Le banche centrali e il dilemma della crescita

A cura di Jack Kelly, portfolio manager di Fineco Asset Management Le riunioni di Bce e Fed questo mese si sono svolte in un momento particolarmente significativo, permettendo alle banche centrali di rispondere in tempo reale agli sviluppi macroeconomici. Per la Bce, l’attenzione era focalizzata sulla reazione al piano fiscale senza precedenti del futuro cancelliere... Leggi tutto

Apr 3, 2025 - 12:38
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Le banche centrali e il dilemma della crescita

A cura di Jack Kelly, portfolio manager di Fineco Asset Management

Le riunioni di Bce e Fed questo mese si sono svolte in un momento particolarmente significativo, permettendo alle banche centrali di rispondere in tempo reale agli sviluppi macroeconomici. Per la Bce, l’attenzione era focalizzata sulla reazione al piano fiscale senza precedenti del futuro cancelliere tedesco, Friedrich Merz, che prevede una spesa di circa 1.000 miliardi di euro in 10 anni e la cui approvazione segnerebbe una rottura con la tradizione e l’abbandono del freno al debito Schuldenbremse, in vigore dal 2009. La presidente Christine Lagarde ha scelto di non includere gli effetti di questo massiccio stimolo fiscale nelle previsioni della Bce, rivedendo invece al ribasso le prospettive di crescita. Il mercato ha interpretato questa posizione come un segnale che la banca centrale, in linea con altre istituzioni europee, intende facilitare piuttosto che ostacolare l’impulso alla crescita nell’Eurozona. Anche Joachim Nagel, membro della Bundesbank, ha espresso un parere favorevole sul piano di Merz. Il risultato di questi sviluppi è stato un aumento dei rendimenti obbligazionari nell’Eurozona, che ora si prepara a un incremento delle emissioni nei prossimi mesi.
Anche il meeting della Fed del 19 marzo ha portato a una revisione al ribasso delle previsioni di crescita negli Usa pari allo 0,3%, mentre l’inflazione è stata rivista al rialzo dello 0,3% a causa dei dazi imposti finora dall’amministrazione Trump. Durante la conferenza stampa, Jerome Powell ha sottolineato l’elevata incertezza del contesto economico, un aspetto comprensibile considerando le continue modifiche ai dazi: quelli sul Messico sono stati annunciati, rinviati e poi applicati, i dazi sulle auto rinviati di un mese, mentre le merci conformi all’accordo Usa-Messico-Canada sono state temporaneamente escluse. In questo scenario, la Fed sta cercando di incorporare una politica fiscale in costante evoluzione nelle sue valutazioni di politica monetaria.
Sebbene i dazi possano essere applicati immediatamente, le catene di approvvigionamento necessitano di tempo per adeguarsi, generando pressioni al rialzo sui prezzi e, di conseguenza, sull’inflazione. Gli indicatori di sentiment sull’inflazione attesa hanno mostrato un netto aumento, ma Powell ha definito “transitoria” l’inflazione derivante dai dazi, inviando così un segnale di ammorbidimento per le obbligazioni statunitensi, pur mantenendo i tassi invariati. Tuttavia, ciò non è stato sufficiente per il presidente Donald Trump, che ha sollecitato un taglio dei tassi per facilitare l’impatto dei dazi sull’economia statunitense.
In un contesto di forte incertezza, saranno i dati concreti provenienti dal mercato del lavoro e dell’andamento dei prezzi a guidare la Federal Reserve, impegnata a separare le indicazioni concrete sullo stato dell’economia Usa dal rumore di fondo.