Mercati emergenti, Brasile: possibile equilibrio tra politica e inflazione

Le elezioni presidenziali del 2026 in Brasile si preannunciano come un crocevia cruciale per il futuro del Paese. La posta in gioco è alta: gestione fiscale, tassi di interesse, rendimenti degli asset e fiducia degli investitori dipenderanno in larga parte da chi salirà al potere. Michael Van der Elst, Head of Emerging Market Debt di... Leggi tutto

Mag 12, 2025 - 23:01
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Mercati emergenti, Brasile: possibile equilibrio tra politica e inflazione

Le elezioni presidenziali del 2026 in Brasile si preannunciano come un crocevia cruciale per il futuro del Paese. La posta in gioco è alta: gestione fiscale, tassi di interesse, rendimenti degli asset e fiducia degli investitori dipenderanno in larga parte da chi salirà al potere. Michael Van der Elst, Head of Emerging Market Debt di DPAM, avverte che “la partita è ancora tutta da giocare”, data l’incertezza sulla ricandidatura di Lula e l’assenza di una leadership forte tra i conservatori.

Lula, attualmente alla guida del Paese, compirà 79 anni nel 2026 e potrebbe scegliere di non ricandidarsi a causa dell’età avanzata e di problemi di salute. Secondo Van der Elst, “il Partido dos Trabalhadores ha poche alternative valide in grado di sfidare con successo i conservatori”, rendendo meno prevedibile l’esito delle urne anche in caso di una candidatura del presidente uscente. La sua popolarità è in calo – ora intorno al 40% – penalizzata dal caro vita, in particolare dall’aumento dei prezzi alimentari, e da una crescita economica in rallentamento, stimata tra l’1,6% e il 2,3% per quest’anno.

Nonostante le difficoltà, Lula mantiene una certa credibilità politica. “Il mercato del lavoro tiene sorprendentemente bene, con un aumento dei salari reali del 3%, e il settore agricolo registra raccolti record di soia e mais”, osserva Van der Elst. Nello Stato chiave di Minas Gerais, spesso barometro dell’orientamento elettorale nazionale, l’elettorato resta tendenzialmente favorevole a Lula, anche grazie all’efficacia delle misure fiscali introdotte nei mesi precedenti le elezioni, come aumenti salariali e riforme sociali.

Tuttavia, le possibilità di ulteriore espansione fiscale sono limitate. “Circa il 92% del bilancio federale è vincolato a spese obbligatorie”, sottolinea Van der Elst, lasciando solo un 8% disponibile per manovre discrezionali. A complicare il quadro c’è anche il “teto de gastos”, il tetto alla spesa pubblica introdotto nel 2016. Sebbene Lula lo abbia già allentato nel 2023, ulteriori modifiche rischierebbero di minare la fiducia degli investitori, far salire l’inflazione e aumentare i costi di finanziamento.

Con scarse risorse fiscali, potrebbero entrare in gioco strumenti alternativi. Come ricorda Van der Elst, “Lula potrebbe rivolgersi alle imprese statali o alle banche pubbliche per finanziare misure fuori bilancio”, seguendo l’esempio di Bolsonaro nel 2022. Petrobras ed Eletrobras, ad esempio, potrebbero essere spinte a investire in infrastrutture e programmi sociali, mentre istituti come BNDES o Banco do Brasil potrebbero offrire prestiti agevolati.

Ma queste strategie comportano rischi notevoli, soprattutto sul fronte inflazionistico. L’inflazione resta ostinatamente elevata, tra il 5,5% e il 6%, ben al di sopra dell’obiettivo del 3% fissato dalla banca centrale. Di conseguenza, il tasso d’interesse di riferimento è stato innalzato fino al 14,25% e potrebbe toccare il 15% entro metà 2025. Van der Elst avverte che “alcuni analisti ipotizzano addirittura un aumento fino al 18% per contenere la spirale inflazionistica”. Tuttavia, è improbabile che la banca centrale spinga i tassi oltre il 15,25% nel breve termine, proprio per evitare un impatto eccessivamente negativo sull’economia.

Intanto, anche il fronte conservatore si presenta frammentato. Bolsonaro, alle prese con processi giudiziari, potrebbe essere escluso dalla corsa presidenziale. “Sebbene stia valutando figure come sua moglie Michelle o il figlio Eduardo, nessuno dei due sembra al momento un candidato convincente”, afferma Van der Elst. L’opzione più solida sembra essere Tarcísio de Freitas, attuale governatore di San Paolo, anche se resta incerta la sua capacità di attrarre voti a livello nazionale.

Una vittoria conservatrice, secondo Van der Elst, “potrebbe rassicurare gli investitori sul fronte della disciplina fiscale”, ma la transizione rischia di essere turbolenta, soprattutto se dovesse comportare tagli drastici alla spesa sociale. La memoria dei disordini durante il primo mandato di Bolsonaro pesa ancora sulla politica brasiliana.

Sul piano internazionale, è improbabile che un cambio di governo alteri radicalmente la strategia del Paese. Il Brasile manterrà un approccio equilibrato con i partner regionali e gli Stati Uniti, anche se una recessione americana sotto un’eventuale amministrazione Trump rappresenterebbe un pericolo per i mercati emergenti più vulnerabili.

In definitiva, conclude Van der Elst, “la traiettoria economica del Brasile dipenderà da chi governerà e da come lo farà”. La sfida sarà trovare un equilibrio tra ambizioni fiscali, stabilità monetaria e fiducia degli investitori in un contesto di persistente pressione inflazionistica. Le elezioni del 2026 non saranno soltanto un voto politico, ma un vero e proprio referendum sulla sostenibilità economica del Brasile.