La prima omelia di Papa Leone XIV: “Ridurre Gesù a una specie di leader carismatico o di superuomo è un ateismo di fatto”
Croce pastorale realizzata per Benedetto XVI e successivamente usata anche da Francesco. Incedere veloce verso la Cappella Sistina. Sicurezza come se fosse Papa da sempre. Così Leone XIV, Robert Francis Prevost, si è presentato nel luogo dove, il pomeriggio dell’8 maggio 2025, è stato eletto, al quarto scrutinio, 267esimo Pontefice per presiedere la messa pro […] L'articolo La prima omelia di Papa Leone XIV: “Ridurre Gesù a una specie di leader carismatico o di superuomo è un ateismo di fatto” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Croce pastorale realizzata per Benedetto XVI e successivamente usata anche da Francesco. Incedere veloce verso la Cappella Sistina. Sicurezza come se fosse Papa da sempre. Così Leone XIV, Robert Francis Prevost, si è presentato nel luogo dove, il pomeriggio dell’8 maggio 2025, è stato eletto, al quarto scrutinio, 267esimo Pontefice per presiedere la messa pro Ecclesia, la prima celebrazione eucaristica del suo pontificato. Concelebravano con lui tutti i cardinali, elettori e non, presenti a Roma, tra cui Angelo Becciu che ha rinunciato a partecipare alle votazioni, pur avendo 76 anni, “per contribuire alla comunione e alla serenità del conclave”.
“Pietro – ha affermato Leone XIV nell’omelia – coglie tutte e due queste cose: il dono di Dio e il cammino da percorrere per lasciarsene trasformare, dimensioni inscindibili della salvezza, affidate alla Chiesa perché le annunci per il bene del genere umano. Affidate a noi, da lui scelti prima che ci formassimo nel grembo materno, rigenerati nell’acqua del battesimo e, al di là dei nostri limiti e senza nostro merito, condotti qui e di qui inviati, perché il Vangelo sia annunciato ad ogni creatura. In particolare poi Dio, chiamandomi attraverso il vostro voto a succedere al primo degli apostoli, questo tesoro lo affida a me perché, col suo aiuto, ne sia fedele amministratore a favore di tutto il corpo mistico della Chiesa; così che essa sia sempre più città posta sul monte, arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo. E ciò non tanto grazie alla magnificenza delle sue strutture o per la grandiosità delle sue costruzioni – come i monumenti in cui ci troviamo, – quanto attraverso la santità dei suoi membri, di quel popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa”.
Il Papa ha ripreso e sviluppato un aspetto, quello dell’evangelizzazione, che aveva affrontato anche nel suo primo saluto al mondo, subito dopo l’Habemus Papam, dalla loggia centrale della Basilica Vaticana. Commentando il brano del Vangelo, Leone XIV ha spiegato che “questa immagine ci parla di un mondo che considera Gesù una persona totalmente priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso, che può suscitare meraviglia con il suo modo insolito di parlare e di agire. E così, quando la sua presenza diventerà fastidiosa per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama, questo ‘mondo’ non esiterà a respingerlo e a eliminarlo. C’è poi l’altra possibile risposta alla domanda di Gesù: quella della gente comune. Per loro il Nazareno non è un ‘ciarlatano’: è un uomo retto, uno che ha coraggio, che parla bene e che dice cose giuste, come altri grandi profeti della storia di Israele. Per questo lo seguono, almeno finché possono farlo senza troppi rischi e inconvenienti. Però lo considerano solo un uomo, e perciò, nel momento del pericolo, durante la passione, anch’essi lo abbandonano e se ne vanno, delusi”.
Leone XIV, inoltre, ha sottolineato che “colpisce, di questi due atteggiamenti, la loro attualità. Essi incarnano infatti idee che potremmo ritrovare facilmente – magari espresse con un linguaggio diverso, ma identiche nella sostanza – sulla bocca di molti uomini e donne del nostro tempo. Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco. Anche oggi non mancano poi i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto”.
Parole nette che mettono in guardia i credenti di oggi e che fanno subito comprendere quale sia la missione che Leone XIV intende perseguire nel suo pontificato. “Questo – ha affermato Prevost – è il mondo che ci è affidato, nel quale, come tante volte ci ha insegnato Papa Francesco, siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Gesù Salvatore. Perciò, anche per noi, è essenziale ripetere: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’. È essenziale farlo prima di tutto nel nostro rapporto personale con lui, nell’impegno di un quotidiano cammino di conversione. Ma poi anche, come Chiesa, vivendo insieme la nostra appartenenza al Signore e portandone a tutti la buona notizia”.
Ma il Papa ha guardato innanzitutto al mandato che gli è stato affidato dal conclave che lo ha eletto: “Dico questo prima di tutto per me, come successore di Pietro, mentre inizio la mia missione di vescovo della Chiesa che è in Roma, chiamata a presiedere nella carità la Chiesa universale, secondo la celebre espressione di sant’Ignazio di Antiochia. Egli, condotto in catene verso questa città, luogo del suo imminente sacrificio, scriveva ai cristiani che vi si trovavano: ‘Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo’. Si riferiva all’essere divorato dalle belve nel circo – e così avvenne, – ma le sue parole richiamano in senso più generale un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo. Dio mi dia questa grazia, oggi e sempre, con l’aiuto della tenerissima intercessione di Maria Madre della Chiesa”.
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