L’uomo che arrestò Mussolini. Frignani, un eroe dimenticato
Mario Avagliano ricostruisce la storia dell’ufficiale dell’Arma vittima dell’eccidio delle Fosse Ardeatine

De Robertis In pochi sanno chi è Giovanni Frignani, e negli stradari italiani quel nome non compare quasi mai. Per dire: la sua città, Ravenna, gli ha dedicato una strada (periferica) solo nel 2013, a quasi settanta anni dalla morte alle Fosse Ardeatine. Eppure l’Italia a Giovanni Frignani deve tanto, a lui e a quelli come lui, a quegli eroi silenziosi, silenziosi soprattutto nell’epopea successiva che ne ha (volutamente) oscurato il sacrificio, che senza un’insegna di partito (peccato originale in una narrazione resistenziale nata e irrobustitasi a uso e consumo delle forze politiche) dettero la vita perché l’Italia risorgesse dalle macerie della guerra e del fascismo.
Giovanni Frignani è l’ufficiale che guidò la delicatissima operazione dell’arresto di Benito Mussolini a Villa Savoia (l’odierna Villa Ada, all’epoca residenza privata di Vittorio Emanuele III) il 25 luglio 1943, che insieme ad altri dette vita al Fronte di resistenza clandestino dei carabinieri e che per questo fu arrestato dai tedeschi e poi trucidato alle Fosse Ardeatine nel marzo 1944 e la cui avventura è per la prima volta ricostruita nel bel saggio di Mario Avagliano L’uomo che arrestò Mussolini, storia dell’ufficiale dell’Arma Giovanni Frignani (Marlin editore), da pochi giorni in libreria.
Il libro di Avagliano, che ha riletto la vicenda umana e professionale di Frignani attraverso documenti d’epoca, fonti d’archivio finora inedite e testimonianze rimaste sepolte per anni chissà dove, rende giustizia non solo a Frignani ma anche a quelle migliaia di carabinieri che all’indomani dell’8 settembre, in giorni difficilissimi di spaesamento generale, non si unirono alla reazione tedesca e fascista, costituendo così il primo nucleo della rinascita culminata con la Liberazione. Parliamo di migliaia di uomini che si dettero alla macchia restando fedeli alla monarchia nel frattempo trasferitasi (c’è chi dice scappata) a Brindisi da dove il governo Badoglio cercò di organizzare un fronte di resistenza lealista. Degli 11mila carabinieri presenti in Italia, all’incirca cinquemila non aderirono alle bande fasciste cooperando con i nazisti ma a rischio della propria vita scelsero la clandestinità dando vita al Fronte clandestino di resistenza dei carabinieri (FCRC). Molti di loro furono poi individuati dai nazifascisti e passati per le armi. È appunto il caso di Frignani che insieme ad altri undici militari dell’Arma fu una delle 335 vittime della terribile strage delle Fosse Ardeatine.
Il libro di Avagliano è un saggio storico ma si legge bene, speditamente, un po’ come una spy story un po’ come un giallo, e nel tratteggiare la figura di questo ufficiale dell’Arma di origine romagnola (era nato a Ravenna nel 1897 da una agiata famiglia di possidenti agricoli, orientamento liberale e cattolico) che per la sua comprovata e nota fedeltà alla Corona fu scelto per guidare l’operazione che avrebbe portato all’arresto di Mussolini dopo la famosa decisione del Gran Consiglio del fascismo. Operazione che si svolse senza incidenti, ma che rappresentò un notevole livello di difficoltà operativa: da una parte Vittorio Emanuele non voleva che “a casa sua” succedessero incidenti di sorta, dall’altra parte Mussolini era guardato alle spalle da una nutrita componente di fascisti a lui fedeli e pronti a tutto. Il tenente colonnello Frignani riuscì nell’impresa, e senza intoppi l’ex Duce al termine dell’incontro con il sovrano nel pomeriggio del 25 luglio fu prelevato, caricato su un’ambulanza e portato in località protetta, facendolo sparire dalla circolazione. Frignani da quel momento finì nel mirino dei fascisti e dei nazisti, che cercarono in tutti i modi di arrestarlo e di vendicarsi. Decise di non scappare ma di restare a Roma e di animare dal di dentro la resistenza, insieme ad altri carabinieri e altri militari (tra tutti il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, anche lui fucilato alle Ardeatine).
Fu arrestato nel gennaio 1944 con ogni probabilità in seguito a una delazione tuttora rimasta anonima (e qui il libro si tinge di giallo), sperimentò la durezza delle torture a via Tasso e poi venne passato per le armi insieme ad altri 334 innocenti. Adesso il testo di Avagliano lo riporta in vita e gli restituisce un po’ dell’onore che merita. Lui e quelli che fecero la sua stessa scelta.