Mercati turbolenti dopo i dazi: il credito alle imprese non è immune

Dal blog di Banca Generali, a cura di Giulio Siniscalco, portfolio manager – Team Fixed Income & Alternative di Banca Generali. La forte volatilità sui mercati finanziari che si è innescata dopo il Liberation Day, in cui l’amministrazione Trump ha annunciato le nuove politiche commerciali con l’imposizione dei dazi reciproci su quasi tutti i Paesi... Leggi tutto

Apr 24, 2025 - 16:04
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Mercati turbolenti dopo i dazi: il credito alle imprese non è immune

Dal blog di Banca Generali, a cura di Giulio Siniscalco, portfolio manager – Team Fixed Income & Alternative di Banca Generali.

La forte volatilità sui mercati finanziari che si è innescata dopo il Liberation Day, in cui l’amministrazione Trump ha annunciato le nuove politiche commerciali con l’imposizione dei dazi reciproci su quasi tutti i Paesi del mondo, non sembra risparmiare nessuna asset class.

La fase di avversione al rischio e nervosismo si è solo parzialmente fermata dopo che il presidente Donald Trump ha annunciato un rinvio dell’entrata in vigore dei dazi di 90 giorni, (ad eccezione della Cina, sulla quale gravano ora tariffe superiori al 140%). Uno scenario che ha preso in contropiede molti investitori fai-da-te, dato che la volatilità ha colpito in modo indiscriminato anche molti asset considerati beni rifugio (come i Treasury e il dollaro) e segmenti del mercato che erano stati tra i migliori performer degli ultimi mesi e anni, come i titoli di debito corporate.

Fuga dagli asset Usa

Gli asset americani che avevano beneficiato negli ultimi anni di uno status speciale, con forti flussi verso gli asset azionari e obbligazionari che avevano spinto, di conseguenza, anche il dollaro ai massimi di periodo. Ma da inizio aprile Wall Street è in rosso, mentre i Treasury statunitensi non hanno beneficiato delle ingenti uscite dai mercati azionari, ma anzi hanno visto i rendimenti salire, con un aumento per il titolo decennale di oltre 50 punti base.

La presa di distanza degli investitori dagli asset americani si è manifestata anche con un marcato calo della valuta statunitense. Il dollaro sembra per il momento aver perso il ruolo di moneta rifugio per eccellenza, indebolendosi fino a quota 1,15 contro l’euro, in calo del 10% rispetto ai livelli di inizio anno.

A pesare sul biglietto verde sono state anche le tensioni tra Donald Trump e il presidente delle Federal Reserve Jerome Powell, uno scontro che il mercato sembra vedere come un rischio per l’indipendenza della banca centrale statunitense.

Obbligazioni corporate, i dazi fermano il rally

Anche i bond societari, il cui trend positivo durava da ormai circa due anni, hanno subito l’impatto della volatilità e dell’incertezza innescati dai conflitti commerciali avviati dalla Casa Bianca.

“A soffrire maggiormente di questo scenario nel mondo obbligazionario sono le emissioni corporate, con gli spread creditizi che hanno invertito bruscamente il trend di compressione degli ultimi 2 anni: le obbligazioni societarie europee scambiano oggi sul mercato con un premio di 110 punti base per le società con maggiore qualità, Investment Grade, e di 400 punti base per quelle con rating più basso, o High Yield”, spiega Giulio Siniscalco, Portfolio Manager – Team Fixed Income & Alternative di Banca Generali.

Negli Stati Uniti, l’ICE BofA US High Yield Index Spread, che misura il differenziale tra i Treasury e le obbligazioni societarie con un rating “junk”, è balzato da un livello inferiore a 350 punti a oltre 450 all’indomani del Liberation Day, uno dei movimenti più bruschi degli ultimi anni, prima di ridiscendere in area 400 punti base. Un movimento che riflette i timori degli investitori sulla solidità delle imprese con un rating più basso di fronte al rallentamento economico che potrebbe essere portato dai dazi.

“Il mercato sta interrogandosi su quali saranno gli effetti dei dazi sui bilanci delle aziende, che negli USA devono fare i conti anche con tassi di interesse che rimangono su livelli storicamente elevati. Secondo gli analisti, già nel primo trimestre 2025 dovrebbe registrarsi un calo degli utili operativi del 5% per le società High Yield”, sottolinea Siniscalco, rimarcando come “in un contesto così incerto, è difficile fare previsioni sui fondamentali delle aziende americane su periodi più lunghi”.

La reazione degli investitori a questa incertezza e volatilità “è stata una ‘fuga’ da fondi ed ETF che investono nel credito societario. Nella settimana 3 – 9 aprile, i fondi corporate europei Investment Grade hanno registrato 2 mld di flussi in uscita, un valore che rappresenta lo 0,6% degli AuM del comparto, mentre i fondi High Yield hanno visto deflussi per 2,1 miliardi di euro (pari al 2,3% degli AuM). Ancora più marcato il movimento in uscita negli Stati Uniti, dove i fondi corporate IG hanno visto uscite per 8 miliardi di dollari, mentre i deflussi da quelli HY sono stati vicino ai 10 miliardi di dollari”, spiega il gestore di Banca Generali.

Conclusioni

“In questa fase la prudenza fa dunque da padrona in un mercato che è alla ricerca di maggiore qualità e selezione all’interno dei portafogli. È importante quindi affidare all’esperienza di un gestore professionista la selezione degli emittenti, evitando il ‘fai da te’, che rischierebbe di esporre a elevati livelli di volatilità, rischi di concentrazione e improvvisi cambiamenti nel sentiment del mercato”, conclude Siniscalco.