Deve essere esclusa la fruibilità delle misure protettive da parte del mero fideiussore; ciò, in quanto il legislatore non ha inteso, attraverso lo speciale strumentario rimediale, proteggere soggetti diversi dall’imprenditore e tale non è il fideiussore, salvo che assommi su di sé la qualifica di imprenditore “di fatto”.
Non può escludersi che il fideiussore assuma le vesti, non di mero garante delle obbligazioni ma di vero e proprio cogestore dell’attività di impresa, divenendo qualificabile quale imprenditore di fatto, con le conseguenze penali e civili che conseguono all’assunzione di tale veste, ma anche con la possibilità di beneficiare delle agevolazioni, previste dal microsistema del codice della crisi, tra cui le misure protettive e ciò quando il fideiussore non si limiti a sporadici finanziamenti, ponendo in essere un’attività di somministrazione sistematica di liquidità in favore della società, unitamente alla costante collaborazione all’interno della stessa.
Deve ritenersi estranea alla ratio della norma speciale la salvaguardia del patrimonio di terzi rispetto al soggetto imprenditoriale, in forma individuale o collettiva, dovendosi includere, invece, nel raggio delle misure protettive quei beni che, pur non essendo di titolarità dell’imprenditore, siano stati concretamente asserviti all’esercizio dell’attività di impresa, in linea con la ratio legis di preservare i valori aziendali e la loro redditività sul mercato
L’estensione al fideiussore – imprenditore “di fatto” delle misure protettiva discende dalla piana applicazione del principio per cui lo statuto dell’imprenditore trova applicazione anche quando l’attività d’impresa, pur non constando formalmente, sia, di fatto, concretamente esercitata; essendo, peraltro, irragionevole postulare l’ammissibilità di una «segmentazione» dello stesso statuto, ritenendo il medesimo soggetto imprenditore a determinati fini e non tale ad altri.