Mercati, “Sell in May and Go Away”: mito o realtà?
“Sell in May and Go Away” è uno dei motti più noti tra gli investitori. Dietro questa massima popolare si cela l’idea che i mesi estivi rappresentino, storicamente, una fase di debolezza per i mercati azionari, suggerendo quindi di alleggerire l’esposizione a maggio per rientrare solo in autunno. Ma quanto è vero oggi questo principio?... Leggi tutto

“Sell in May and Go Away” è uno dei motti più noti tra gli investitori. Dietro questa massima popolare si cela l’idea che i mesi estivi rappresentino, storicamente, una fase di debolezza per i mercati azionari, suggerendo quindi di alleggerire l’esposizione a maggio per rientrare solo in autunno. Ma quanto è vero oggi questo principio? “Un’analisi dei dati storici dello S&P 500 dal 1998 al 2025, supportata da simulazioni di strategia, consente di tracciare un quadro più completo e meno stereotipato”, afferma Gabriel Debach, market analyst di eToro.
Le simulazioni sull’S&P 500 a partire da gennaio 1998, dividendi non inclusi, confrontando la strategia Buy&Hold con l’approccio Sell in May e con la strategia opposta (investire solo da maggio a ottobre), forniscono indicazioni inequivocabili. Il Buy&Hold prevale nettamente in termini di rendimento cumulato (+469%, con un CAGR del 7%). Restare sempre investiti, sopportando anche la volatilità estiva, si è dimostrata la scelta più premiante. La strategia Sell in May, pur riducendo la volatilità, ha generato nel lungo periodo rendimenti inferiori (+338%, CAGR +6%) rispetto a chi ha mantenuto un’esposizione continua. La strategia opposta, ovvero investire solo nei mesi estivi, si conferma la meno efficace: bassa crescita (+30%, CAGR 1%) e un profilo di rischio che non trova adeguata compensazione.
“Alla luce di questi dati, appare chiaro che il “Sell in May” conserva un fondamento statistico, ma non può essere interpretato come una regola rigida: gli investitori che si sono limitati a seguire meccanicamente questo principio hanno spesso sacrificato opportunità importanti. E una strategia stagionale efficace non può prescindere da un approccio più articolato, che integri l’analisi dei dati storici con una valutazione del contesto corrente”, avverte Debach.
“La vera lezione che si può trarre non è tanto quella di vendere a maggio, quanto quella di aumentare la vigilanza nei mesi estivi, modulando eventualmente il livello di esposizione al rischio senza necessariamente disinvestire in modo drastico”, fa pii notare l’esperto di eToro
Uno sguardo all’Italia arricchisce ulteriormente l’analisi. Anche sul mercato domestico, pur con le dovute cautele metodologiche, la stagionalità è riconoscibile. Le simulazioni sul Ftse Mib tra il 1998 e il 2025, basate su dati price-only e dunque senza considerare l’effetto dei dividendi reinvestiti, mostrano una debolezza strutturale del semestre maggio-ottobre, con una performance media negativa di circa -3,7% (mediana del +1,4%), contro un +6,6% medio (7,9% mediano) nel semestre novembre-aprile.
In termini di performance cumulative, la simulazione evidenzia risultati estremamente distanti rispetto allS&P 500. Dal gennaio 1998 ad oggi, la strategia Buy&Hold sul Ftse Mib avrebbe generato un rendimento complessivo di circa il 50% (CAGR +2%). Applicando la strategia Sell in May, limitando cioè l’esposizione al solo semestre novembre-aprile, il risultato simulato salirebbe a +457% (CAGR +6%). La strategia opposta, ovvero investire esclusivamente nei mesi estivi, avrebbe invece prodotto un crollo del 73%, pari a un tasso composto annuo negativo del 5%.
È però fondamentale sottolineare che questi numeri non incorporano i dividendi. Il Ftse Mib è un indice price-only e non riflette l’impatto della componente cedolare, che in Italia ha storicamente inciso in misura significativa sulla performance complessiva, in particolare nei mesi primaverili. La mancanza di reinvestimento dei dividendi tende a penalizzare in modo marcato il profilo del Buy&Hold, e rende meno netta anche la distinzione tra i due semestri. In un’ottica total return, il vantaggio della strategia stagionale resterebbe probabilmente positivo, ma con differenze meno estreme. Per questo motivo, i risultati riportati vanno letti come indicativi della direzione stagionale, non come misure assolute di performance.