L’Europa a caccia di capitali: risparmi fermi nel mirino
LE SFIDE EUROPEE si moltiplicano e si fanno più urgenti: difesa comune, industria green, rincorsa al digitale e all’intelligenza artificiale,...

LE SFIDE EUROPEE si moltiplicano e si fanno più urgenti: difesa comune, industria green, rincorsa al digitale e all’intelligenza artificiale, rilancio della competitività delle imprese. Per finanziare tali obiettivi, ancora una volta lo sguardo si posa sulla ricchezza delle famiglie: la “terra rara” di cui l’Europa dispone, ma che resta per lo più ferma sui conti correnti senza arrivare ad alimentare la crescita dell’economia. Nasce l’ambizioso progetto dell’“Unione dei Risparmi e degli Investimenti”, l’ultima iniziativa dell’Unione Europea per incoraggiare le famiglie a far fruttare i propri risparmi attraverso i mercati finanziari. L’obiettivo è semplice ma cruciale: investire oggi per assicurarsi un maggiore benessere economico domani. Una spinta gentile, ma necessaria soprattutto in Italia, dove l’81% delle persone dichiara di pensare con frequenza al proprio futuro, anche in un’ottica di lungo periodo. Tuttavia, solo il 20% ha davvero preso provvedimenti per integrare la pensione pubblica con forme di risparmio o investimento privato. Il problema principale è la mancanza di consapevolezza. In pochi sanno che, tra vent’anni, l’assegno pensionistico si fermerà in media al 46% dell’ultima retribuzione. Infatti, il 50% degli italiani tra i 45 e i 50 anni è convinto di ricevere almeno il 70%. Un divario tra percezione e realtà che rischia di mettere in difficoltà milioni di famiglie se non affrontato con decisione.
Per quanto riguarda il mondo delle imprese, l’Europa punta sulle PMI. Nel suo piano di rilancio economico, infatti, la Commissione europea promuove una maggiore diversificazione delle fonti di finanziamento. L’obiettivo è chiaro: aiutare le aziende a crescere, migliorare la struttura societaria e di governo per raggiungere una struttura tale da poter finanziare l’innovazione e lo sviluppo anche attraverso il mercato dei capitali, sia pubblico che privato. In Italia, però, il percorso è tutt’altro che in discesa: gli imprenditori italiani sono ancora restii ad aprire il capitale. Secondo un’indagine Aipb, il 76% degli imprenditori sceglie ancora di operare tramite una società a responsabilità limitata, mantenendo una leadership fortemente accentrata. In oltre il 74% dei casi, il controllo è affidato a un’unica figura – prevalentemente maschile – che accentra le decisioni strategiche e operative. Un modello che il 90% degli intervistati non ritiene necessario cambiare nemmeno in prospettiva. Anche quando si affaccia la possibilità di aprire parzialmente il capitale a nuovi soci, due imprenditori su tre segnalano ostacoli rilevanti: difficoltà a trovare partner affidabili, costi elevati e tempi lunghi. Di conseguenza, le scelte strategiche rimangono orientate al breve periodo, con un’ampia preferenza per forme di finanziamento tradizionali come l’autofinanziamento, il reinvestimento degli utili e i prestiti bancari.
A sorprendere è anche l’ambizione limitata: solo il 35% degli imprenditori dichiara di voler far crescere la propria azienda, una percentuale che sale al 44% tra le grandi imprese. Sono proprio queste ultime, infatti, a mostrarsi più propense ad espandersi entrando in nuovi mercati o acquisendo altre realtà. Strumenti più moderni e potenzialmente efficaci, come l’apertura del capitale o l’emissione di obbligazioni attraverso i mercati dei capitali, restano poco diffusi e in molti casi poco conosciuti. Il 55% degli imprenditori, ad esempio, dichiara di non avere familiarità con i fondi di Private Equity o Private Debt, mentre il 70% non conosce i Club Deal, modalità sempre più diffuse in Europa per favorire investimenti condivisi in aziende in crescita. Per sostenere davvero la crescita delle pmi, quindi, non basta mettere a disposizione nuovi strumenti: serve anche un cambiamento culturale che aiuti gli imprenditori a guardare oltre i confini tradizionali del fare impresa. Infine, c’è un dato che dice tutto: il 74% di chi riceve una consulenza finanziaria evoluta pianifica il proprio futuro tenendo conto della possibilità di vivere anche molto a lungo. Tra chi riceve una consulenza di base, questa consapevolezza si ferma al 58%. Questa differenza è molto più di una percentuale: è la misura di quanto la consulenza professionale possa davvero cambiare il nostro modo di guardare al denaro, agli investimenti e – in fondo – alla vita. In un Paese dove l’educazione finanziaria è ancora bassa, dove le imprese fanno fatica a crescere per mancanza di visione e strumenti, la figura del consulente diventa la chiave di volta per prendere decisioni più informate, più serene e più lungimiranti. Per il singolo risparmiatore, significa imparare a proteggere il proprio patrimonio, diversificare gli investimenti e costruire un piano che tenga conto anche dell’incertezza. Per l’imprenditore, significa affrontare con maggiore consapevolezza le sfide del passaggio generazionale, dell’accesso al capitale e della crescita strutturata.
In un mondo in cui tutto corre veloce, il vero lusso è poter rallentare per pensare davvero al domani. E la consulenza finanziaria professionale è lo strumento che aiuta a farlo, con metodo, visione e professionalità. Naturalmente, per rendere questo servizio ancora più accessibile, servono anche regole che semplifichino la burocrazia e riducano i costi. Ma ciò che davvero può cambiare le cose sono incentivi fiscali mirati, capaci di premiare chi investe in modo paziente e responsabile: sgravi sui costi iniziali, minori tasse sui rendimenti, o aliquote decrescenti in base alla durata dell’investimento. Perché i mercati hanno bisogno di più risorse, sì, ma soprattutto di capitali pazienti, ben orientati e protetti nel tempo.
Segretario Generale Aipb
(Associazione Italiana Private Banking)