Merito creditizio: imprese italiane a un bivio tra solidità e rischio default

Dopo il picco positivo di inizio 2025, la guerra dei dazi peggiora le stime sul merito creditizio delle imprese italiane: gli scenari per i prossimi mesi.

Mag 14, 2025 - 17:00
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Merito creditizio: imprese italiane a un bivio tra solidità e rischio default

Il 2025 è iniziato all’insegna della positività sul fronte della solidità per le imprese italiane, con il rischio di default ai minimi rispetto agli ultimi anni, ma i prossimi mesi saranno caratterizzati da maggiori incertezze a causa dei dazi USA, per quanto non si prevedano grossi arretramenti. Sono le evidenze del Credit Outlook 2025 di Cerved Rating Agency, l’agenzia specializzata nel merito creditizio delle imprese e nella misurazione delle performance ESG.

Solidità imprese: effetto trascinamento

Il buon risultato del primo trimestre di quest’anno è ancora determinato dall’andamento 2024, anno in cui è aumentata la quota di azienda che ha migliorato il rating, con un 17% di upgrade, contro l’8% dell’anno precedente. In crescita anche le conferme (78% contro 69%), mentre sono calati in modo abbastanza deciso i downgrade.

Nel 2024 e nei primi mesi del 2025 «le aziende italiane sono riuscite a fronteggiare con successo l’incertezza derivante da stress macroeconomici consecutivi, come le tensioni geopolitiche, il restringimento delle condizioni di finanziamento e l’andamento inflattivo – commenta Fabrizio Negri, CEO di Cerved Rating Agency -. Tuttavia, nei prossimi mesi, la probabilità di default potrebbe aumentare, a seguito di tensioni commerciali e una domanda debole, elementi che potrebbero colpire in particolare le imprese che esportano negli USA».

Merito creditizio: scenario base per il 2025

Cerved elabora diversi scenari in questo senso, nei quali la variabile chiave è legata inevitabilmente alle politiche commerciali americane. A marzo 2025 il rischio era pari al 5,3%, registrando l’indice più basso dal dicembre 2020. Nei prossimi 12 mesi è atteso un lieve peggioramento per le tensioni geopolitiche e commerciali del momento: la probabilità di default  si porterebbe al 5,5%, ancora lontani dai massimi raggiunti nel 2023 (6,2%).

L’ipotesi di una probabilità di default in aumento al 5,5% è delineata in uno scenario base, che vede i dazi USA restare al 10% per 12 mesi. Questa spingerebbe le imprese a reindirizzare la propria produzione verso nuovi mercati con effetti destabilizzanti sul commercio mondiale e sulla fiducia di famiglie e imprese. Tuttavia, l’impatto sull’Italia nel complesso è mitigato da una dipendenza all’export di alcuni settore contenuta, come il settore terziario, che rappresenta oltre il 73% dell’economia italiana.

L’anali vede peggiorare i business più esposti alle esportazioni: automotive (dal 5,2% di marzo 2025 al 5,7% di marzo 2026), il Tessile Abbigliamento (da 5,7% a 6,1%), i Beni Alimentari e Bevande (da 4,6% a 4,9%) e il Farmaceutico (da 4,2% a 4,5%). Performance in miglioramento per Turismo, Ospitalità e Ristorazione (dall’8,7% del marzo 2025 all’8% del marzo 2026), ICT (da 4,6% a 4,4%) e Utilities (da 4,2% a 4%).

Per dimensioni aziendali, la probabilità di default per le grandi imprese è prevista in tenuta attestandosi al 3,1% a marzo 2026, mentre per le PMI aumenta da 6,3% del 2025 a 6,6% del 2026.

I fattori che invece possono essere destinati a influire positivamente sono il PNRR che entra nel vivo (108 miliardi di euro di investimenti ne biennio 2025-2026), e il piano europeo per il riarmo.

Le stime negli altri scenari

Cerved propone anche uno scenario migliorativo, che vede un allentamento delle pressione USA sui dazi e ipotizza la fine della guerra in Ucraina, due fattori che farebbero scendere al 5,1% il rischio di default.

Nello scenario peggiorativo si delinea invece una prolungata guerra commerciale globale, la recessione negli USA e nell’UE e l’inasprimento del conflitto in Ucraina.

Focus sulle imprese esportatrici

Le imprese esportatrici sono quelle che rischiano maggiormente a causa dei dazi, dall’altra partono da una solidità finanziaria superiore alla media (3,5%). Detto questo, sono anche quelle più esposte all’aumento del rischio di credito, sopratutto se di piccole e medie dimensioni. Anche le big del settore andranno peggio rispetto alle imprese che non hanno significative quote di export, ma il gap è decisamente più elevato fra le PMI.

Il focus sull’export ha analizzato un campione di 700 imprese che fatturano circa 90 miliardi di euro e impiegano più di 190mila dipendenti. I settori maggiormente rappresentati sono l’Industria Meccanica, l’Agrifood, il Tessile e Moda e la Lavorazione dei Metalli.