Le morti sul lavoro sono omicidi: per capirlo, bisogna andare dove imperano il lavoro nero e le catene di appalti
L’11 aprile 2025 un’auto arriva all’Ospedale Umberto I di Nocera Inferiore (SA). In due scendono. Portano una terza persona. È un ragazzo. Giovanissimo. Ed è in condizioni gravissime. Morirà poco dopo il ricovero nel reparto di Rianimazione. In quelle ore non gli si riesce a restituire nemmeno la dignità di un nome. Ci vorrà un […] L'articolo Le morti sul lavoro sono omicidi: per capirlo, bisogna andare dove imperano il lavoro nero e le catene di appalti proviene da Il Fatto Quotidiano.

L’11 aprile 2025 un’auto arriva all’Ospedale Umberto I di Nocera Inferiore (SA). In due scendono. Portano una terza persona. È un ragazzo. Giovanissimo. Ed è in condizioni gravissime. Morirà poco dopo il ricovero nel reparto di Rianimazione. In quelle ore non gli si riesce a restituire nemmeno la dignità di un nome. Ci vorrà un po’ prima che si sappia: si chiamava Yassine Bousenna. 17 anni. Marocchino. Al primo giorno di lavoro, dicono. La realtà è però un’altra, come in tanti dei “morti il primo giorno di lavoro” denunciati dalle cronache. Yassine non era al primo giorno; era un lavoratore in nero in un’azienda di trattamento rifiuti. E, per poche decine di euro al giorno, è rimasto ucciso, schiacciato da un macchinario.
Non chiamiamoli incidenti. Sono omicidi. Meglio ancora “operaicidi”, come segnala Bruno Giordano, ex direttore dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL): “Quando si tratta di 1.070 operai all’anno ammazzati chiamiamoli operaicidi: non si muore sul lavoro nei consigli di amministrazione”.
Nel 2024 il 35% dei morti sul lavoro sotto i 60 anni era straniero (a fronte di una popolazione straniera sotto il 10% del totale). Yassine è uno di loro. Yassine è stato ucciso quand’era ancora un ragazzo. Come Patrizio Spasiano, 19 anni; Luana D’Orazio, 22 anni; Mattia Battistetti, 23 anni; Daniel Tafa, 22 anni; Samuel Tafciu, 18 anni e Sara e Aurora Esposito, gemelle di 26 anni, morti nella strage della fabbrica di fuochi d’artificio di Ercolano (NA); come Lorenzo Parelli, 18 anni, Giuseppe Lenoci, 16 anni, e Giuliano De Seta, 18 anni, uccisi in alternanza scuola-lavoro.
Eccoveli i “divanisti”, i “choosy”, i giovani scansafatiche…
Se vogliamo capire cosa sia il lavoro in Italia nel 2025 è da questi abissi di dolore e rabbia che si deve partire, non dalle stanze del Megadirettore Galattico Duca Conte Balabam. Bisogna andare in quelle aziende in cui impera il lavoro nero, una piaga che colpisce 3 milioni di persone, le finte partite Iva, i finti stage a 500€ al mese. Per combattere il lavoro irregolare servirebbe innanzitutto aumentare e rafforzare i controlli. Ma il potere politico sembra più attento a non disturbare il potere economico (ricordate Giorgia Meloni il giorno dell’insediamento al Governo?): all’INL mancano tra i 3.600 e i 5.900 tecnici, parola del Sole 24 Ore; solo 399 milioni di euro l’anno delle risorse delle Aziende Sanitarie Locali (Asl) sono destinati ai Servizi di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (Spsal). Eppure il Ministero del Lavoro di Marina Calderone sembra più interessato a far rientrare dalla finestra le “dimissioni in bianco” e a ridurre/eliminare sanzioni per alcuni comportamenti delittuosi delle imprese.
Nell’inferno delle catene di appalti e subappalti, selvaggiamente liberalizzati dal Ministro Salvini. Catene al cui vertice c’è un committente che spesso è un grande gruppo industriale (a volte anche in mano pubblica): è il caso delle stragi di Brandizzo (Rfi), Suviana (Enel Green Power), Calenzano (Eni), Firenze (Esselunga). I grandi scaricano i costi sui livelli più bassi della catena. A ogni anello c’è qualcuno che deve ricavare il suo margine di profitto. Indovinate un po’ sulle spalle di chi? Più scendi la scala infernale più avrai salari da fame, lavoro irregolare, zero sicurezza. È il segreto di Pulcinella.
Oggi chi è a capo della catena non ha responsabilità se ci sono morti o feriti sul lavoro. Anche per cambiare questo scempio l’8 e 9 giugno è importante votare “sì” al relativo quesito referendario, affinché chi è in cima sia finalmente responsabile di ogni anello sotto di sé.
Bisogna mettere piede nelle piccole e piccolissime aziende, quelle in cui l’articolo 18 non c’è mai arrivato. Quelle in cui il sindacato fatica a entrare. Anziché estendere a questa tipologia di impresa le garanzie delle più grandi, il Pd di Renzi – seguendo la linea già aperta da Monti-Fornero – pensò bene di fare l’opposto: meno tutele per tutti. Così l’articolo 18 venne cancellato per tutti i nuovi assunti. Il risultato? Pensate che qualche lavoratore possa rifiutarsi di svolgere lavori pericolosi o in assenza di sicurezza se rischia di essere licenziato e buttato via costando all’impresa solo poche migliaia di euro di risarcimento?
Quando Meloni & Co. si esaltano per il record del tasso di occupazione, “mai così alto dai tempi di Garibaldi”, fanno finta di non sapere come vivano troppi lavoratori e lavoratrici. Dal 1990 al 2020 mentre i salari dei lavoratori di tutti i Paesi Ocse crescevano, i nostri sono calati del 2,9%. Negli ultimi 4 anni (di cui due e mezzo col Governo dell’ultradestra) il potere d’acquisto di un lavoratore in media è crollato di un ulteriore 8%.
Non è un caso. Se il potere politico non ha offerto soluzioni capaci di difendere il salario e la vita di lavoratori e lavoratrici, è perché è stato il maggiordomo di un potere economico che ha costruito la propria competitività su bassi salari, bassi investimenti in tecnologia e sicurezza ed evasione fiscale.
Il Governo Meloni non ha alcuna intenzione di cambiare linea. Nemmeno la guerra commerciale lanciata da Trump sembra condurlo a più miti consigli. Così continua, ad esempio, a opporsi all’introduzione di un salario minimo di almeno 10 euro l’ora che sarebbe una novità positiva non solo per quei 5 milioni di lavoratori e lavoratrici che vedrebbero le buste paga un po’ più piene; potrebbe, infatti, essere il primo tassello di una strategia di più ampio respiro tesa a ripristinare un mercato interno depresso dalla deflazione salariale degli ultimi 30 anni.
L’interesse dei lavoratori e delle lavoratrici, non certo quello di una minoranza parassitaria cresciuta e pasciuta solo grazie all’appoggio del potere politico, è l’interesse del Paese.
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