L’europeismo che fa male all’unità europea
Dare etichette ideologiche all’europeismo è il più grande danno che si possa fare all’unità europea. L'intervento del generale della Guardia di Finanza in congedo, Alessandro Butticé, autore di “Io l’Italia e l’Europa. Pensieri in libertà di un patriota italiano-europeo”

Dare etichette ideologiche all’europeismo è il più grande danno che si possa fare all’unità europea. L’intervento del generale della Guardia di Finanza in congedo, Alessandro Butticé, autore di “Io l’Italia e l’Europa. Pensieri in libertà di un patriota italiano-europeo”
La Roma del 15 marzo scorso, gremita di bandiere europee, è stata uno sprazzo di speranza per gli occhi di chi, come me, si considera un patriota italiano-europeo. Anche se avrei preferito che ci fossero state solo bandiere europee, e che la manifestazione avesse coinvolto tutti gli autentici Europeisti, e veri Patrioti, che appartengono a quasi tutti gli schieramenti politici nazionali. A cominciare da Forza Italia, il partito più europeista del governo, e l’unico italiano a fare parte del più grande gruppo politico al Parlamento europeo, il Ppe, di cui il primo Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, Antonio Tajani, ne è il Vicepresidente. Perché dare etichette ideologiche di sinistra all’unitá europea è da tempo, soprattutto in Italia, un danno non inferiore a quello che le viene provocato dal piú peloso e anti-patriottico sovranismo. Per le ragioni spiegate, nel febbraio del 2021, in un mio articolo per Eurocomunicazione (Europeismo dogmatico e radical chic? Bisogna stare con i piedi per terra).
Ma è pure un danno quello provocato dagli Europeisti del centro-destra, che non dovrebbero permettere l’indebita appropriazione, agli occhi dei cittadini, da parte delle sinistre italiane del grande progetto di pace, sicurezza e libertà che si chiama oggi Unione Europea. Le Istituzioni della quale, peraltro, hanno oggi vertici politici appartenenti soprattutto al centro-destra.
La mia soddisfazione dimezzata per quella folla di bandiere blu stellate, si è presto trasformata nello scoramento provocato dalle violente polemiche seguite alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni. Secondo la quale l’Europa del «Manifesto di Ventotene» – quella, cioè, di Altiero Spinelli, l’unico di estrazione comunista tra i Padri fondatori dell’unitá europea – non è la sua.
Dichiarazione seguita da invettive e dal volare di stracci, da una parte e dall’altra, che, come spesso accade in Italia, si sono trasformati in caciara. Che nulla dovrebbe avere a che fare con l’unità europea, ma neppure nazionale. Entrambe tanto necessarie, in un momento così drammatico della nostra storia recente, per fare fronte alle sfide epocali che dobbiamo affrontare.
L’Unità europea, come quella nazionale, non può appartenere ad una parte
L’unitá europea, come la pace, e l’unità nazionale, non possono essere né di destra, né di sinistra, ma neppure di centro. Perché appartengono a tutti. Come di tutti dovrebbe essere il dovere di difenderle, sostenendo anche, in modo bipartisan, il recente progetto di Difesa europea. Ed è un dovere che ritengo debba appartenere soprattutto alle generazioni mie e vicine alla mia, cresciute nei privilegiati Anni Sessanta-Ottanta. Perché sono generazioni che l’unitá europea l’hanno ricevuta gratis, assieme a libertà, democrazia, prosperità e sicurezza, dai nostri padri e nonni, che ce l’hanno donata anche al prezzo del loro sangue. Ed è alle nostre generazioni, e a quelle a noi più vicine, che incombe il dovere di tramandarla intatta a quelle future. Se non vorremo essere maledetti dai nostri figli e nipoti. Mentre non mi sembra autentico Europeismo l’utilizzo polarizzato, polarizzante e ideologico della bandiera europea per soli fini di consenso interno. Convinto come sono che il vero Europeismo dovrebbe essere invece ideologicamente laico, al fine di aggregare il maggiore consenso possibile attorno all’ideale dell’unità europea. Nello spirito dei suoi Padri fondatori.
Un’eredità plurale: le diverse radici dell’Unione
L’Unione Europea, da alcuni presentata oggi come un elemento estraneo alla nostra casa e patria comune, è in realtà il risultato di un’alchimia complessa, un crogiolo di idee e visioni provenienti da leader con background politici e nazionali profondamente diversi. Tutti accomunati dall’aver vissuto le tragedie delle due Guerre mondiali che hanno sconvolto il continente nella prima metà del secolo scorso. Ma le loro diversità, anche ideologiche, lungi dall’essere un ostacolo, sono state la vera forza motrice del progetto europeo, permettendo di superare divisioni secolari e costruire un futuro condiviso.
Troppo spesso, però, ci si dimentica di questa ricchezza di prospettive, riducendo l’europeismo, soprattutto in Italia, e negli ultimi anni, ad una mera questione di appartenenza politica. Si creano così schieramenti rigidi, etichette politiche che finiscono per escludere ed allontanare, anziché unire e includere. Ed è un errore che rischia di compromettere il futuro stesso dell’Unione, trasformandola in un campo di battaglia ideologico anziché in un terreno fertile per la collaborazione e il progresso.
Per comprendere appieno l’importanza di un approccio plurale della costruzione europea, è utile ripercorrere le figure chiave che l’hanno plasmata. Analizzando le loro diverse provenienze, nazionali e ideologiche, ma anche le loro motivazioni, che devono essere ricordate. Permettendo di non considerare come blasfemia, ma nemmeno segno di anti-euopeismo, il dichiararsi più a favore di una visione dell’unità europea rispetto ad un’altra. Anche se, quando si occupano alte cariche istituzionali, ai fini della sempre utile coesione nazionale per fare fronte a gravi emergenze, sarebbe meglio pesare con bilancini da orefice le parole della propria comunicazione.
I Padri nobili della costruzione europea
Senza dimenticare Giuseppe Mazzini, Padre della Patria e del Risorgimento italiani, ma anche fondatore de «La Giovine Europa» (che la Fondazione Insigniti dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana ricorderà il 19 maggio, nel quadro delle celebrazioni per la festa dell’Europa, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles), sono sei i principali Padri nobili della costruzione europea. Tre dei quali di estrazione cristiana democratica, uno socialista, uno laico, ed uno comunista.
Robert Schuman (Francia). Ministro degli Esteri francese, Schuman, esponente del pensiero cristiano-democratico, comprese che la chiave per la pace e la prosperità in Europa risiedeva nella riconciliazione tra Francia e Germania. Il suo piano per la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) fu un atto di coraggio e lungimiranza, gettando le basi per una cooperazione economica che avrebbe poi portato all’integrazione politica.
Konrad Adenauer (Germania): Primo Cancelliere della Germania Ovest, Adenauer, anch’egli cristiano-democratico, si impegnò a fondo per reintegrare la Germania nel consesso delle nazioni europee, superando le ferite della Seconda Guerra Mondiale. La sua visione era quella di un’Europa forte e coesa, capace di garantire la pace e la stabilità nel continente.
Alcide De Gasperi (Italia): Primo Ministro italiano, De Gasperi, altro esponente di spicco del pensiero cristiano-democratico, considerava l’integrazione europea essenziale per la stabilità e la crescita economica dell’Italia. La sua fede nella cooperazione internazionale e nel dialogo tra le nazioni fu fondamentale per la costruzione di un’Europa unita.
Jean Monnet (Francia): Economista e diplomatico, Monnet, pur non appartenendo a uno specifico schieramento politico, fu un convinto sostenitore dell’integrazione europea. La sua visione era quella di un’Europa pragmatica e funzionale, basata sulla cooperazione economica e sulla creazione di istituzioni sovranazionali.
Paul-Henri Spaak (Belgio): Ministro degli Esteri belga, Spaak, esponente del socialismo, promosse con forza le istituzioni sovranazionali, contribuendo in modo determinante alla stesura del Trattato di Roma e alla creazione del Mercato Comune Europeo.
Altiero Spinelli (Italia): Intellettuale e politico, Spinelli, proveniente dalle fila del marxismo, fu un fervente sostenitore del federalismo europeo. Il suo “Manifesto di Ventotene”, scritto durante il confino, immaginava un’Europa federale capace di superare i nazionalismi e prevenire nuovi conflitti.
Oltre le etichette: un appello alla responsabilità
Questi leader, considerati e celebrati come i Padri fondatori della costruzione europea, pur con le loro diverse nazionalità, sensibilità e appartenenze politiche, hanno saputo mettere da parte gli interessi di partito per perseguire un obiettivo comune: la costruzione di un’Europa unita, pacifica e prospera. Oggi, in un contesto segnato da crescenti divisioni, polarizzazioni e populismi, è fondamentale riscoprire questo spirito di collaborazione e superare le sterili contrapposizioni ideologiche. Che è di tutta evidenza siano strumentalizzate, quando non provocate, da potenze che hanno più interesse a trattare con 27 staterelli divisi e litigiosi, piuttosto che con un gigante economico di oltre 450 milioni di abitanti. Piú grande degli Stati Uniti (330 milioni) e oltre tre volte la popolazione della Russia (144 milioni).
Un gigante che fa paura alle grandi potenze, perché, se fosse unita sotto un’unica guida politica e militare, l’Ue sarebbe una delle più grandi superpotenze mondiale. Senza tuttavia essere una minaccia per il mondo, bensì un garante di pace e sicurezza globale. In quanto l’obiettivo scritto nel suo DNA non è competere in una corsa agli armamenti con USA e Russia, ma garantire, anche attraverso una propria Difesa, integrata o sinergica alla NATO, un futuro senza guerre ai nostri figli e nipoti. In linea col pensiero dei suoi Padri fondatori, a cominciare da Alcide De Gasperi, che pure avevano pensato ad una Difesa comune. Non per dominare il mondo, ma per evitare che si ripetano gli orrori delle guerre passate.
Il vero Europeismo non può quindi essere ridotto ad una mera questione di appartenenza politica. Non può neppure essere monopolizzato da una singola forza o da un’unica visione, come fatto da chi, in Italia, vorrebbe identificarla con quella dell’unico marxista tra i padri fondatori. Quell’Altiero Spinelli che, a Strasburgo, secondo un simpatico aneddoto raccontato da Massimo Balducci su StartMag il 21 marzo, «si riuniva con i suoi al ristorante Le Crocodile, un ristorante costosissimo afferente alla nouvelle cuisine. Non proprio un ristorante in linea con lo stile di vita di una sinistra che vede nella proprietà privata un ostacolo da superare e non un baluardo dello Stato di Diritto».
Il vero Europeismo deve tornare invece ad essere un terreno di confronto e dialogo, aperto a tutte le voci e a tutte le sensibilità, comprese quelle dei tanti italiani che si ispirano magari piú alla visione dell’Europa di De Gasperi che a quella di Spinelli. Solo così, come i Padri del Risorgimento sono riusciti a creare l’Unitá nazionale, ed i Costituenti sono riusciti a creare le fondamenta pluraliste della Repubblica Italiana, potremo costruire un’unitá europea più forte, più giusta e più capace di rispondere alle sfide poste dal drammatico presente e dal più fosco futuro.
Dare etichette politiche all’europeismo, rischiando di farlo diventare agli occhi di molti un europeismo dogmatico o radical chic, di questi tempi è il peggiore servizio che si possa rendere all’unità ed al patriottismo europei. Ed è un monito che dovrebbero tenere a mente tutti coloro che dicono di battersi per la difesa ed il rafforzamento dell’unità europea, impegnandosi invece a promuovere un europeismo sempre più inclusivo e plurale, capace di unire anziché dividere, di costruire anziché distruggere, e di riavvicinare i cittadini all’Europa, piuttosto che allontanarli.
Un futuro da costruire insieme
L’Unione Europea resta un progetto in continua evoluzione, un cantiere aperto dell’unica costruzione sovranazionale dell’umanità fatta nella pace. Con confronti, anche duri, ma pur sempre attorno ai tavoli di Bruxelles. Mentre prima si svolgevano sui campi di battaglia. Perché questo non si ripeta, nonostante gli innegabili limiti della governance, richiamati anche in una mia recente lettera aperta ai vertici delle principali Istituzioni Ue, pubblicata da StartMag il 27 febbraio, è necessario l’impegno e la partecipazione di tutti coloro che si dichiarano «patrioti» ma anche «europeisti». Perché, nel 2025, può esistere solo un tipo di patriottismo: quello nazionale-europeo, che è tutt’altro che un ossimoro.
Non possiamo infatti permetterci di lasciare che le divisioni ideologiche e gli interessi di parte compromettano il futuro dell’unità europea e, di conseguenza, del nostro Paese. Dobbiamo riscoprire quindi lo spirito plurale dei padri fondatori, la loro capacità di superare le divergenze, e di lavorare insieme per un obiettivo comune.
Solo così potremo costruire un’Europa che sia davvero all’altezza delle sfide del XXI secolo. Un’Europa che sappia coniugare, ma anche difendere da ogni minaccia, interna e esterna, crescita economica, progresso sociale e tutela dell’ambiente. Un’Europa che continui ad essere un faro di democrazia, libertà e giustizia per il mondo intero. «Whatever it takes!»