Le leve nella motivazione e nella longevità professionale di un consulente finanziario
“Il nostro cervello non si motiva a lungo termine solo con incentivi esterni (denaro, premi, obiettivi). Questi attivano la nostra dopamina, ma in modo breve e ciclico. Una volta raggiunto il risultato, il piacere cala rapidamente. Al contrario, quando una persona collega le sue azioni a un significato profondo o a un valore personale, si... Leggi tutto

“Il nostro cervello non si motiva a lungo termine solo con incentivi esterni (denaro, premi, obiettivi). Questi attivano la nostra dopamina, ma in modo breve e ciclico. Una volta raggiunto il risultato, il piacere cala rapidamente. Al contrario, quando una persona collega le sue azioni a un significato profondo o a un valore personale, si attiva il nostra sistema motivazionale intrinseco, che ha effetti più stabili e duraturi. Questo genera un senso di coesione interiore, che protegge dalla frustrazione e dalla fatica emotiva”. Parola di Loris Ventura, area manager di Fideuram Ispb, che sui social ha detto la sua circa questo interessante argomento.
“Cambiare la percezione del proprio lavoro in funzione di un perché più alto stimola la la capacità del cervello di creare nuove connessioni sinaptiche.
Questo permette:
– Maggiore resilienza allo stress
– Rinnovata curiosità
– Maggiore apertura mentale anche verso strumenti nuovi
In pratica: dare un nuovo significato al proprio ruolo riattiva il cervello, come se si iniziasse un nuovo capitolo.
Diversi studi psicologici dimostrano che chi lavora con uno scopo percepito ha livelli più alti di benessere soggettivo e minore incidenza di burnout. Il “purpose” agisce da filtro emotivo e anche le difficoltà quotidiane vengono reinterpretate come parte di una missione, non come semplici ostacoli.
Quando un consulente esperto condivide il proprio “perché” con sincerità, si attivano nei colleghi (soprattutto nei più giovani) neuroni specchio, che favoriscono l’empatia e la risonanza emotiva. Questo crea un clima motivazionale contagioso, più potente di qualsiasi formazione tecnica.
Raccontare al team il proprio “perché” con esempi concreti (storie di clienti, successi, fatiche superate) attiva nel cervello di chi ascolta, aree sensoriali e motorie (come se stesse vivendo l’esperienza in prima persona) e ossitocina, l’ormone della fiducia, che rafforza il legame con il gruppo. In questo modo i valori del consulente diventano esperienza condivisa, e non solo parole.
Chi racconta il proprio “perché” rafforza la propria identità professionale: il cervello rielabora i ricordi e li organizza in una narrazione coerente, aumentando:
– Autoefficacia percepita
– Orgoglio professionale
– Senso di padronanza
E questo, a sua volta, motiva a continuare, ispirare e guidare.
Integrare questi meccanismi significa favorire momenti di introspezione individuale, creare occasioni strutturate di condivisione del “perché” nei team meeting, in modo autentico, non solo formale, allenare la narrazione identitaria. Ogni consulente dovrebbe saper raccontare “chi è”
attraverso “perché fa ciò che fa”“.