L’Estonia intensifica la guerra culturale con Mosca: il russo diventa lingua straniera

Con il pretesto della minaccia di invasione da parte della Russia e in un contesto sempre più ostile tra gli Stati Baltici e lo Stato eurasiatico, il governo estone ha deciso, attraverso una riforma del sistema scolastico, di abolire la lingua russa dalle scuole entro il 2030, sostituendola con l’uso esclusivo dell’estone e rendendo il russo […] The post L’Estonia intensifica la guerra culturale con Mosca: il russo diventa lingua straniera appeared first on L'INDIPENDENTE.

Mar 7, 2025 - 18:17
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L’Estonia intensifica la guerra culturale con Mosca: il russo diventa lingua straniera

Con il pretesto della minaccia di invasione da parte della Russia e in un contesto sempre più ostile tra gli Stati Baltici e lo Stato eurasiatico, il governo estone ha deciso, attraverso una riforma del sistema scolastico, di abolire la lingua russa dalle scuole entro il 2030, sostituendola con l’uso esclusivo dell’estone e rendendo il russo una lingua «straniera». Si tratta di una decisione che intensifica la già presente guerra culturale dell’Estonia, e in generale dei Paesi baltici, contro la minoranza russa: i russi sono, infatti, considerati storicamente alla stregua di occupanti all’interno delle società baltiche divenute indipendenti dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991. Il provvedimento rischia così di generare ulteriori attriti e discriminazioni etniche, andando a colpire quasi quattrocentomila persone. La minoranza russofona in Estonia comprende, infatti, circa il 30% della popolazione, con oltre il 40% dei russofoni che vive nella capitale Tallin e la restante parte che vive invece a Nord-Est del Paese, vicino al confine russo, con città come Narva dove i russofoni rappresentano il 90% dei residenti.

Sebbene rischi di inasprire una situazione già tesa nei rapporti con la Russia, proprio in un momento in cui le nazioni europee risultano particolarmente vulnerabili a causa delle decisioni dell’amministrazione Trump, la decisione del governo estone non sorprende: l’ex primo ministro del Paese, e attuale Alta rappresentante per gli Affari Esteri dell’Unione Europea, Kaja Kallas, infatti è una delle figure politiche più ostili alla Russia, sostenitrice della necessità di prepararsi alla guerra con Mosca. La recente decisione sulla lingua russa, d’altra parte, è solo l’ultima di una serie di azioni simili: nel 2022, ad esempio, il governo estone si era impegnato a smantellare i monumenti di epoca sovietica da tutta la nazione, a partire dalle zone russofone. «In quanto simboli della repressione e dell’occupazione sovietica, questi monumenti sono diventati una fonte di crescenti tensioni sociali», aveva scritto l’ex premier Kallas su Twitter, aggiungendo che «In questi momenti, dobbiamo ridurre al minimo il rischio per l’ordine pubblico». La mossa aveva indotto il governo russo a inserire la Kallas nella lista dei ricercati, in quanto la profanazione dei monumenti di guerra è un reato penale nella Federazione russa.

Un altro problema che riguarda la minoranza russa fin dall’indipendenza dei Paesi baltici dall’URSS è quello della cittadinanza: al momento dell’indipendenza, Lettonia e Estonia non hanno concesso la cittadinanza ai russi, tranne per quelli che erano residenti nei due Paesi da prima del 1940, anno dell’occupazione sovietica. La Lituania si è dimostrata, invece, quella più inclusiva, concedendo alle minoranze retaggio dell’ex Unione sovietica la sua cittadinanza. Se in Estonia circa il 30% della popolazione è russa, in Lettonia la percentuale di russi ammonta ad oltre un quarto dell’intera popolazione: ciò significa che migliaia di persone vivono senza essere riconosciuti da alcuna madrepatria. Si tratta dei cosiddetti russi “apolidi”, che ancora oggi posseggono i passaporti grigi per non-cittadini e non hanno accesso al diritto di voto o al pubblico impiego.

Tornando alla questione della lingua, elemento che ricopre un ruolo chiave all’interno dell’identità di una Nazione, nel 2018 la Lettonia ha vietato l’insegnamento di materie in lingue non riconosciute come ufficiali all’interno dell’UE, russo incluso. La decisione aveva suscitato il disappunto delle minoranze linguistiche, ma anche la contrarietà del Cremlino, che aveva definito il provvedimento «un atto di discriminazione e di assimilazione forzata». In Estonia, invece, è stato istituito un organo chiamato «ispezione linguistica», volto a multare le persone per l’uso di qualsiasi lingua straniera in un cartello o in qualsiasi altro testo pubblico. In un contesto dove l’unica lingua straniera usata nei documenti pubblici è di fatto il russo. Tra le decisioni di questo tipo si può annoverare anche la legge sulla lingua firmata nel 2019 dall’allora presidente ucraino Petro Porošenko: la legge ha tolto alle lingue minoritarie, russo compreso, lo status di lingue regionali limitando drasticamente il loro utilizzo nella sfera pubblica. Una decisione che ha alimentato le discriminazioni nelle regioni russofone del Donbass.

La decisione del governo estone si inserisce, dunque, in un clima di tensione dovuto al mancato superamento degli attriti e dei retaggi storici e, lungi dall’attenuare il divario sempre più ampio che si è creato tra Russia e Europa, non fa altro che inasprirlo, a scapito di minoranze destinate a pagare sulla propria pelle gli scontri in atto tra i governi.

[di Giorgia Audiello]

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