dell’epoca secondo i quali la luce si diffondeva invece attraverso onde (nel XX secolo la fisica quantistica avrebbe però dimostrato che avevano ragione entrambi).

La gravitazione universale

Newton applicò con successo le scienze matematiche ai problemi della meccanica, in particolare al movimento dei pianeti nel sistema solare. Da Copernico in poi era noto che tutti i pianeti, compresa la Terra, girano attorno al Sole, e da allora si era accumulata una grande mole di osservazioni sulla meccanica celeste, ma alcuni fenomeni erano ancora senza spiegazione. Tra questi vi era il movimento curvilineo dei pianeti attorno al Sole, o il problema più generale dei moti circolari. Da una parte, i lavori di Keplero – che nessuno metteva in discussione – dimostravano che i pianeti girano attorno al Sole descrivendo orbite non circolari bensì ellittiche, e questo con una velocità areolare costante, ossia percorrendo sempre la stessa superficie in una medesima unità di tempo. Ma qual era l’influenza (l’attrazione) esercitata dal Sole sui pianeti, che faceva loro compiere tale traiettoria? 

Cartesio aveva formulato l’ipotesi secondo la quale tutto lo spazio dell’universo era pieno di un’infinità di corpuscoli e che il Sole generava vortici di materia che trascinavano i pianeti e li portavano a descrivere le orbite ellittiche. Dimostrare questa immagine intuitiva mediante un calcolo matematico, però, sembrava difficile. Nei suoi giorni a Cambridge, Newton trovò una soluzione al problema: immaginò che vi fosse una forza che univa il Sole a ciascuno dei pianeti e che tale forza li attraesse in modo da costringerli a ruotare descrivendo ellissi. Detta in questi termini era solo un’immagine ma, a differenza della proposta cartesiana, Newton apportò una dimostrazione quantitativa della forza in azione. In effetti, la celebre legge della gravità di Newton stabiliva che la forza di attrazione tra due corpi è proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. In questo modo, tramite una serie di calcoli, fu in grado di dimostrare che il risultato di questa azione consisteva in una traiettoria ellittica. 

Il profumo del successo

Quando Newton rese pubblica la sua teoria, tutta la società intellettuale britannica prestò attenzione al suo lavoro. L’astronomo e viaggiatore Edmond Halley si era trasferito a Cambridge nell’estate del 1684 per studiare i calcoli di Newton, e i due strinsero un rapporto di amicizia. Nel 1686, Halley convinse Newton a pubblicare la sua scoperta, che l’autore, per timore delle critiche, aveva persino pensato di distruggere. La legge della gravitazione di Newton spinse il suo amico Edmond Halley (in basso) a calcolare la traiettoria della cometa che porta il suo nome. Dipinto di T. Murray. XVII secolo. Royal Society.

Il lavoro fu pubblicato nel 1687 con il titolo Principi matematici della filosofia naturale, generalmente conosciuto come Principia. Il fatto che fosse scritto in latino indicava il pubblico al quale era diretto: esperti di matematica e di meccanica, astronomi, filosofi e universitari.

Se l’ottica aveva causato più di un’amarezza a Newton, la gravitazione lo ricompensò con gli interessi. La sua legge permetteva di spiegare tutti i fenomeni fisici dell’universo in virtù di una forza che concepì come universale: le mele cadono per la stessa causa per la quale si muovono i pianeti o riappaiono le comete. 

Alcuni obiettarono che la teoria della gravitazione presupponeva un’azione a distanza tra i corpi, qualcosa che la ragione rifiutava. Lo stesso Newton riconosceva che un’azione a distanza di questo tipo «è per me una tale assurdità, che io credo che nessun uomo che abbia una competente facoltà di pensare in materie filosofiche, possa mai cadere in essa», e si diceva convinto che la gravità dovesse essere causata da un agente, anche se non sapeva quale, se materiale o immateriale. 

In realtà, gli scrupoli filosofici perdevano importanza davanti al successo del sistema di Newton per calcolare e predire il corso di qualsiasi tipo di corpo celeste, dalla Terra alla Luna, alle comete. Per esempio, Halley, basandosi sui calcoli di Newton e le precedenti osservazioni, predisse che la cometa avvistata nel 1682 – e che oggi porta il suo nome – sarebbe riapparsa attorno al 1758, come in effetti accadde. 

Dopo la pubblicazione dei Principia, Newton godette dei vantaggi del successo. Nel 1689 fu eletto deputato nel Parlamento inglese. Nel 1696 abbandonò Cambridge e si trasferì a Londra per assumere la direzione della Zecca Reale. All’epoca le autorità britanniche avevano ingaggiato una campagna a tappeto contro l’abitudine di grattare via l’oro e l’argento dai bordi delle monete, finché queste non si riducevano a una frazione delle loro dimensioni originarie. Il suo rimedio fu semplice e geniale: inventò la zigrinatura laterale, cosicché una moneta abrasa poteva essere immediatamente riconosciuta da tutti, perdendo di conseguenza il suo valore.Nelle prime tre pagine dei suoi celebri Principia, Newton ringrazia l’amico Halley per la sua insistenza affinché pubblicasse l’opera. Copertina del libro. 1687. British Library.

Nel 1703 fu eletto presidente della Royal Society e la sua influenza crebbe sempre di più, facendolo diventare un personaggio pubblico. Mantenne il controllo su quel che accadeva a Cambridge, e persino a Oxford, e la sua meccanica iniziò a essere studiata in queste università. Le sue teorie si diffusero in tutta Europa e dopo la sua morte la sua fama crebbe in tutto il mondo illuminista.

Alchimista e teologo

Con la gravitazione, il dogma della differenza ontologica tra il mondo celeste e quello terrestre fu definitivamente superato. Copernico aveva dimostrato che la Terra si muove intorno al Sole con gli altri pianeti, Keplero aveva dimostrato in che modo questi si muovono e ora Newton aveva dimostrato perché lo fanno.

Il lavoro di Newton come padre della scienza moderna si accompagnò, com’era costume dell’epoca, a numerosi lavori alchemici, ai quali affiancò una straordinaria messe di opere dedicate alla cabala, alla teologia e all’interpretazione di testi biblici. Lo stesso uomo che aveva sviluppato il calcolo infinitesimale e studiava le leggi della meccanica si era dedicato con passione a esperimenti alchemici con sostanze misteriose alle quali aveva dato appellativi pittoreschi come «il leone verde» o nomi di pianeti, come Giove o Saturno.

L’economista John Maynard Keynes, che acquistò buona parte di questi manoscritti nel 1936, scrisse in proposito: «Newton non fu il primo scienziato dell’età della ragione. Piuttosto fu l’ultimo dei maghi, l’ultimo dei babilonesi e dei sumeri, l’ultima grande mente soffermatasi sul mondo del pensiero e del visibile con gli stessi occhi di coloro che cominciarono a costruire il nostro patrimonio intellettuale poco meno di diecimila anni fa [...] Perché lo chiamo mago? Perché osservò l’intero universo e tutto quel che in esso c’era come un enigma, come un segreto che può essere svelato applicando il puro pensiero all’evidenza certa, a indizi mistici che Dio aveva sparso nel mondo per consentire alla confraternita esoterica una specie di caccia al tesoro per filosofi. 

Egli credeva che questi indizi si potessero trovare, in parte, nelle evidenze dei cieli e nella costituzione degli elementi (e questo fece sì che si avesse la falsa impressione che egli fosse un filosofo naturale sperimentale)». Tuttavia, bisogna ricordare che l’interesse per l’alchimia era molto diffuso tra gli scienziati del XVII secolo che desideravano indagare sulla natura della materia. Per esempio, anche Robert Boyle, grande precursore della chimica moderna e collega di Newton nella Royal Society, fu un alchimista appassionato.

Non meno sorprendente risulta la quantità di tempo ed energie che Newton dedicò a studi sulla religione e la teologia. Il geniale matematico scrisse migliaia di pagine nelle quali indagava le profezie bibliche, la cronologia dei regni ebraici o la struttura del Tempio di Salomone. Si spinse persino a calcolare la data della fine del mondo e della seconda venuta di Cristo, che collocò nell’anno 2060. Studiò a fondo la Bibbia per dimostrare che nel testo originale non vi erano riferimenti alla Trinità, un dogma cristiano che considerava falso, poiché a un certo momento arrivò alla convinzione che solo Dio padre aveva natura divina, e non Gesù Cristo né lo Spirito Santo. 

In realtà, l’interesse di Newton per la teologia non si può separare dal suo sistema scientifico, nel quale si presupponeva l’esistenza di un Dio che aveva stabilito le leggi del mondo. Tutta la sua vita fu dedicata a cercare una sintesi tra il Libro della Natura e il Libro delle Scritture. Per questo non fu perseguitato come Galileo, ma onorato dalla Chiesa.